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Edward Bernays, il pioniere della manipolazione delle masse

(ASI) Sfuggire alle influenze persuasive della pubblicità è oggi un proposito impervio per chiunque. Rispetto ai nostri predecessori, infatti, noi uomini contemporanei subiamo condizionamenti culturali, programmati e mirati, oltremodo intensi. I media di massa sono il maggior canale di trasmissione di messaggi finalizzati a condizionare le nostre scelte, finanche le nostre opinioni. Per questo, i pubblicitari si servono di tecniche e tecnologie tra le più avanzate, avvalendosi dell’ausilio di psicologi, sondaggisti, sociologi, grafici, registi, attori, personaggi pubblici vari. Questo sistema genera un mercato che muove cifre enormi, derivanti dalle spese che noi stessi, consumatori indefessi, sosteniamo per soddisfare i nostri bisogni indotti.

Molti studiosi fanno risalire la moderna influenza del pubblico all’inizio del secolo scorso, in particolare al lavoro di Edward L. Bernays, considerato il padre della persuasione. Nel suo libro intitolato Propaganda, il pubblicista americano di origine austriaca scriveva: “Coloro che hanno in mano questo meccanismo (…) costituiscono (…) il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. (…) Sono loro che manovrano i fili…”. Bernays, che approfondì le idee sul subconscio di suo zio Sigmund Freud applicandole alla scienza emergente della persuasione di massa, si riferiva sia alla propaganda politica che a quella commerciale. Gli strumenti utilizzati da questi due tipi di propaganda, del resto, sono gli stessi. In tal senso rimane utile il metodo utilizzato da Bernays, negli anni venti, per incitare le donne americane a fumare; egli costantemente propose l’immagine della donna con la sigaretta tra le labbra come icona dell’emancipazione femminile, tema molto sentito nell’America di quegli anni. E’ assai discutibile che l’accesso libero delle donne alla sigaretta abbia contribuito alla loro cosiddetta emancipazione sociale, altresì è fuor di dubbio che ciò abbia fatto le fortune economiche delle industrie di tabacco che avevano commissionato a Bernays la pubblicità del loro prodotto. In quegli anni Bernays lavorò con altrettanti ottimi risultati per tante aziende: si deve a lui - tanto per comprendere le capacità persuasive di quest’uomo - la diffusione del bacon a colazione sulle tavole degli americani. La sua maestria si mise anche a disposizione della politica. Dopo che nel 1917 il presidente Wilson dichiarò l’ingresso statunitense nella prima guerra mondiale al fianco delle potenze dell’Intesa e contro Germania e Austria, l’apporto di Bernays nei confronti del Governo risultò determinante per guadagnare un inizialmente insperato consenso da parte del popolo americano. Il motto “fare del mondo una democrazia più sicura” si affermò nell’opinione pubblica grazie a ingenti numeri di volantini, manifesti, comunicati stampa - soprattutto prodotti cinematografici prodotti dall'industria di Hollywood - che dipingevano le popolazioni germaniche come criminali da debellare e lo zio Sam come uno sceriffo buono e rassicurante. E’ ragionevole considerare Bernays il pioniere di un metodo di propaganda bellica tutt’ora decisamente efficace.

La fama di Bernays si sviluppò notevolmente, molti i lavori che gli vennero commissionati dalle aziende e dal Governo americano, data la facilità che egli aveva di ottenere successo per mezzo del suo assioma fondamentale: “Controllare le masse senza che esse lo sappiano”. Governo e grandi aziende avevano un fine comune, convenivano circa la bontà del consumismo: il presidente Hoover, nel ’29, poco prima della grande crisi globale, aveva avuto modo di sostenere che il consumismo fosse “il motore della vita americana”. Bernays, dal canto suo, rimase sempre consapevole dell’importante lavoro che svolgeva, ciò è facilmente evincibile da questo passaggio del libro Propaganda: “In quasi tutte le azioni della nostra vita, sia in ambito politico o negli affari o nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero morale, siamo dominati da un relativamente piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse”.

Le sue parole dovrebbero suonare come un campanello d’allarme, sono la conferma comprovata - ammessa dallo stesso artefice primo di questo sistema di persuasione diffuso - che la nostra mente è esposta, senza difese, a un persistente meccanismo pubblicitario che, così operando su larga scala, manipola le masse. L’ultimo “capolavoro” messo in opera da Bernays risale agli anni ’50, un’operazione eclatante a favore della multinazionale americana United Fruit e del Governo Eisenhower riuscì a condizionare il popolo degli Stati Uniti ed indurlo a credere che fosse necessario un intervento militare in Guatemala. Nel Paese bagnato dal Mar Caraibico era appena avvenuto un colpo di Stato militare da parte di un giovane colonnello vicino alle istanze della classe contadina, Jacopo Arbenz, il quale aveva la “colpa” di aver deposto vecchi dittatori appoggiati dalla Cia e complici dello sfruttamento di piantagioni di banane da parte della United Fruit. La guerra venne vinta dagli statunitensi, la Cia ebbe modo di piazzare al potere un suo uomo, tale Carlos Castillo Armas, la United Fruit proseguì i suoi affari a discapito della popolazione del Guatemala. Infine, gli americani tirarono un sospiro di sollievo: il (falso) timore, diffuso da un’agenzia di stampa creata appositamente da Bernays, per cui l’Unione Sovietica si sarebbe servita del Guatemala come base per attaccare gli Stati Uniti, si rivelò un pericolo scampato. Pericolo, d’altronde, che non era mai stato autentico, si trattava di mera invenzione propagandistica. Questo vincente colpo di coda finale del cosiddetto “padre della persuasione” resta un episodio della storia. Purtroppo il metodo utilizzato, viepiù capillare con l'apporto ragguardevole dei social network, è ancora attuale, nel commercio così come nella politica, e conduce milioni di cittadini sulla strada della menzogna e dell’illusione.

Federico Cenci Agenzia Stampa Italia

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