(ASI) Più o meno in coincidenza con la morte dell’on. Silvio Berlusconi, Lunedì 12 giugno scorso, il Guardasigilli Nordio ha annunciato il primo pacchetto delle riforme sulla Giustizia, approvato dal Consiglio dei Ministri.
L’atto è in significativa coincidenza con la morte dell’uomo che, al di là dei suoi meriti e dei suoi demeriti, è stato il “campione” di un incredibile conflitto tra poteri dello Stato e, in particolare, tra i poteri legislativo ed esecutivo, da una parte, e potere giudiziario, dall’altra, una sorta di “guerra civile istituzionale” di cui l’Italia non avrebbe proprio bisogno.
I detrattori di quest’ultimo, e sono tantissimi, specie, paradossalmente, nello schieramento politico che dovrebbe invece rappresentare l’esigenza di “legge e ordine” e, quindi, la funzione della magistratura, si affretteranno subito a dire che l’art. 104 della Costituzione definisce la magistratura come “un ordine autonomo e indipendente”. Già ma lo stesso articolo, nel contesto di un lessico non particolarmente rigoroso, si affretta ad aggiungere che l’autonomia e l’indipendenza lo sono rispetto ad “ogni altro potere”. Altro potere rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo. Quindi la “magistratura” è il terzo potere dello Stato, non essendo, tra l’altro, immaginabili simili caratteristiche (autonomia e indipendenza) in capo ad un organo che non sia, esso stesso, “potere” dello Stato (si veda “Dizionario giuridico” Brocardi).
Ciò detto, lasciando “in pace” il defunto cav. Silvio Berlusconi, perché non è certamente né giusto né opportuno, disquisire dell’operato di un uomo, morto pochi giorni fa e tornando a Carlo Nordio e al suo “pacchetto”, confesso che la proposta (poi accolta) di indicare quest’uomo come ministro della Giustizia, da parte del Presidente del Consiglio on. Giorgia Meloni è una delle cose che mi hanno più stupito. Giorgia Meloni, fin da giovane, si era caratterizzata infatti per il suo convinto sostegno alla figura di Paolo Borsellino, l’ex procuratore aggiunto di Palermo, ucciso da “Cosa Nostra”, il 19 luglio 1992 e se c’è una figura che appare agli antipodi rispetto a quella di Paolo Borsellino sotto tutti i punti di vista, è proprio quella di Carlo Nordio. Quest’ uomo è stato magistrato e, per giunta, pm, ma sembra misteriosamente preso da un’irrefrenabile volontà “punitiva” nei confronti della magistratura. Mi domando cosa sarà successo nella sua carriera di magistrato da indurlo ad un atteggiamento non certamente sereno ed imparziale nei confronti del mondo da cui proviene e in cui aveva svolto la sua carriera, ad un atteggiamento così gratuitamente divisivo, che forse starà creando non pochi problemi al governo. Si veda “la Repubblica”, 18 giugno 23, “L’imbarazzo di Meloni per l’uscita di Nordio: “ A rischio le riforme”.
Certo, l’uomo non fa mistero della sua ispirazione “liberale”. E se, nell’immediato dopoguerra, il liberalismo era un’ideologia senza radicamento sociale, nonostante il tentativo di promozione che gli avevano riservato gli Alleati che, durante il governo militare, sceglievano i loro uomini di fiducia tra i notabili liberali prefascisti (oltre che in altre categorie più…”problematiche”), il liberalismo non ebbe mai un significativo seguito elettorale, fino a quando il crollo dei partiti di massa, DC e PSI, l’affermazione del partito radicale e del “berlusconismo”, la misteriosa evoluzione “libertaria” e filostatunitense del PCI e la progressiva influenza delle istituzioni europee, non trasformarono il piccolo partito delle “Tribune politiche” di Malagodi e Patuelli, nella più importante e onnipervadente struttura politico culturale “occidentale”, nonostante la natura composita del fenomeno, il suo fondamento in filosofie di tipo “empiristico” e il fatto che il termine “liberale” sia stato introdotto nel lessico politico occidentale circa due secoli dopo il filosofo britannico Locke, vale a dire nel 1812, al tempo della Costituzione di Cadice, in Spagna. Più di venti anni prima dello scoppio delle guerre carliste che videro nel liberalismo il loro nemico storico e tale rimase, accanto ai comunisti, ai socialisti, agli anarchici e ai massoni, anche nell’Alzamiento nacional del 1936 – 39.
Oggi, in pratica, pressoché tutto lo schieramento politico si dichiara “liberale” e qualunque forma di aggregato politico di tipo “comunitaristico” e “identitario” viene squalificato ed emarginato come “populista”.
A nessuno può sfuggire che siano proprio i sostenitori di questo filone politico-culturale, i più convinti sostenitori del cosiddetto garantismo, inteso ovviamente in senso ideologico e non come doveroso rispetto delle garanzie processuali sul quale è scontato essere d’accordo.
Si tratta di due concetti molto distanti tra loro.
Basta fare i nomi degli esponenti radicali, dell’on. Sgarbi, dello stesso Silvio Berlusconi, degli esponenti di “Forza Italia”, ma, in generale, dello stesso “centro destra”, come viene chiamato, o anche, di altro schieramento politico, come Calenda o Renzi o Sansonetti, per rendersene conto.
E perché tutto questo ?
Cos’è il garantismo in senso ideologico ?
E’ l’atteggiamento di chi enfatizza il “viaggio” rispetto alla “meta” da raggiungere, i “mezzi” rispetto al “fine”.
Nell’attività che lo Stato dedica alla realizzazione della sua funzione giudiziaria, vi sono, infatti, due momenti che vanno entrambi considerati, l’uno è quello primario che attiene al perseguimento della “Giustizia”, l’altro attiene ai mezzi per pervenirvi, mezzi che debbono essere quelli previsti dall’ordinamento per il raggiungimento del fine primario della Giustizia e non altri, perché il fine, com’è noto, non giustifica i mezzi.
Nella visione “liberale”, oggi tanto enfatizzata, è il percorso ciò che è importante, non già la meta da raggiungere.
E il Guardasigilli Nordio è impregnato di questa ideologia e se ne fa un vanto pubblico.
Passando brevemente in rassegna i più importanti aspetti del ddl, vi è in primo luogo l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio che, andrebbe, certo, tipizzato con maggiore rigore, ma la sua radicale eliminazione produrrà danni incommensurabili, facendo venir meno una norma destinata a colpire condotte produttive di danno ingiusto o di indebito profitto, che, altrimenti sarebbero sprovviste di previsione penale.
La norma sulle intercettazioni e la tutela del terzo estraneo, oltre al difficile contemperamento con il diritto di informazione, produrranno problemi di difficile soluzione in relazione alla possibilità di pubblicazione di conversazioni ritenute comunque “rilevanti” per il procedimento.
La necessità di descrizione sommaria del fatto per cui si procede non si vede in che modo tutelerà l’indagato dall’esposizione mediatica e dal successivo stigma. La descrizione del fatto ne questo aumenterà invece il clamore mediatico e interpretazioni fuorvianti, occasionate dal carattere sintetico e necessariamente approssimativo della descrizione della fattispecie.
Il contraddittorio nelle misure cautelari ha un che di assurdo. Verrà praticato, si spera mai, solo quando non sia necessario l’”effetto sorpresa”, che è insito nella procedura per l’applicazione delle misure cautelari e solo per quella carceraria. E quando mai non è necessario un effetto simile ? Le eccezioni al contraddittorio sono il “pericolo di fuga” o “l’inquinamento delle prove” o la “reiterazione di gravi delitti con l’uso di violenza personale o in tutti i casi di “delitti gravi”: sono i casi in cui è possibile richiedere ed applicare una misura cautelare e allora quando sarà possibile questo “contraddittorio” ?
E questa esigenza è compatibile con quella di celerità che dovrebbe caratterizzare la fase delle indagini ?
Collegialità e misure cautelari. Riguarda la sola custodia in carcere. Anche qui, adempimento ulteriore che rallenterà il processo e aumento dei giudici incompatibili per avere trattato la misura, da aggiungere a quelli che hanno svolto funzioni di GIP e/o di GUP e rispetto a quelli che hanno operato in sede di riesame delle misure.
Si prevede un aumento di 250 magistrati proprio per far fronte a questo aumento delle incompatibilità, ma saranno sufficienti specie nei piccoli tribunali, con gli organici ridotti all’osso ?
Limiti all’appello per i PM. Già la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 26/2007: tale limite viola il principio del giusto processo e in particolare la parità delle parti nel processo, anche se si applica ai reati minori, a citazione diretta.
Qui c’è poco da dire: la proposta è incostituzionale e ci si stupisce che sia stata riproposta. Errare è umano, perseverare è diabolico.
E’ sempre la solita storia. “Guerra civile istituzionale” dei poteri “politici”, legislativo ed esecutivo, contro quello giudiziario.
Tutela incondizionata dell’indagato / imputato, che deve “soffrire” il meno possibile del processo, costante sospetto di “machiavellismo” nei confronti dei magistrati, siano essi della Procura, siano essi giudicanti. E quindi, riforme che vanno nel segno dell’indebolimento dell’azione giudiziaria e della moltiplicazione di vincoli e di adempimenti.
Quando si parla di “riforma” di un qualunque settore della vita sociale, ci si riferisce a tutto ciò che ne favorisca e ne renda più incisiva l’azione e il contributo di chi sia deputato al funzionamento di quel determinato settore è visto come un fatto positivo che può prevenire errori nell’azione riformatrice.
Tutto meno che in un settore, quello giudiziario. Qui, il Guardasigilli che sembra non avvertire la necessità di moderare i toni e non ingenerare equivoci, ha affermato: “Magistrati non possono criticare leggi le leggi come il politico non può criticare le sentenze” (vedi Adnkronos). Forse Nordio voleva alludere al fatto che i magistrati hanno l’obbligo di applicare le leggi, ma ciò può coesistere con il diritto di critica, un diritto costituzionalmente garantito. Sono due concetti radicalmente diversi. Eppure Nordio che è stato magistrato e, per di più, PM, dovrebbe saperlo.
Altrimenti, i magistrati sarebbero una categoria “minorata”, dal punto di vista costituzionale e ciò è inaccettabile.
E’ ora, invece, di dire basta con la guerra civile, tantomeno con quella tra istituzioni.
Le riforme si fanno in collaborazione con tutte le categorie coinvolte nel processo e la politica e l’attività legislativa si fanno in vista del “bene comune” non di quello particolare di una data categoria, ma di tutti i cittadini italiani, anche di quelli che sono anche magistrati.
Giuliano Mignini per Agenzia Stampa Italia