(ASI) Teramo - Nel pomeriggio di giovedì 1 luglio 2021, si è tenuta a Teramo, presso Piazza Sant'Anna, la presentazione del libro del giornalista barese della Gazzetta dello Sport, Pierluigi Spagnolo (1977) "Contro il Calcio Moderno", con introduzione dell'Avvocato Pietro Ferrari e con l'intervento del giornalista teramano Walter Cori.
Il libro di Pierluigi Spagnolo ripercorre e racconta il fenomeno del calcio moderno, evidenziando le trasformazioni di questo mondo dalla metà degli anni Novanta ad oggi che secondo l'autore avrebbero rovinato "il gioco più bello del mondo", con la sua attuale deriva televisiva e affaristica traaformandolo in un mero spettacolo televisivo, un prodotto di merchandising, un mondo in cui è sempre di meno lo spazio per il popolo degli stadi e delle curve del tifo organizzato che hanno avvicinato i giovani di intere generazioni di Italiani, affascinati dai suoi simboli identitari.
Noi abbiamo contattato telefonicamente Pierluigi Spagnolo e gli abbiamo posto delle domande sul suo ultimo libro:
- Ci parli in breve del suo libro...
“ "Contro il calcio moderno” è un’analisi critica del calcio attuale, che ormai da anni ha smesso di essere rito popolare, cerimonia passionale e collettiva, per farsi merce. Il calcio è ormai un prodotto televisivo, uno spettacolo di intrattenimento, mosso da logiche puramente finanziarie e con un costante ricorso all’indebitamento".
- Quali sono le motivazioni che l'hanno portato a scriverlo?
“Era un’idea che coltivavo da tempo, una critica del calcio attuale mi sembrava il giusto completamento del lavoro avviato con il primo libro, "I ribelli degli stadi". Ma la decisione di scriverlo ha avuto un’accelerazione durante il lockdown di marzo/aprile/maggio 2020, con il calcio di Serie A che cercava ostinatamente di ripartire, anche con gli stadi vuoti, perché doveva onorare il contratto con le pay tv, senza il cui denaro il sistema non riesce più a sostenersi e crollerebbe in breve tempo. Così, nell’estate del 2020, c’è stato lo sviluppo del libro, poi uscito a ottobre scorso”.
- Quali sono secondo lei i mali del calcio moderno che bisogna combattere?
“Non mi piace soprattutto la trasformazione del tifoso in un telespettatore, in un cliente/consumatore destinato a seguire il calcio sempre più sul divano di casa oppure in stadi che piano piano verranno trasformati in teatri, sempre più piccoli, sempre più costosi, con un pubblico sempre più ridotto, più passivo e disciplinato. Il Covid, in questo, diventerà un acceleratore di un processo che era già stato avviato negli ultimi anni. Inoltre non mi piace la deriva finanziaria del calcio, non mi piacciono le spese senza limiti, la compravendita continua di calciatori, lo strapotere dei procuratori. Non mi piacciono le maglie stravolte dal logiche di marketing, che annulla la storia e le identità delle squadre”.
- Come ha cambiato in negativo la società italiana l'anti - calcio e l'anti - tifo da stadio che è stato pompato da determinati media?
“Da anni, spacciandola per una legittima necessità di combattere la violenza, sono state introdotte regole che hanno finito per spegnere la passione, l’esuberanza e il folklore del tifo organizzato, delle curve e degli ultras in particolare. L’eccesso di passione è stato stigmatizzato al pari della violenza, anche il linguaggio solitamente duro degli stadi è stato censurato, represso dalle logiche del politicamente corretto. Anche i mass media hanno contribuito a costruire il racconto dello stadio come un far west, quindi come un luogo da disciplinare. In realtà, tutto è finalizzato a costruire un calcio che sia un prodotto televisivo e di intrattenimento, che elimini gli ultras e tutti coloro che non sono funzionali a questo disegno”.
- Cosa si sente di dire a quei giovani che preferiscono mode e musica globalizzata, droga e criminalità, ai sani valori del calcio sociale?
“La curva di uno stadio, da oltre mezzo secolo, rappresenta anche in Italia il più longevo e affollato luogo di aggregazione. Un luogo davvero trasversale, eterogeneo, interclassista. L’unico dove un ragazzino di 15 anni e un uomo di 60, il figlio del notaio e il disoccupato, l’operaio e il medico, convivono spalla a spalla accomunati dalla stessa passione, senza alcuna differenza dovuta allo stile di vita. Lo stadio è stato per almeno due generazioni di tifosi italiani una straordinaria palestra di socialità, di partecipazione, di aggregazione. La tifoseria di una squadra di calcio è un’aggregazione popolare, una delle poche che ancora rappresenta un argine alla società degli individui isolati, ai ragazzi che vivono guardando uno smartphone”.
Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia