(ASI) Il modulo CAI ovvero Constatazione Amichevole di Incidente, comunemente chiamato CID, che era la vecchia dicitura per la richiesta di applicazione dell’Indennizzo Diretto, è un documento che riveste una notevole importanza giuridica in caso di sinistro stradale.
Una volta compilato a doppia firma, infatti, e trasmesso all’assicurazione prima che si apra il giudizio in Tribunale, questo documento si presume che rappresenti a verità fino a prova contraria.
Ciò significa che, anche se sottoscritto dai due automobilisti, la versione dei fatti così come raccontata nel modulo, vincolerà l’assicurazione a pagare i danni nei confronti del responsabile, anche se la Compagnia non ha partecipato alla sua redazione. Qualora l’assicurazione non ritenesse vero quanto descritto dal CAI, non potrà semplicemente disconoscerlo, ma dovrà provare il contrario.
Questo è quanto ribadito recentemente dalla Corte di Cassazione, segnalata da Ridare, in una complessa vicenda giudiziaria che ha visto soccombere due danneggiati sia in primo grado che in appello. I due sventurati beneficiavano di un CAI a doppia firma che avevano regolarmente presentato all’assicurazione che, nonostante i fatti fossero chiari, non voleva procedere al pagamento, contestando le veridicità del sinistro. La questione finiva in Tribunale che negava il diritto dei due malcapitati ritenendo la loro domanda non provata, anche per la totale assenza di testimoni. Non paghi del diniego di giustizia, gli attori ricorrevano in appello dove spiegavano che, nel caso in esame, vigesse il principio dell’inversione dell’onere probatorio, in quanto, avendo depositato un modulo sottoscritto da tutti i protagonisti dell’incidente, sarebbe stata l’assicurazione a dover provare concretamente elementi contrari alla pretesa.
Ma anche la Corte d’Appello rigettava le loro domande, sempre sul presupposto che il Cai non bastava a provare il fatto illecito, neppure nel suo accadimento materiale. Secondo la Corte bene aveva fatto il giudice di prime cure, il quale non aveva accolto la domanda dato che gli attori non avevano ulteriori elementi probatori rispetto al modulo sottoscritto.
Questi ultimi, però, non si danno per vinti e, persuasi dell’errata interpretazione dei giudicanti di primo e secondo grado, ricorrono agli Ermellini per ottenere giustizia. E così è stato.
I giudici della Cassazione riconoscono che le due corti di merito hanno sbagliato a pretendere un’attività probatoria a carico degli attori in quanto essi avevano asserito e dimostrato di aver comunicato stragiudizialmente all’assicurazione il modulo CAI contenente tutti i dati previsti.
Solo qualora avessero prodotto il documento per la prima volta in giudizio si sarebbe potuto considerare la produzione come semplice idizio e non come presunzione di prova.
Il Palazzaccio, quindi, cassa la sentenza d’appello e rinvia per rivalutare tutte le circostanze trascurate nei primi due giudizi.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia