(ASI) Che Luis Suarez masticasse l’italiano lo si era compreso sin dai Mondiali del 2014 in Brasile. Vittima di un raptus di follia, El pistolero più famoso del mondo dopo Wild Cat Hendriks - abile nell’adoperare la pistola così come le carte da poker - azzannò la spalla di Giorgio Chiellini con la stessa maestrìa adoperata da un leone famelico nei confronti di un’orice gazzella.
Da qui all’essere padrone della lingua italiana ne passa di acqua sotto i ponti, molto più di quella che discende dal colle eletto dal beato Ubaldo. Un qualsiasi studente dell’Università per stranieri di Perugia sa bene che per diventare cittadino italiano bisogna sostenere un esame con prova scritta ed orale, e che la durata dello stesso non può essere proporzionale a quella dell’intervallo di una partita di calcio.
Demeriti di una commissione d’esame che, stando alle intercettazioni, avrebbe smarrito la diritta via al punto da indurre il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, a definirlo “esame farsa”. A Suarez la cittadinanza italiana non servirà più, il suo trasferimento alla Juventus è evaporato così come la sua “profonda” conoscenza della lingua italiana. Diventerà un nuovo calciatore dell’Atletico Madrid del Cholo Simeone, uno che per comunicare con la Vecchia Signora preferisce gesti piuttosto eloquenti alle buone maniere e ad un italiano più fluente di quello di Suarez.
A chi crede nella cultura restano le tante certezze originate dal nostro passato culturale, e quelle, vivaddio, non le offuscherà nessuno. Come il Decameron di Giovanni Boccaccio, in cui le Humanae litterae, rappresentate dalle cento novelle, hanno la facoltà di rifondare un mondo distrutto e corrotto.
Bastasse la cultura...
Raffaele Garinella - Agenzia Stampa Italia