(ASI) Argomento centrale in tema di tutela risarcitoria è quello relativo alla legittimazione ad agire per il risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c, quando la pretesa risarcitoria è avanzata da soggetti che non sono “apparentemente” diretti destinatari delle conseguenze pregiudizievoli del fatto illecito.
La questione giuridica è da tempo sottoposta all’esame della dottrina e della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali descrivono tale sottocategoria del danno non patrimoniale come “danno riflesso o da rimbalzo”.
Con tale espressione si suole indicare il pregiudizio arrecato ad un soggetto terzo, ovvero vittima secondaria del fatto illecito rispetto al soggetto danneggiato in via principale, ma pur sempre destinatario delle conseguenze pregiudizievoli subite da quest’ultimo per effetto dell’altrui condotta illecita.
In merito, sia la dottrina che la giurisprudenza dominante hanno affermato che nel caso di un danno ingiusto causato dal fatto illecito altrui, un danno non patrimoniale sia da rinvenirsi per rimbalzo o riflesso anche in capo ai prossimi congiunti della vittima primaria, in quanto questi potrebbero subire, di fatto, sia un danno patrimoniale, derivato dal venir meno del reddito dell’attività lavorativa del soggetto leso, sia un danno non patrimoniale, che si configura in un danno alla vita di relazione, stante l’evidente lesione del diritto costituzionalmente garantito all’ “hedonic damages”, inteso come stato di benessere non solo fisico, ma anche mentale, socio-personale e relazionale.
Già a partire dal 2003, la Corte di Cassazione penale rielaborò la figura di danno in esame, attribuendovi una natura in parte diversa e chiarendo che la definizione di danno “da rimbalzo o riflesso” fosse in concreto inadeguata.
In origine difatti, come detto, si argomentava che il soggetto colpito dal danno riflesso subisse un pregiudizio solo “mediato” della propria sfera giuridica, dal momento che diversamente dalla persona offesa dal reato, non pativa una lesione che fosse conseguenza diretta della condotta illecita compiuta dal reo.
Dirimente sul punto fu il principio affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale con la sentenza n. 8827 del 2003 specificò che nei casi di danno riflesso o di rimbalzo, particolare attenzione debba essere accordata alla lesione della posizione giuridica protetta, poiché, nel caso di evento pluri-offensivo, la lesione è contestuale e immediata per tutti i soggetti che sono titolari dei vari diritti incisi, verificandosi, di fatto, una propagazione delle conseguenze dell’illecito alle vittime secondarie: “Allorché un fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto, provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri e una determinante riduzione, se non un annullamento, delle positività che dal rapporto parenterale e affettivo derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita in relazione, nell’esigenza di provvedere perennemente ai bisogni del familiare (e/o convivente) deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore apprestata dall’art. 2059 in caso di lesione di interessi costituzionalmente protetti”[1].
La Cassazione con la su richiamata pronuncia ha avuto modo quindi di precisare che dal punto di vista delle posizioni giuridiche protette, nel caso di illecito pluri-offensivo, la lesione si manifesta contestualmente ed in modo immediato per tutti i soggetti che sono i titolari dei vari interessi incisi.
In virtù dei suesposti principi, l’ordinamento offre una tutela oltre che alla vittima –danneggiato primario, anche ai soggetti legati al primo da un legame di solidarietà.
Nel caso per esempio della perdita di un congiunto, pertanto, la posizione dei familiari superstiti non è dissimile da quella della vittima principale dell’illecito, essendovi appunto, anche in tal caso, un legame diretto fra il fatto illecito ed i pregiudizi non patrimoniali patiti dai prossimi congiunti della persona offesa del reato.
Per tale motivo, la perdita del rapporto parentale venne considerata ben presto la causa di un danno diretto ed immediato che il superstite avrebbe dovuto far valere iure proprio in giudizio.
Il che diede vita all’ immensa casistica giurisprudenziale del risarcimento del danno dei congiunti e degli altri soggetti individuati quali vittime secondarie dell’illecito.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia
[1] Cass. Civ. Sez.III, n. 8827 del 2003- Cass. Civ. Sez Un. 9556 /2002- Cass. Civ, .2 febbraio 2001 n. 1516.