Guardiagrele (Ch): il mastro ferraio Raffaele Di Prinzio sull'evoluzione della lavorazione del ferro battuto dal fabbro all'imprenditore, dalla bottega all'azienda, dall'artigiano all'artista.

diprinzio(ASI) Abruzzo – L'arte della lavorazione dei metalli in Abruzzo affonda le sue radici nella protostoria ed è ancora oggi una delle attività più caratteristiche della regione.

Nella nostra ricerca sulle origini e sulla lavorazione antica e moderna del ferro battuto in Abruzzo, abbiamo detto che l'epicentro dell'arte del ferro battuto è sicuramente la Maiella e che Guardiagrele (Ch), è la capitale sulle pendici orientali del massiccio montuoso della lavorazione del ferro (e non solo), entrata di fatto a pieno titolo, con l'avvento dell'epoca comunale dal XII secolo in poi, fra le attività artistiche con la nascita delle prime corporazioni artigiane.

Difatti, nonostante che il ferro (come il rame), non sia un metallo presiozo, è ancora oggi proprio la mano del mastro ferraio a dare quel valore aggiunto alla materia, in virtù di un proceso di forgiatura, battitura e piegatura che permettono di realizzare delle vere e proprie opere d'arte come ringhiere, cancelli, lampade, suppellettili e tanto altro, che sono ciascuna di loro un pezzo pressoché unico nel loro genere.

Non a caso, Guardiagrele è la sede del “Centro d'Eccellenza per l'Artigianato d'Abruzzo”, e offre al turista tutta la bellezza del “fatto a mano”: oltre al ferro battuto, in città si pratica l'arte orafa, si creano gioielli, si lavorano il rame e il legno, nei dintorni la pietra e la ceramica, si fa il tombolo, si ricamano coperte e costumi tipici abruzzesi e si produce quel particolare dolce chiamato “sise delle monache” che va ad aggiungersi ad altre leccornie come amaretti, torroni e marzapane.

Infatti, la storia di Guardiagrele è fortemente legata all'evoluzione della lavorazione dei metalli in base sia alle tecniche e sia alle esigenze di uso nei differenti periodi storici.

Qui, ad esempio è attestato che c'era nell'VIII secolo d.C., una fara longobarda (cioè un accampamento fortificato) sottoposta all'autorità del Gastaldato (o Prefettura di Castelli) di Chieti che partecipò alla difesa del territorio longobardo teatino appartenente al Ducato di Benevento, assediato dai Franchi di Pipino Carlomanno nel 800 – 801 d.C. .Dalla presenza longobarda, secondo una leggenda, deriverebbe finanche il nome di Guardiagrele, poiché col declino della civiltà urbana e cittadina romana, venne abbandonato l'antico abitato di “Grele” e i guerrieri di stirpe germanica si stanziarono a “guardia” del preesistente abitato, da qui sarebbe derivato il toponimo “Guardiagrele”. I Longobardi, provenendo dall'Europa Centro – Orientale, perfezionarono la lavorazione dei metalli.

Un rilevante svilluppo dell'arte della lavorazione dei metalli ferrosi, sopratutto di armi da taglio, ci fu a Guardiagrele dal XV secolo, allorché la città divenne da prima un Comune autonomo nel 1420, per poi essere infeudata nel 1495 alla famiglia Orsini, Conti di Manoppello. Il Conte Pardo Orsini riattivò la zecca comunale di Guardiagrele, il cui diritto di battere moneta derivava da una concessione di Ladislao I D'Angio – Durazzo nel 1391.

La signoria feudale di Manoppello, per la sua posizione strategica fra la Maiella Orientale e il Mare Adriatico, che controllava il passaggio verso Napoli e Roma, aveva una forte vocazione militare e centri come Manoppello, Guardiagrele, Casoli e più a Sud Roccascalegna, erano degli avamposti fortificati, amministrati da vassalli del “Comes Manupelli” che formavano una importante linea difensiva di castelli, naturalmente protetti dalle montagne e dall'altura delle loro stesse colline sulla cui somità sorgevano, perciò dovevano per forza di cose eccellere nella lavorazione di metalli per la forgiature di armi in caso di assedio.

In Età Moderna e Contemporanea, si è sviluppata sia la lavorazione di utensili per il lavoro in ferro battuto, sia quella di oggetti d'arte che a partire dal XVII secolo ha avuto una crescita esponenziale, in parte contenuta negli ultimi decenni dalla crescita della lavorazione industriale.

Tra l'altro, ogni anno, a Guardiagrele ci sono degli eventi e ricorrenze legati allo sviluppo socio – economico e culturale della lavorazione dei metalli: ad esempio, in agosto, si svolge sia la mostra – mercato dell'artigianato artistico che raccoglie produzioni di ferro battuto provenienti anche da tutti gli altri centri specializzati nel campo, sia la festa di San Donato con la processione delle conche di rame portate in testa da donne in costume tipico; infine, per l'Immacolata Concezione (8 dicembre) si accendono la sera degli enormi falò, chiamati “focacci”, legati ad ancestrali riti propiziatori per la prosperità dei raccolti primaverili.

Oggi, all'ingresso del centro storico guardiese, ci sono ancora delle botteghe di maestri del rame e del ferro, dove poter assistere alla forgiatura e battitura di metalli. Anche se, ultimamente, alcune officine di Guardiagrele si sono trasferite in periferia e in territori di Comuni limitrofi, dove si sono ingrandite, sia come numero di addetti ai lavori che come giro di affari. Ma, nonostante l' assetto più aziendale assunto da quest'ultime, sono ancora in grado di forgiare anche delle opere d'arte in ferro battuto, secondo le tecniche più tradizionali.

A tal proposito, noi abbiamo intervistato il maestro ferraio, Raffaele Di Prinzio (74 anni) che partito con una più che secolare officina di fabbro, ereditata dagli antenati, dal 1972 è diventato un vero e proprio imprenditore di una azienda ( da una trentina di anni trasferitasi nel territorio comunale della limitrofa Fara Filiorum Petri) che ha degli operai e oltre alla forgiatura del ferro battuto tradizionale, produce dei manufatti che esporta in Italia e all'estero.

 Il Cavaliere della Repubblica Raffaele Di Prinzio, è un maestro ferraio con una esperienza di oltre sessant'anni di attività, infatti, aveva solo dieci anni, quando col nonno e col padre, iniziò a battere sul ferro rovente, per poi continuare con i fratelli Bruno e Luciano, e oggi porta avanti questa sua passione e professione con i figli e i nipoti.

Ufficialmente, la famiglia Di Prinzio svolge questa attività dal 1856, quando venne creata a Guardiagrele l'officina di fabbro e maniscalco “Di Prinzio”. Dal 1972, invece esiste la “Raffaele Di Prinzio e fratelli” e da questo momento, il lavoro di Raffaele si trasforma sempre più in un attività aziendale che non produce più solo piccole opere d'arte e utensili, ma anche cancelli, statue, balaustre e oggetti da arredo sia interno che esterno, come lampadari, portachiavi, sedie, lampioni, ringhiere e tanto altro.

Qui di seguito, l'intervista al maestro ferraio Raffaele Di Prinzio che, tra l'altro, ci spiega la differenza fra le tecniche di lavorazione antica e moderna del ferro batutto.

 

Come nasce la vostra attività?

“È una attività di diverse generazioni che nasce secoli fa e fino alla prima parte del Novecento si occupava della ferratura dei cavalli, della forgiatura di utensili da lavoro e attrezzi per la campagna in ferro e poi successivamente anche in acciaio. Il ferro si utilizza prettamente per oggetti ornamentali, mentre l'acciaio temperato si usa per utensili da lavoro ed armi”.

Come è avvenuta l' evoluzione da fabbro a artista del ferro battuto?

“Nel secondo dopoguerra, con l'avvento della tecnologia, si sono sempre più diffusi i lavori di forgiatura, battitura e piegature di oggetti ornamentali, come letti, cancelli, sculture e tutto ciò che può servire ad abbellire una casa”.

In breve, qual'è la differenza fra la progettazione di un oggetto e quella di un'opera d'arte?


“La prima differenza che mi viene in mente sta nella resistenza del materiale, poiché un utensile deve resistere alle tensioni, mentre quando si fa un oggetto ornamentale si deve soprattutto pensare a dargli una forma esteticamente gradevole”

Ci parli delle fasi di lavorazione del ferro battuto fra passato e presente....

“Si stima in primis la tipologia di ferro da utilizzare: più grande, piu piccolo, di forma e consistenza diversa.

Una volta fatto questo, si inserisce il ferro nella fucina e lo si scalda col carbone a 1200 gradi circa. Raggiunta tale temperatura, si mantiene e si porta con una tenaglia sull'incudine e con la “penna” del martello di circa un chilo si inizia a battere e dare una forma artistica. Esistono,all'occorrenza, martelli di diversa forma e misura.

Data la forma desiderata al ferro, e regolata a regola d'arte, bisogna assemblare i pezzi per creare l'oggetto che oggi si realizza sempre in più parti composite che si saldano insieme.

In passato, invece, si facevano scaldare i pezzi fino a quasi l'ebollizione e poi si saldavano l'uno sull'altro, invece se si trattava di un'opera d'arte tipo una scalinata o un oggetto ornamentale, si usavano dei chiodi per unire i pezzi (ad esempio, come avvenuto per la ringhiera del palazzo prefettizio di Chieti, come per tutte le scale e i lampadari dei palazzi nobiliari). Ovviamente, per dare il colore e mettere i chiodi al ferro, bisogna aspettare che il manufatto si raffreddi. Se si vuole farlo raffreddare più velocemente, lo si può immergere anche in acqua. La tecnica antica su richiesta è ancora utilizzata. I disegni dei progetti si fanno pressoché ancora tutti a mano, senza ausilio né di tecnici, né di geometri”.

Invece, come è cambiato il mercato del ferro battuto?

“Prima si facevano soprattutto atrrezzi, monili, cancelli, letti e ringhiere di case e palazzi locali, mentre oggi ci sono ordini anche dall' estero che consegniamo col nostro camion per le distanze più vicine e affidiamo per la consegna a un corriere anche aereo per quelle più lontane”.

 

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

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