(ASI) Per le grandi interviste esclusive di Agenzia Stampa Italia abbiamo incontrato Sua Eccellenza Isaías Rodríguez, ambasciatore della repubblica bolivariana del Venezuela in Italia. Con il rappresentante diplomatico di Caracas abbiamo analizzato la situazione del paese costantemente sotto attacco da parte dell’imperialismo statunitense e quello della regione indio-latina che negli ultimi mesi ha visto un prepotente ritorno delle forze capitaliste in Argentina e Brasile. Isaías Rodríguez ha anche ricordato gli ottimi rapporti storici ed economici tra i nostri due paesi spiegando in quali settori i nostri imprenditori potrebbero investire proficuamente.
Il continente indio-latino sta vivendo una sorta di controrivoluzione: in Argentina sembra finita l’era di Cristina Fernandez Kirchner, in Brasile la magistratura ha defenestrato la presidente Dilma Rousseff ed il Venezuela è sotto attacco dall’imperialismo atlantico. C’è il rischio che le tante conquiste della regione degli ultimi 15/20 anni vengano cancellate?
Ritengo poco probabile che il ciclo della restaurazione possa continuare ancora a lungo, anzi. Un’analisi storica a lungo termine chiarisce bene l’andamento della situazione attuale in America latina. La classe dirigente e tutti i settori politici che promuovono e sostengono l’attuale processo di restaurazione stanno vivendo una situazione di crisi e regresso. Tutti gli indicatori mostrano come gli Stati uniti d’America abbiano ormai perso il loro status di maggiore potenza mondiale. Nel 2030 il 66 per cento dell’economia mondiale sarà gestito dalla Cina mentre nel 2050 il Prodotto interno lordo (Pil) statunitense sarà il terzo a livello globale dopo Cina e India.
Il campo della scienza e della tecnologia è sempre più dinamico nel sud-est asiatico. La consapevolezza politica accumulata dai venezuelani e dalla popolazione dell’America latina negli ultimi 15 anni hanno segnato la regione. Oggi l’unica dimensione in cui gli Stati uniti mantengono la loro egemonia è quella militare. I colpi di stato in Paraguay e in Brasile non sono sufficiente per intimorire il blocco formato dal Venezuela, dalla Bolivia, dal Nicaragua, dove la popolazione ha confermato alla presidenza con oltre il 70 per cento Ortega. Tutto il mondo ha visto che noi abbiamo saputo offrire un’alternativa al capitalismo statunitense. Per tutti questi motivi credo che la restaurazione conservatrice nella regione non sia destinata a realizzarsi.
Lo scorso 12 ottobre, in occasione della “Giornata della resistenza indigena” migliaia di venezuelani sono scesi in piazza contro le invadenze statunitensi ed in sostegno del presidente Maduro. Perché il Venezuela continua ad essere visto come un nemico da Washington?
Il Venezuela agli occhi degli Stati uniti rappresenta un’insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza. Non è facile capire il perché visto che abbia già ricordato l’indiscutibile egemonia militare degli Usa e quindi non si vede come noi possiamo essere una minaccia per la loro sicurezza nazionale vista la loro potenza. Loro ci vedono come una forza propulsiva, un paese leader nella difesa della sovranità dell’America latina, che non ha paura della loro onnipotenza e soprattutto disposto a resistere ai loro attacchi all’integrazione ed all’integrità della regione. Loro vogliono il nostro petrolio ma dicono che le loro preoccupazioni sono legate alla situazione geopolitica e geostrategica per via delle nostre alleanze avviate e consolidate dal presidente Cháve con la Cina, la Russia e l’Iran che non gli permettono di riprendere l’egemoni in America latina. Noi da parte nostra abbiamo proposto una società alternativa a quella capitalistica ma siamo consapevoli che questa alternativa deve essere pacifica, passare attraverso le elezioni e rispettare i valori della democrazia borghese. Noi aspettiamo con pazienza come ha fatto anche Cuba prima di noi.
Molti media occidentali stanno riportando da diverse settimane notizie inquietanti sul Venezuela. Si parla di carestie imminenti e di crisi alimentari, di un'inflazione ormai alle stelle e di una situazione sociale esplosiva, con le opposizioni pronte a chiedere la testa del presidente Maduro. Quanto c'è di vero in questo allarmismo?
Il governo bolivariano ha operato per cambiare lo status del paese attraverso le risorse petrolifere. Per oltre 100 anni però il nostro paese ha avuto un determinato assetto socioculturale e non è facile cambiare questa situazione da un giorno all’altro. Per oltre 15 anni il nostro governo ha dovuto difendere il suo operato ed il suo progetto politico nelle elezioni. Certo degli errori sono stati fatti, uno di questi ad esempio, è stato quello di affrontare la borghesia locale promuovendo le importazioni senza diversificare le produzioni. Questa strategia ha iniziato ad essere problematica con la caduta del prezzo del petrolio perché ci ha causato difficoltà nell’approvvigionamento di valuta estera. Inizialmente un barile di petrolio costava 130 dollari, poi è sceso fino a 28. L’allarmismo internazionale in merito alla nostra situazione sociale parla di scarsità e code per il cibo, denuncia l’inflazione e la crescita dei prezzi dei generi di prima necessità. Tra i risultati ottenuti dal nostro governo c’è quello del sostegno alla nostra economia attraverso la distribuzione di cibo e farmaci tramite società nazionali ed internazionali. L’allarmismo verso di noi è una delle strategie messe in atto dalle capitali che governano il mondo finanziario. È tutta una strategia per destabilizzare politicamente, socialmente ed economicamente, chi come noi ha cercato di realizzare un modello di società alternativo al capitalismo.
Al di là delle contrapposizioni politiche, è indubbio che il Venezuela, come molti altri Paesi produttori, ha pagato duramente il crollo del prezzo del petrolio. Questa situazione ha già messo in grave difficoltà alcuni Paesi del Golfo, ed altri produttori. Qual è la posizione del Venezuela in materia?
Il calo del prezzo del petrolio non è riuscito ad influenzare il nostro progetto socio-politico; il nostro governo infatti sta continuando a rafforzare ed accrescere le conquiste sociali raggiunte. Questi risultati spiegano perché il nostro governo, pur assediato a livello internazionale, rimane un punto di riferimento in tutta la regione. Ultimamente il prezzo del petrolio è tornato leggermente a salire, prima dell’ultima riunione dell’Opec in Algeria era già passato da 28 a 38 dollari, soprattutto per la scarsa resa del petrolio da scisto, ovvero quello estratto attraverso il fracking dagli Stati uniti. Tramite l’esportazione di altri prodotti abbiamo permesso alla nostra economia che prima dipendeva esclusivamente dal petrolio, di riprendersi. Sappiamo che le entrate derivanti dal petrolio non sono il futuro del paese ma è anche vero che senza l’esportazione del petrolio noi non abbiamo un futuro. Siamo stati tra i promotori della riunione dell’Opec in Algeria e successivamente abbiamo tenuto incontri bilaterali con Russia ed Iran. In seguito alla riunione in Algeria abbiamo ottenuto investimenti per 10,708 milioni di dollari. La riunione in Algeria ha deciso di limitare la produzione e così il prezzo del petrolio è tornato a salire. Noi abbiamo in programma di aumentare la produzione da 20 mila a 40 mila barili al giorno attraverso una joint-venture indo-venezuelana.
Di recente il presidente Maduro si è recato in Turchia per partecipare al 23 Congresso mondiale dell’energia. Può illustrarci la politica energetica del vostro paese e spiegarci come vengono utilizzati gli introiti?
La nostra politica petrolifera ed energetica è stata stilata in base all’ambiente in cui operiamo, non abbiamo dei modelli rigidi. Il nostro obiettivo principale è quello di utilizzare al meglio le nostre risorse energetiche per stimolare la crescita e sostenere il futuro sviluppo economico del nostro paese. A questo proposito ci siamo proposti da un lato di ridurre ogni minaccia esterna diretta a controllare il nostro petrolio dall’altro a mettere a punto un piano per una crescente domanda di petrolio che potrebbe arrivare fino a 100 milioni di barili al giorno. Ci siamo poi ripromessi di rispettare almeno il 90 per cento del piano industriale della Pdvsa (la compagnia petrolifera nazionale ndi) per il periodo 2005-2030; certificare le riserve della Cintura dell’Orinoco rafforzare dall’interno l’Opec ed ingrandire la nostra flotta navale destinata al trasporto di petrolio e gas; aumentare la nostra capacità di raffinazione arrivando a circa 2 milioni di barili al giorno, legare lo sviluppo della società allo sviluppo della nostra industria petrolifera, svolgere un ruolo chiave nel settore dell’integrazione regionale attraverso l’Alba ed la Petrocaribe ed infine diversificare il nostro portafoglio clienti non legandolo esclusivamente al petrolio.
Le recenti elezioni presidenziali statunitensi sono state vinte, un po’ a sorpresa dal candidato repubblicano Donald Trump. Questo quanto potrà incidere nei vostri rapporti con Washington?
Il nostro governo si è congratulato prontamente con il neo presidente Donald Trump, come dichiarato nel comunicato ufficiale: “Nell'auspicio di un futuro all'insegna del rispetto dei principi e dei propositi della Carta delle Nazioni Unite, che consacri l'uguaglianza sovrana degli Stati e l'autodeterminazione dei popoli, attraverso relazioni politiche e diplomatiche bilaterali basate sul rispetto. Speriamo che in questa nuova fase con gli Usa si possano stabilire nuovi paradigmi con la nostra regione, basati sul riconoscimento delle identità culturali, sociali e storiche dei nostri paesi, nel rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni, del diritto allo sviluppo e alla pace. Al tempo stesso auspichiamo che Washington sappia affrontare le grandi sfide economiche, sociali e politiche dell'umanità, perché la loro azione è importante per la pace e la stabilità mondiale”.
A più di tre anni dalla morte del compianto presidente Hugo Chávez cos’è rimasto delle tante strutture da lui ispirate e create nella regione, ad esempio l’Unasur, il Celac e l’Alba?
L’eredità lasciata da Chávez è molto grande. C’è il Celac (la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi ndi), l’Unasur (l’Unione delle nazioni sudamericane ndi), i rapporti paritari e pacifici con Cina, Russia, Iran e i paesi arabi. Tutto quanto fatto dal presidente Chávez rientra nel progetto di una società alternativa al capitalismo ed all’unità dell’America latina secondo il pensiero di Simón Bolívar Con il suo operato e le sue creazione Chávez ha dato alla regione un’autonomia ed una indipendenza politica che prima non aveva. Tutto può riassumersi sotto tre aspetti: l’integrazione dell’America latina, la crescita politica dell’America latina e l’aumento della sua coscienza politica ed infine il concetto di sovranità ed identità. Ha fatto capire che un’alternativa al capitalismo era possibile. Non sto parlando necessariamente di socialismo anche se tutte queste riforme sono state fatte nel segno del socialismo. Si tratta di un sistema che permette ai paesi di crescere e migliorarsi e permette una ridistribuzione della ricchezza ai cittadini per migliorare la sua condizione. Questo era il suo sogno e questo è ciò che lui ha voluto fare con la sua azione politica. Ha creato una democrazia non solo rappresentativa ma partecipativa, una democrazia completa dove non si decide al vertice ma decide il popolo insieme al governo.
Qual è la più grande eredita lasciata da Chávez al Venezuela ed alla regione e c’è un qualche struttura che purtroppo non è stata sviluppata appieno prima della sua morte?
In parte ho già risposto ma voglio parlare del Petrocaribe, un alleanza che comprende numerosi stati caraibico per l’acquisto di petrolio a condizioni di pagamento preferenziali. Ma si tratta di un progetto molto più complesso che riguarda tutto il settore energetico non solo il petrolio. Riguarda il gas, riguarda le infrastrutture. Vuole costruire relazioni ispirate alla solidarietà perché anche una relazione commerciale può essere una relazione solidale. Petrocaribe permette a chi acquista il nostro petrolio di pagare anche con beni e servizi e permette di pagare il petrolio meno di quanto il Venezuela fa pagare il suo petrolio al resto del mondo. Questo ci ha permesso di creare solide relazioni con tutta l’America latina. Se a questo uniamo l’Alba e il Mercosur abbiamo il tentativo di realizzare un mercato unico regionale, un mercato non pilotato e non controllato dagli Stati uniti dove tutti hanno le stesse possibilità. Un’America latina in cui la libertà sognata ed inseguita da Simón Bolívar è reale
Come sono attualmente i rapporti tra il Venezuela e gli altri paesi del continente indio-latino?
I rapporti con tutti i paesi del mondo, non solo con i paesi dell’America latina sono relazioni per aiutare la crescita di un progetto alternativo alla società capitalistica. Abbiamo instaurato queste relazioni con l’India, il Brasile e tutti i paesi del Brics. Per quanto riguarda l’America latina abbiamo relazioni organiche incentrate su una nuova concezione del socialismo, una concezione che contiene elementi propri della regione: è possibile che questa avvenga per via democratica e senza violenza, questo è un elemento molto importante, è la caratteristica principale di questo socialismo. In secondo luogo abbiamo creato relazioni basate sul concetto di solidarietà e competenza; anziché entrare in contrapposizione tra noi preferiamo lavorare insieme per risolvere i problemi. I prodotti di un paese possono servire ad un altro che da parte sua mette a disposizione dell’altro i propri servizi. Ad esempio per quanto riguarda le nostre relazioni con Cuba il nostro petrolio viene pagato anche attraverso le competenze sanitarie dell’Avana. Abbiamo instaurato relazioni di questi tipo con la Bolivia, la Repubblica dominicana e perfino il Brasile ed il Nicaragua. Queste relazioni di solidarietà ha creato un progetto di America latina per il mondo che coinvolge tutta la regione e non solo il Venezuela.
Quali sono attualmente i rapporti economici, politici e culturali tra l’Italia ed il Venezuela è in quali settori, eventualmente i nostri imprenditori potrebbero investire nel vostro paese giovando ad entrambe le economie?
Buoni. Gli italiani investono molto nelle infrastrutture, sono il paese che investe principalmente in questo settore in Venezuela, parliamo di 14 milioni di dollari l’anno. Buone possibilità di investimento ci sono poi nel settore agricolo, non solo a livello di macchinari ma anche per quanto riguarda le tecniche e le competenze. Le competenze italiane nel settore agricolo potrebbero essere molto utili per risolvere i nostri problemi economici interni, per diversificare la nostra produzione interna. Con la tecnologia e le competenze italiane possiamo ottenere ottimi risultati. L’industria agricola italiana può essere fondamentale per noi e in parte già lo è. Ad esempio da Bologna stiamo importando la tecnologia per la farina di mais che come voi sapete è molto importante nella nostra alimentazione. Questo macchinario è molto importante per noi. Abbiamo una quantità di mais sufficiente a risolvere i nostri problemi e il nostro fabbisogno ma non abbiamo la tecnologia per sfruttarla. Ci sono buone opportunità nel turismo, noi abbiamo spiagge, mari, montagne, deserto e foreste, abbiamo bisogno di turismo e gli italiani ne possono approfittare. Ci sono ottimi scambi nel settore energetico, l’Eni ha grandi investimenti in quella che noi chiamiamo la falda petrolifera dell’Orinoco, che è la più grande scoperta nel mondo. C’è poi il gas di cui l’Europa ha un grande bisogno e che potrebbe rappresentare un business nei rapporti con l’Italia.
In Italia purtroppo si sa poco del Venezuela e le notizie che arrivano troppo spesso sono presentate in un’ottica occidentale e filo statunitense che mira a mettere il vostro paese in cattiva luce. In Venezuela invece che opinione si ha dell’Italia?
L’Italia è molto importante per il Venezuela. Il nostro processo di indipendenza dalla Spagna ha visto la partecipazione italiana, alcuni italiani hanno lavorato alla stesura della nostra dichiarazione di indipendenza. Anche la scoperta della nostra varietà floreale è dovuta agli italiani. Molti italiani sono emigrati da noi in cerca di lavoro che per noi hanno rappresentato una sorta di scuola in materia di agricoltura, di infrastruttura e di lavorazione del legno. Noi sentiamo gli italiani molto vicini, conosciamo la storia italiana, di Roma del Rinascimento, la conosciamo perfettamente, come quella della Grecia antica. Conosciamo i grandi pittori e architetti del Rinascimento. La cultura italiana ci è molto vicina. Vogliamo che l’Italia sia vicina a noi come noi siamo vicini a voi, ma l’Italia è troppo eurocentrica; se l’Italia si rivolgesse maggiormente all’America latina, tutta la regione non solo il Venezuela, l’Italia troverebbe un grande mercato, ad esempio non impiegherebbe molto a risolvere i nostri problemi tecnologici. L’Italia purtroppo crede che il suo destino sia in Europa o in Cina, ma le nostre relazioni sono ottime.
Fabrizio Di Ernesto e Ettore Bertolini - Agenzia Stampa Italia