(ASI) – Abruzzo – Abbiamo intervistato il giornalista Domenico Rosa, abruzzese di Quadri (Ch), autore, insieme al Professore Roberto Carlo Deri, del libro “Avventure in Abruzzo. Tra Natura e Mistero”, vissuto per quindici anni a Firenze, dove si è laureato in Storia Contemporanea. Redattore di cronaca nera per “Il Sito di Firenze” e collaboratore delle riviste “Riscossa Cristiana” e “Controrivoluzione”.
Ha già pubblicato nel 2009, tra le altre cose, un saggio su “fiume Dannunziana” e ed è stato relatore ai Convegni della Tradizione Cattolica della “Fedelissima” fortezza di Civitella del Tronto.
Negli ultimi tempi sta portando avanti un percorso spirituale a Roma nella Comunità Religiosa dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù.
«Lei ha scritto il libro “Avventure in Abruzzo” con un altro autore Roberto Carlo Deri, di che cosa tratta?»
«Il motivo trainante del libro è sia un viaggio fisico nei luoghi abruzzesi sia nelle tradizioni folkloristiche che riguardano aspetti magici, come il malocchio».
«Qualche aneddoto particolare sull’opera?»
«C’è un capitolo, per esempio, in cui si parla del malocchio. Alcune informatrici ci hanno raccontato che vi sono tuttora delle personalità anche importanti che si rivolgono loro anche da Roma per farsi togliere il malocchio. Tra l’altro, durante la notte di Natale, c’è un rituale particolare che vede coinvolte anche ragazze giovanissime: nel momento della consacrazione, recitando una formula magica esse vengono iniziate a diventare guaritrici. C’è un sincretismo inoltre, perché comunque recitano delle preghiere, il che mostra un aspetto fortemente religioso in cui si invocano la Madonna e i Santi che viene mescolato con questo discorso del “magico”. La cosa che mi ha colpito è che la maggioranza di esse sono donne».
«Dov’è ambientato il libro?»
«Nella zona di Quadri, e più in generale nell'Alta Val di Sangro».
«Qualche altro particolare dell'opera che può raccontarci?»
«Nel libro c’è un capitolo in cui ci imbattiamo in un vecchietto che ci inizia il discorso del lupo mannaro e in questo frangente sentiamo degli ululati, per cui si percepisce anche una certa suggestione. Sempre nel romanzo, il mio collega inizia a sentire dei dolori perché nel frattempo, mentre ci siamo avventurati nella notte, è caduto e il vecchietto gli applica delle pomate per curarlo, ci offre del vino, il che è un modo per evidenziare la gentilezza degli abruzzesi. C’è anche un capitolo sul pane che si ricollega a una storia di legami: gli emigrati, quando ritornavano nei loro paesi come ad esempio la Svizzera, riportavano il pane abruzzese. Un altro aneddoto interessante è quello di una vecchia fornaia che racconta di alcune fate che energizzavano il pane, dando nuova linfa vitale alle persone meritevoli: ella narra di un periodo del dopoguerra in cui c’era molta povertà e in cui molte famiglie ritrovavano dei viveri».
«Che cosa avete voluto trasmettere con questo libro?»
«Diciamo che lasciamo che il lettore si faccia un’idea di ciò che viene raccontato senza dare giudizi personali su questioni come quella del malocchio, e desideriamo che l’Abruzzo venga riscoperto in tutte le sue tradizioni».
Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia