(ASI) È trascorso oltre un anno dal 26 settembre 2014, quando a Iguala (in Messico), sono state uccise sei persone, ne sono state ferite oltre quaranta e sono stati rapiti 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa. Dal fronte giudiziario messicano in questi mesi non si sono avute risposte chiare e univoche, ma è a Bruxelles che la situazione potrebbe cambiare.
Gli europarlamentari Gaby Küppers e Josep-María Terricabras hanno annunciato in conferenza stampa che il 3 marzo saranno presentati i risultati della controinchiesta, relativa ai 43 desaparecidos, effettuata dal Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes della Commissione Interamericana per i Diritti Umani. Un documento che smentisce con prove scientifiche la versione ufficiale del governo messicano, e che fa riferimento alla partecipazione attiva dell’esercito nei tragici fatti. Questo potrebbe forse indurre le autorità messicane a riconsiderare l’accaduto? A oggi, il 27º battaglione dell’esercito di stanza a Iguala non risulta essere stato sottoposto a nessun tipo d’indagine. Eppure il GIEI ha raccolto prove e testimonianze serie sulla notte delle sparizioni forzate, e afferma con decisione che nella discarica di Cocula non sono presenti i resti carbonizzati dei corpi dei 43 giovani (a dispetto di quanto sostenuto dalla magistratura messicana).
Dove sono gli studenti? Chi li ha davvero rapiti? Ma, soprattutto, cosa sta succedendo in Messico, Stato ufficialmente democratico che ha firmato con l’Unione Europea un Trattato di libero scambio che, nel primo articolo, prevede che si rispettino i diritti umani e che, nel 2015, il commissario europeo per il commercio, Cecilia Malmström, aveva già dichiarato di voler rafforzare? Questo impegno a stringere legami più vincolanti è il motivo per cui il 3 marzo sarà una data importante per verificare l’impegno dell’Europa a far rispettare le norme sancite dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo.
L’Accordo di libero scambio che UE e Messico vorrebbero rafforzato, è al centro della battaglia dei promotori dell’appello #MexicoNosUrge (presentato alla Camera dei Deputati italiana lo scorso 24 settembre e firmato, tra gli altri, dal Nobel Dario Fo, Paco Ignacio Taibo II, Roberto Saviano ed Erri De Luca); i quali vorrebbero “congelarlo” finché non si farà luce sulla vicenda dei 43 studenti e sulle continue minacce alla libertà di stampa. In Messico, infatti, secondo i dati ufficiali della Procura generale della Repubblica messicana, tra gennaio 2000 e settembre 2014, sono stati assassinati 102 giornalisti e ne sono scomparsi 17 (con comprovata connessione tra la loro professione e il crimine di cui sono stati vittime).
L’importanza di fare scelte chiare a livello europeo è ormai urgente. L’Italia, in primis, come terzo partner commerciale del Messico a livello di UE, ha il dovere di proporle. Ruby Villarreal, ex addetta culturale del Consolato Onorario del Messico in Toscana e a Firenze, e tra i promotori dell’appello #MexicoNosUrge, non ha dubbi sulle azioni da intraprendere. Lei stessa si è dimessa dall’incarico dopo la sparizione forzata degli studenti di Ayotzinapa e quella che definisce: «l’ennesima prova delle autorità diplomatiche messicane della loro volontà “istituzionale” di coprire le responsabilità dello Stato nei crimini commessi». E spiega: «Dall’avvento della guerra al narcotraffico, proclamata dall’allora Presidente Calderón, nel 2006, si è generata un’escalation di violenza. Da subito, ho percepito che tutti i documenti ufficiali del Ministero degli Esteri messicano sui fatti, e sulle cifre relative, non corrispondevano alla realtà. Non tornavano i numeri denunciati riguardo agli innocenti uccisi o spariti nelle regioni contese tra Narcos ed esercito (quelli che Calderón ha definito danni collaterali). Così come ritenevo e ritengo necessario scoprire la verità che si nasconde dietro al femminicidio di Ciudad Juárez. E ancora, sulla strage di migranti che tentano di raggiungere gli Stati Unti su quel treno merci che, nei suoi 4000 km di marcia, miete talmente tante vittime da essere stato soprannominato La Bestia».
La vicenda dei 43 studenti desaparecidos, che salirà alla ribalta di Bruxelles, è diventata argomento di discussione in tutto il Sudamerica grazie alle azioni performative globali, diffuse attraverso il web in tutto il mondo». Lo spiegano bene Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, fondatori della Compagnia teatrale Instabili Vaganti, appena tornati dalla tournée in America Latina, dove hanno messo in scena anche Desaparecidos#43, il loro ultimo spettacolo che racconta i tragici fatti di quella notte: «La modalità di trasmissione dell’informazione, attraverso le arti performative e i nuovi mass media, crediamo abbia fatto la differenza rispetto a vicende simili che hanno interessato altri Paesi sudamericani in passato».
Ma in Messico, quale clima si respira? È ancora la regista Anna Dora Dorno a raccontarlo: «Durante la nostra tournée, ci siamo resi conto che la protesta continua. Murales, monumenti, installazioni, tutto il Paese ne porta i segni. Ma qualcosa si è affievolito. Dopo le dure repressioni, alle manifestazioni la partecipazione è calata notevolmente. Circolano differenti versioni sui fatti, molte delle quali ideate al fine di scagionare lo Stato dalla mattanza. Abbiamo ascoltato versioni che parlano degli studenti di Ayotzinapa come di criminali, altre che li dipingono addirittura come giovani narcos. Tutto questo ci ha posto di fronte al meccanismo perverso delle sparizioni forzate, della manipolazione dell’informazione e del controllo degli organi di stampa».
Perché il Messico, dietro la facciata turistica, secondo il Dipartimento di Stato Usa è un Paese talmente pericoloso che, per quanto riguarda lo Stato di Guerrero (dove si trova Iguala), consiglia di differire qualsiasi viaggio non essenziale (tranne in tre città, fra cui Acapulco). Mentre lo Stato di Tamaulipas è completamente interdetto, anche se è qui che si trova Tampico, dove Instabili Vaganti hanno partecipato al festival teatrale Para el Fin del Mundo e dove la società civile messicana tenta di reagire: «Tampico è una tra le città più violente del Messico, dove di sera cala un tacito coprifuoco, molti edifici sono stati abbandonati a seguito della crescita del potere del narcotraffico, le madri hanno paura a lasciare uscire in strada i propri figli ma, nonostante tutto, si continua con passione a fare teatro. Forse, solo adesso ci rendiamo conto di quanto sia stato pericoloso essere ospitati in una delle abitazioni abbandonate di Tampico - ora casa occupata trasformata in residenza per artisti; o i rischi corsi a lavorare in un aereo dismesso, partecipando a una manifestazione culturale dal forte risvolto politico, che mira a riappropriarsi degli spazi in situazioni di degrado. Non è facile vincere il timore della gente locale, fare in modo che la sera esca dalle proprie case e popoli gli spazi riconquistati dall’arte. Non si tratta solo di assistere a degli spettacoli, ma di costruire una comunità che lotta per la propria città e il diritto alla cultura. Gli organizzatori del festival sono volontari che di giorno lavorano nelle fabbriche e di sera allestiscono gli spazi adibiti agli spettacoli, tutelando gli artisti dalle irruzioni della polizia in pick-up, assetto antisommossa e mitra. Le madri di questi ragazzi si prendono cura degli ospiti del festival come fossero i propri figli, cucinando per loro. Siamo stati davvero alla fine del mondo, un mondo che si stringe attorno al teatro e che non accetta di farsi sopraffare dall’ingiustizia. Penso che esperienze come queste siano importanti non solo per la comunità locale ma per l’umanità tutta e per l’arte, poiché mettono in evidenza il potere della cultura e del teatro e la capacità ancora viva di creare una comunità ideale carica di speranze».
Questo è l’altro volto del Messico: quello che non si arrende. Il prossimo 3 marzo capiremo Bruxelles con quale Paese è in sintonia.
Testo di: Simona M. Frigerio
Foto di: Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola
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