Xinjiang. Dove la Cina combatte il terrorismo

(ASI) Alcuni giorni fa Istanbul è stata teatro di un assalto organizzato contro il locale Consolato della Thailandia, fatto oggetto di un fitto lancio di sassi per poi essere violato e vandalizzato.

I responsabili delle violenze sono circa duecento attivisti turchi che intendevano così protestare contro il governo del Paese asiatico, "colpevole" - secondo loro - di aver "deportato" circa 100 musulmani uiguri in Cina dopo averli fermati in territorio thailandese. Gli uiguri arrestati si erano subito qualificati come turchi, ma le indagini della polizia hanno smentito le dichiarazioni rilasciate al momento del fermo e hanno fatto luce su una presenza sospetta. Imbarcati alla volta della Cina, li attenderanno nuove indagini e, stando alle indiscrezioni, l'accusa di complicità con le cellule terroristiche attive nella regione cinese dello Xinjiang.
Da anni, ormai, Pechino ha intensificato la lotta contro il separatismo in quell'area nord-occidentale del Paese, inserendo le istanze del separatismo, del terrorismo e dell'estremismo ("i tre mali", secondo la definizione del governo) fra le urgenze cui l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) deve far fronte. Del resto, da circa sei anni il livello di allerta si è significativamente alzato. Dopo i massicci disordini indipendentisti del luglio 2009 nella capitale regionale Urumqi, quando i governi locale e centrale furono costretti a dichiarare lo stato d'emergenza, la capacità di coesistenza multietnica e multiconfessionale ha subito colpi durissimi, esportando lo scontro fin nella Cina interna.
Gli attentati di Pechino e Kunming, colpite rispettivamente nell'ottobre 2013 e nel marzo 2014, hanno mostrato inedite capacità di infiltrazione del radicalismo uiguro. A Pechino con un'autobomba lanciata a tutta velocità in Piazza Tienanmen, cuore del potere politico nazionale, ma soprattutto a Kunming, dove otto killer armati di pugnali si sono improvvisamente scagliati sulla folla di una stazione ferroviaria uccidendo 33 persone e ferendone altre 143.

Le sigle del terrore in Cina
Malgrado la minoranza uigura conti poco più di 10 milioni di appartenenti in tutta la Cina (e circa 400.000 nel resto del mondo), il separatismo uiguro è molto radicato nella regione centrasiatica grazie alla particolare composizione del suo nucleo ideologico. A differenza di molti altri gruppi della galassia islamista, infatti, il radicalismo attivo nello Xinjiang fa leva su due fattori politici:
- Uno di tipo etno-nazionalistico, che rivendica l'appartenenza della regione alla "grande nazione turca" o "Turkestan", secondo la definizione che ne diede lo storico e diplomatico russo Timkovskij nel 1805, recuperando un termine medievale arabo passato in disuso nel corso dei secoli. Egli distingueva tra un "Turkestan occidentale", al tempo nel mirino dell'espansionismo zarista, ed un "Turkestan orientale", coincidente grossomodo con l'odierno Xinjiang. Secondo le tesi del panturchismo, sviluppatosi tra gli ambienti intellettuali di Istanbul e Budapest nel XIX secolo, il Turkestan coinciderebbe con un'enorme porzione territoriale eurasiatica compresa tra l'Anatolia e il Deserto del Gobi, da cui proverrebbero anche gli avi di popolazioni oggi stanziate in regioni molto lontane dall'Asia Centrale come finlandesi, estoni e giapponesi;
- L'altro, di matrice religiosa sunnita, connette la causa separatista uigura alla rete del terrorismo internazionale sin dai tempi in cui questa era guidata dalla creatura nera di Osama Bin Laden, al-Qaeda, irradiata nel resto del mondo a partire dalla regione egemonizzata dai talebani, tra l'Afghanistan e le Aree Tribali del Pakistan. Ridimensionata al-Qaeda con l'uscita di scena di Bin Laden nel 2011, la nuova struttura estremista internazionale fa principalmente riferimento allo Stato Islamico (IS) incuneatosi tra Siria e Iraq nel corso degli ultimi tre anni. Come sottolineava il Global Times in un editoriale del 2014, citando "varie fonti", tra cui "agenti dei servizi di sicurezza provenienti dalla regione curda irachena, dalla Siria e dal Libano", già lo scorso anno circa 300 estremisti uiguri risultavano arruolati nelle file del Califfato di al-Baghdadi, a dimostrazione della continuità di un rapporto che fa delle cellule attive nello Xinjiang pericolosi battaglioni di mujaheddin seriamente preparati alla cosiddetta "guerra santa".
La sigla più nota all'estero è l'Eastern Turkestan Islamic Movement (ETIM), fondata da Hasan Mahsum, probabilmente morto in un raid dell'esercito pakistano nel 2003 presso una località ai confini con l'Afghanistan. Fu accusata non soltanto dal governo cinese, ma anche dall'ex segretario di Stato USA Richard Armitage e dalle Nazioni Unite, di aver intessuto rapporti con al-Qaeda e di aver inviato diversi militanti nei campi di addestramento talebani in Afghanistan e in Pakistan (Aree Tribali e Waziristan Settentrionale). E' attualmente inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.
L'Eastern Turkestan Liberation Organization (ETLO), nota anche come SHAT (l'acronimo del nome in lingua uigura), è guidata da Mehmet Emin Hazret ed è stata accusata dal governo cinese per la maggior parte degli attentati e dei crimini compiuti dall'estremismo uiguro negli ultimi venticinque anni. In questo caso, però, il governo degli Stati Uniti si è sempre rifiutato di affiancare il nome di questa organizzazione a quello dell'ETIM nella lista delle organizzazioni terroristiche. Amnesty International ha addirittura più volte insinuato che la Cina volesse sfruttare la guerra al terrorismo internazionale per legittimare anche la repressione di "legittimi movimenti indipendentisti". Attualmente i suoi affiliati sono ricercati per terrorismo in Cina, Kazakistan e Kirghizistan.
L'Uyghur Liberation Organization (ULO) fu invece fondata da Hashir Waidi, che nel 1996 aveva annunciato di avere dalla sua un milione di sostenitori nello Xinjiang ed altri 12.000 all'estero, nei Paesi dell'Asia Centrale (principalmente in Uzbekistan e in Kirghizistan). E' stata considerata responsabile di gravissimi attentati e anche di alcuni per i quali in un primo momento si era pensato all'ETLO. Lo United Revolutionary Front of East Turkestan (URFET) fu fondata intorno alla metà degli anni Settanta. Il leader Yusupbeg Mukhlisi è un anziano guerrigliero principalmente attivo fino alla metà degli anni Ottanta. Dopo essere stato ricevuto presso il Dipartimento di Stato a Washington nel 1996, riprese le attività separatiste contro la Cina.

Perché la regione è cinese
La Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang è la divisione amministrativa più vasta della Repubblica Popolare Cinese. Si estende per 1.649.001 km2 nel cuore dell'Asia ed ingloba l'intera area del fiume Tarim, il bacino idrografico più grande del mondo ed uno dei più ricchi tesori minerari. Nello Xinijang risiedono 47 gruppi etnici, di cui 13 principali, che ne fanno un simbolo del carattere multietnico della nazione cinese, sancito dalla Costituzione. A differenza delle società occidentali, dove è il risultato di un afflusso migratorio di minoranze extracontinentali, il multietnicismo cinese è il prodotto storico di costanti e ripetuti processi di avvicinamento e fusione tra l'etnia cinese maggioritaria degli Han (pari al 92% della popolazione nazionale) e le minoranze autoctone stanziate al di fuori della Cina interna (Zhuang, Hui, Tibetani, Manchu, Mongoli, Kazaki, Tungusi ecc. ...). Gli Han oggi costituiscono il 40,1% della popolazione dello Xinjiang, in cui convivono da secoli con gli Uiguri (45,2%), i Kazaki (6,74%), gli Hui (4,55%), i Mongoli (0,8%), i Kirghisi (0,8%), gli Xibe (0,19%), i Tagiki (0,21%), gli Uzbeki (0,06%) e altre minoranze.
La prima penetrazione cinese in Asia Centrale risale ai tempi della Dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.), quando l'imperatore Wudi, nel 138 a.C., inviò una missione diplomatica sotto il comando di Zhang Qian presso la Valle del Fergana. Nel 121 a.C. le milizie imperiali cinesi sconfissero gli Xiong-nu (un nome delle fonti cinesi che potrebbe indicare gli Unni). Nel 102 a.C. i Cinesi conquistarono la città di Kokand, entrando così in contatto con i popoli persiani. L'area dominata a quel tempo dal Celeste Impero andava dunque ben oltre il territorio dell'odierno Xinjiang, accrescendo per almeno cinque secoli l'influenza cinese nella parte orientale dell'Asia Centrale con due obiettivi principali: garantire la sicurezza dell'Impero dalle scorribande delle popolazioni turche nomadiche ed incrementare il flusso commerciale con la Persia e con Roma attraverso le rotte della Via della Seta.
Con il declino della Dinastia Han, i popoli turchi provenienti dalla Mongolia e dalla Siberia meridionale poterono fondare un khaganato (552 d.C.) che andò a riempire per almeno due secoli il vuoto di potere creatosi in Asia Centrale. La Dinastia Tang (618-906), sotto il comando dell'Imperatore Li Shi-min, riconquistò nel giro di venti anni le città di Kucha, Khotan, Kashgar, Yarkand, Turfan, Bukhara e Samarcanda, ma la successiva avanzata araba del generale Qutaiba ibn Muslim fu inarrestabile. Gli eserciti musulmani presero Bukhara e Samarcanda fra il 711 e il 712, saccheggiarono la città di Kashgar nel 713, e cominciarono a diffondere la fede islamica in quasi tutti i territori conquistati, fino a quel momento influenzati da altri culti come lo zoroastrismo, il nestorianesimo, il taoismo e il buddhismo. La dura sconfitta nella Battaglia di Talaš, a Nord-Est di Taškent (odierna capitale dell'Uzbekistan), costrinse i Cinesi a ritirarsi verso i territori orientali. Sino alla prima metà del XIII secolo, l'area dell'odierno Xinjiang rimase sotto il controllo degli Uiguri, che sposarono la religione islamica soltanto a partire dal 934, quando Abdulkerim Satuk Buğra Khan, sovrano di Kashgar, decise di convertirsi al culto di Maometto.
Nella seconda metà del XIII secolo, la regione passò sotto il comando di Chagataj, uno degli eredi di Gengis Khan, che mantenne la sua egemonia sino al 1388. Dopo la rinascita culturale e politica della Cina imperiale sotto la Dinastia Ming (1368-1644), i Qing (1644-1911) tornarono a proiettare la nazione in Asia Centrale. Soltanto nel 1768, l'area circostante il Bacino del Tarim fu ribattezzata dai cinesi con il nome, oggi noto, di Xinjiang, ovvero "Nuova Frontiera".
Dal XIX secolo fino al 1949 lo Xinjiang fu ripetutamente alienato alla Cina nel quadro del Grande Gioco che vedeva gli inglesi contendere potere ai russi in Asia, in una sfida protrattasi "ufficiosamente" fino agli anni Trenta del Novecento, che vedeva di volta in volta cambiare i reggenti locali a seconda della sfera d'influenza. Come dimostra il sostegno di Londra al leader ribelle Khoja Niyas Hajji e al suo progetto di creare una Repubblica Turco-Islamica del Turkestan Orientale, in quegli anni l'islamismo fu principalmente legato ai tentativi di penetrazione britannica. Con la rivoluzione popolare condotta da Mao Zedong, lo Xinjiang è tornato definitivamente alla Cina e a partire dalla metà degli anni Cinquanta gode dello status di regione autonoma al pari del Tibet, del Ningxia, del Guangxi e della Mongolia Interna.
Se la storia evidenzia che lo Xinjiang fu cinese già molti secoli prima di essere uiguro e di subire l'islamizzazione araba, l'odierna composizione etnica mostra che gli stessi Uiguri ne sono soltanto la maggioranza relativa, rendendo di fatto infondato ed irrealistico qualunque progetto indipendentista.

Separatismo moderno e mire neo-coloniali
Sulla scorta della lezione storica, la Cina considera oggi la questione indipendentista nello Xinjiang inevitabilmente connessa alle interferenze di quelle potenze straniere che mantengono l'interesse di destabilizzare la Cina e/o di accaparrarsi le risorse naturali della regione.
Pechino cerca di favorire le politiche integrazioniste attraverso la dottrina dei Tre Inseparabili Legami (gli Han non possono fare a meno delle minoranze, le minoranze non possono fare a meno degli Han e ciascuna minoranza non può fare a meno delle altre) e numerosi programmi di sviluppo economico, sociale e culturale. I numeri parlano da soli: tra il 1952 e il 2001 il PIL dello Xinjiang è aumentato di quasi 43 volte, con un tasso di crescita annuale dell'8%, mentre tra il 1955 e il 2001 l'area coltivata è raddoppiata, il numero delle aziende è aumentato di 17,2 volte, la produzione di petrolio di 591,78 volte, quella di carbone di 43,68 volte, quella di cotone di 81,8 volte e quella di energia elettrica di 359,3 volte. Il Libro Bianco sulla Storia dei Corpi di Produzione e Costruzione dello Xinjiang (XPCC), l'amministrazione economico-militare sub-provinciale che dal 1954 guida le politiche di sviluppo in alcune aree-traino dello Xinjiang, rilasciato dal governo cinese nell'ottobre scorso, sottolinea che l'indotto produttivo nelle divisioni di competenza dei Corpi è aumentato di 220 volte rispetto all'anno di fondazione, con evidenti ripercussioni positive sul reddito individuale e sulla qualità della vita per l'intera regione. I programmi scolastici pubblicati in cinese, uiguro, kazako e mongolo, prevedono lo studio di almeno un'altra lingua rispetto a quella del proprio gruppo etnico, fornendo così ai giovani studenti dello Xinjiang grandi opportunità nei settori legati alla promozione culturale e al commercio interregionale e internazionale.
Eppure da Stati Uniti, Europa e Turchia si levano ancora troppe voci pronte a soffiare sul fuoco di una tensione che, facendo leva su trascorsi storici antichi ma ancora non completamente dissipati, può risvegliarsi in qualsiasi momento catturando le menti più deboli e volubili della popolazione uigura, in gran parte estranea al terrorismo e al separatismo.
L'Uyghur World Congress diretto da Rebiya Kadeer, esule negli Stati Uniti, e l'East Turkestan Information Center, guidato da Abduljelil Kalakash in Germania, costituiscono così il "volto presentabile" dell'indipendentismo uiguro moderno. Tra Nord America ed Europa la rete coordina manifestazioni ed eventi culturali che promuovono la causa separatista, ma soprattutto garantisce assistenza e protezione alla diaspora uigura. Stando alle cifre fornite dalla studiosa Yu-Wen Chen nel suo recente The Uyghur Lobby. Global networks, coalition, and strategies of the World Uyghur Congress (Ed. Routledge - 2014), tra il 2004 e il 2011 la ong statunitense National Endowment for Democracy (NED) ha versato circa 3,8 milioni di dollari nelle casse delle organizzazioni uigure, di cui 948.000 dollari al Wolrd Uyghur Congress e circa 1,7 milioni alla Uyghur American Association.
Come spesso accade in questi casi, tra l'attivismo non-violento e quello violento viene così a crearsi una zona di penombra in seno alla quale alcune organizzazioni possono ottenere una legittimazione politica, sebbene indiretta, che evidenzia un pericoloso doppio standard nella valutazione del terrorismo in campo internazionale, con il popolo dello Xinjiang, compresi gli Uiguri, a subirne le conseguenze più brutali.

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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