Questi organi cercano di influenzare il governo direttamente o di esercitare un’azione sull’opinione pubblica tramite i media. Tale attività si definisce lobbismo. Il lobbismo non è fondamentalmente negativo: tutti i gruppi in una società lo praticano per fare ascoltare le proprie istanze, anche gli operai organizzati in sindacati, le associazioni ecologiche, le organizzazioni per la protezione dei diritti umani o i rappresentanti di minoranze. Tuttavia gli organi che rappresentano gli interessi delle élite economiche, grazie al loro potere finanziario, hanno molte più possibilità di mettere politici e media sotto pressione. Il lobbista di lunga data Daniel Guéguen avverte che “in futuro le lobby utilizzeranno strategie sempre più drastiche che probabilmente comprenderanno pratiche come la manipolazione, la destabilizzazione e la disinformazione”. Il grosso delle decisioni di rilevanza economico-politica in Europa viene preso a Bruxelles, dove attualmente lavorano circa 15.000 lobbisti. Il problema è che il “governo europeo”, la Commissione Europea, fondamentalmente come è risaputo da tempo ormai, non ha alcuna legittimità democratica, perché de facto non viene votata dalla popolazione dei Paesi dell’Unione Europea, ma nominata dal presidente della Commissione.
A sua volta questi viene scelto dai capi di Stato e di governo dei singoli Paesi membri. L’influenza delle lobby economiche sulla Commissione europea è enorme e ha ancora più peso, dato che la Commissione europea ha ampi poteri legislativi ed esecutivi. Inoltre ai parlamentari europei l’aiuto di organi di rappresentanza risulta molto gradito, poiché la quantità di lavoro è tanta e sono numerosi i progetti di legge da deliberare. Un gran numero di leggi europee, quindi, viene quasi copiato parola per parola dalle proposte formulate per i politici dai rappresentanti delle multinazionali. Ma la Commissione e il Parlamento europei non dovrebbero essere impiegati per il bene della popolazione? Un esempio significativo di lobbismo è il comportamento di gruppi petroliferi come ExxonMobil, ma anche dei produttori tedeschi di automobili come BMW, Daimler e Porsche, che, per mezzo di atteggiamento aggressivo, tentano di impedire che la UE prenda provvedimenti vincolanti per quanto riguarda la protezione del clima attraverso la riduzione del CO2. La loro motivazione è semplice da spiegare: standard ambientali più alti diminuirebbero i profitti di queste imprese. Un altro esempio è il tentativo delle lobby dei grossi gruppi di imporre leggi rigide sui brevetti per il software. I brevetti concedono all’inventore per venti anni l’esclusiva per commercializzare il suo prodotto. E comprendono anche il metodo per produrlo, perché anche questo va protetto. Se applicassimo questo principio alla letteratura, qualcuno potrebbe per assurdo ottenere il brevetto per i romanzi gialli che prevedono che il “giardiniere sia l’assassino”. Nessun altro avrebbe il diritto di costruire il suo giallo su una trama come questa, se non pagando una commissione al suo presunto ideatore. Sembra assurdo? Certo, ma nell’economia è una realtà. Microsoft ha brevettato una cosa semplice come il doppio click con il mouse. Ovviamente nessun programmatore che utilizzi il doppio click nel suo software può permettersi di pagare una commissione alla Microsoft. Questi brevetti “triviali” hanno più che altro lo scopo di eliminare la concorrenza sgradita. Per fortuna finora gli eccessi più assurdi delle normative sui brevetti sono naufragati per merito del parlamento europeo. Questo però non impedirà ai membri della Commissione europea di tentare di imporre gli interessi delle multinazionali.
La politica dell’Unione Europea spesso fa proprio ciò che desiderano i potenti dell’economia: si occupa per esempio di rendere la politica agraria più conveniente per l’industria o di costruire superstrade nell’interesse di industria e imprese di trasporto. Molti politici dell’Unione Europea perdono di vista il fatto che in realtà dovrebbero difendere gli interessi sociali e ambientali dei cittadini dell’UE. Nel 2007 per esempio, l’Austria fu costretta ad ammettere l’importazione di cibi modificati geneticamente, nonostante non solo la maggioranza della popolazione , ma perfino il governo austriaco fosse contrario. Per fare accettare tali decisioni le multinazionali devono condizionare, come accade spesso, l’opinione pubblica. Questo riesce loro abbastanza facilmente, dato che anche in Europa la maggior parte dei media è economicamente dipendente dalle grosse aziende. I grandi editori e le stazioni radio sono proprietà di imprese con fatturati miliardari come Bertelsmann, Springer, Holtzbrinck o il gruppo WAZ. Inoltre non esiste quasi nessun giornale né canale televisivo che sia in grado di sopravvivere senza i milioni provenienti dalla pubblicità. Un esempio di questo è il settimanale austriaco viennese “Format”, il quale ha molteplici difficoltà nel far sentire la sua “voce contro” o pubblicare un articolo critico. Nel settimanale “Format” lavorano giornalisti professionisti eccellenti, come negli altri media. Questi giornalisti si accorgono quanto sia difficile fare il proprio lavoro nel pubblicare articoli critici sulle multinazionali dai quali non sono ben visti. L’esempio del settimanale Format, è l’esempio lampante, ma ne esistono moltissimi di casi nel settore dell’editoria, dell’informazione corretta la quale cerca di portare alla luce notizie che per l’opinione pubblica sarebbe difficile da raggiungere.
Non c’è nemmeno più bisogno di una censura ufficiale, la maggior parte dei giornalisti ha la forbice della censura già in testa. Una domanda sorge spontanea dopo quanto scritto: bisogna smettere di utilizzare i media? Certo che no, sarebbe la strada sbagliata e sarebbe una vittoria del sistema lobbistico. Abbiamo invece bisogno dei mezzi di comunicazione, tenendo ben presente che spesso le informazioni celano interessi economici di potere. Per questo è molto importante informarsi da più fonti. Se poi se ne discute con altre persone e si scambiano le idee non si è più alla mercé della pubblicità e dei partiti populistici e ci creiamo così una nostra opinione. La globalizzazione delle multinazionali non è una catastrofe naturale di fronte alla quale governi e società sono impotenti. Soprattutto i ricchi Paesi industrializzati hanno ceduto molto presto alla pressione dei grandi gruppi, concedono loro molte libertà, invece di obbligarli alla protezione dell’ambiente e dei diritti umani. Questa politica viene definita neoliberista. A differenza del liberalismo politico, che mira alla libertà di tutti i membri di una società, il neoliberalismo fa riferimento soltanto alla libertà di mercato. Ne consegue che persone ed aziende possano concludere affari senza alcun limite. Che questo danneggi o meno la nostra società e il nostro pianeta, non ha importanza.
In pratica siamo arrivati al punto che soprattutto i grandi gruppi e le persone molto ricche abusano della globalizzazione per i propri interessi e si arricchiscono ulteriormente per mezzo di sfruttamento, guerre, danni all’ambiente o speculazioni finanziarie. Quasi non esistono leggi che lo impediscano. Perfino in beni indispensabili alla vita come acqua, alimenti base e energia, ma anche la forza lavoro umana, le multinazionali vedono soltanto una merce da cui trarre profitti. Il neoliberismo non desidera una società responsabile. E’ meglio che la popolazione e anche i politici si immischino nell’economia il meno possibile, per non disturbare le libere energie del mercato. L’ideale per i sostenitori del neoliberismo sarebbe che tutti i beni e i servizi fossero proprietà privata. Se fosse per loro abolirebbero la proprietà dello Stato e non dovrebbe esistere più niente che fosse proprietà di tutti o di nessuno. Per costoro il mondo è semplicemente una merce con la quale fare soldi.
Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia
Fonte: Arianna Editrice
“Il libro delle multinazionali” di Klaus Werner Lobo