(ASI) La globalizzazione ha reso i gruppi multinazionali i Signori del mondo. Fanno pressione sui governi, traggono profitti dallo sfruttamento, dalla violazione dei diritti umani e dalla distruzione dell’ambiente e inoltre mettono a repentaglio la democrazia. Se vogliamo comprendere per quale motivo le ricchezze del mondo siano distribuite in maniera così poco equa dobbiamo interessarci di economia teorica.
Dall’industrializzazione dell’Europa nel Settecento, l’economia di mercato capitalista è il sistema economico dominante. Beni e servizi sono trattati secondo domanda ed offerta. Chiunque abbia denaro può acquistare beni e pagare qualcuno che lavori per lui e ne produca. Poiché la merce può essere rivenduta si crea un circolo: si forma un capitale che, a sua volta, permette di produrre beni e servizi. I sostenitori del capitalismo e dell’economia di mercato lo considerano un sistema relativamente equo. In fin dei conti ognuno si riserva la facoltà di vendere qualcosa e, in questo modo, di accrescere il proprio patrimonio. All’inizio della sua carriera Bill Gates aveva un’idea fantastica, ma quasi nessun capitale. Fondò la ditta Microsoft che crebbe sempre di più, poiché molti vollero acquistare il sistema operativo per computer Windows da lui sviluppato. Oggi Bill Gates è il terzo uomo più ricco del mondo, con migliaia di dipendenti. La maggioranza delle persone ha meno fortuna. Non hanno un’idea di successo paragonabile a quella di Bill Gates o vivono in condizioni tali da rendere impossibile una simile carriera. Coloro che nascono ricchi hanno buone probabilità nella vita di accrescere il proprio patrimonio. Al contrario, per coloro che sono nati poveri e non hanno avuto accesso a una buona istruzione, per coloro che forse hanno avuto di rado o addirittura non hanno mai avuto abbastanza da mangiare né cure mediche di base, per loro è inutile cercare di rifuggire la miseria senza aiuti esterni. Alla fine del XIX secolo molti teorici cominciarono a criticare il capitalismo per le sue ingiustizie. Il più conosciuto fra tutti fu Karl Marx, che mise per iscritto la sua critica in libri come “Il Capitale” o “Il Manifesto del partito comunista” , scritto con Friedrich Engels. Marx ed Engels perseguivano una società senza classi, nella quale tutti i beni fossero ripartiti equamente. A quei tempi erano soprattutto i numerosi operai a sentirsi sottomessi dalla classe regnante dei ricchi e a rivoltarsi contro di loro. Questa fu la base della rivolta comunista nel XX secolo, in testa a tutti la Russia. Le rivoluzioni crearono un gran numero di Stati socialisti. Il socialismo era ritenuto uno stadio preliminare del comunismo, che rappresentava l’ideale di una società priva di classi, quindi una società priva di proprietà privata e di differenze sociali.
Eppure la realtà in questi Stati, e prima fra tutti nell’Unione Sovietica, fu tutt’altro che equa. Dopo la rivoluzione conquistarono il potere politici corrotti che sottomisero i loro popoli e li tennero sotto sorveglianza. La storia del socialismo reale delle repubbliche sovietiche e degli Stati loro alleati è per questo motivo la storia di gravi violazioni di diritti umani, che hanno luogo ancora oggi in Paesi come la Cina e la Corea del Nord. Con la caduta del muro di Berlino e il crollo del socialismo reale nel 1989, l’economia di mercato capitalistica si impose come sistema mondiale. Allo stesso tempo, negli ultimi due decenni del secolo scorso iniziò una nuova era. Il progresso tecnico con i computer, le nuove tecnologie di comunicazione come internet, i mezzi di trasporto più veloci e meno costosi, ma anche l’abolizione di regolamentazioni politiche nel commercio mondiale; per esempio i dazi, portarono a un’enorme accelerazione di intrecci internazionali, soprattutto in ambito economico. Questo è il processo che va sotto il nome di Globalizzazione. Il termine Globalizzazione descrive il crescente collegamento mondiale in tutti i campi; in economia, in politica, nella cultura e nella comunicazione. Di per sé è qualcosa di positivo: io ho amici e amiche in Brasile, in Congo, Australia con i quali posso chattare, scambiare e-mail e parlare tramite computer in lingue diverse e pressoché gratis. Scarico i file più nuovi di musica di gruppi e dj internazionali e guardo video provenienti da tutto il mondo su YouTube. Inoltre mi godo il caffè di commercio equo e solidale della Bolivia, cioccolato del Ghana e banane del Costa Rica. E ogni tanto salgo su un aereo per andare a visitare regioni lontane, nonostante sappia che non è un bene dal punto di vista ecologico e che solo pochi possono permetterselo.
Internet ha reso il mondo un “villaggio globale”, nel quale persone di continenti diversi possono incontrarsi per fare due chiacchiere virtuali. La nostra quotidianità invece somiglia più ad un supermercato globale: i nostri pomodori vengono raccolti in Olanda e lavati in Marocco, i nostri jeans vengono cuciti in Cina con cotone indiano e commercializzati da un’azienda americana, i nostri cellulari vengono disegnati in Finlandia, assemblati a Taiwan a partire da singoli componenti le cui materie prime provengono dal Congo e sono state processate in Germania. Ci sono siti tipo www.getfriday.com dove manager impegnatissimi hanno addirittura la possibilità di prenotare una segretaria che dall’India fissi per loro un appuntamento dal dentista a New York, ormai costa meno che pagare una segretaria americana. Il problema della globalizzazione è che, come il capitalismo, rappresenta un vantaggio soprattutto per coloro che sono già relativamente ricchi. Un piccolo contadino per esempio può vendere i suoi prodotti solo su mercati locali. Lui e la sua famiglia dipendono per la loro sopravvivenza dai prezzi che riescono a ottenere. Per un gruppo agrario multinazionale invece il mondo intero è un unico mercato: le materie prime possono essere acquistate dove sono attualmente meno costose, successivamente vengono processate a basso costo e infine vendute ovunque. Le spese del trasporto non hanno grande rilevanza, poiché le multinazionali hanno messo i governi sotto pressione e ottenuto il loro sostegno sotto forma di grosse sovvenzioni. Si sono anche preoccupate di non dover pagare troppe tasse e di non essere ostacolate da leggi eccessivamente severe.
La multinazionale è definita come la fusione di più imprese in un’unità economica. La globalizzazione ha fortemente promosso la costituzione di multinazionali attraverso la facilitazione dello scambio internazionale di merci, capitale e servizi. Oggi quasi tutte queste aziende traggono profitti dalla produzione nei cosiddetti Paesi a basso costo del lavoro, quindi in Paesi poveri, nei quali gli stipendi sono molto bassi. La produzione ha luogo in quei Paesi. La merce viene venduta in tutto il mondo con ampi margini di guadagno. Quando fino circa agli anni Ottanta del secolo scorso l’Adidas fabbricava scarpe a Herzogenaurach in Baviera doveva rispettare gli standard sociali ed ecologici tedeschi. Tramite la globalizzazione Adidas guadagna oggi nettamente più di allora. Le scarpe da ginnastica ora vengono cucite da operaie in Cina o in Indonesia per circa 40 centesimi il paio. Il prezzo di vendita in Germania però è attorno ai 100 euro. Il trasporto dall’altra parte del mondo ovviamente non è molto ecologico, e mentre le persone nei Paesi più poveri fabbricano i nostri prodotti di consumo per stipendi minimi, nei Paesi industrializzati vanno persi migliaia di posti di lavoro. Le multinazionali, invece, attraverso la globalizzazione sono diventate ricche e potenti.
Tra il 1980 e il 2004 il numero totale delle imprese multinazionali è aumentato da 17.000 ad oltre 70.000. Le 500 maggiori aziende del mondo controllano oggi circa il 70% del mercato globale. Il loro fatturato nel 1994 equivaleva al 25% del prodotto interno lordo del mondo; nel 2005 ammontava già a più del 33%. Eppure queste imprese danno lavoro solo allo 0,05% della popolazione mondiale, quindi nessuno può sostenere che abbiano creato posti di lavoro. In effetti per colpa loro sono stati annientati numerosi posti in piccole e medie imprese e nell’agricoltura. Se si accosta il Pil dei Paesi più ricchi al fatturato delle principali multinazionali ci accorgiamo che tra le cento maggiori potenze economiche troviamo tanti Stati quante aziende. I dati infatti lo confermano. Molte multinazionali sono economicamente più forti di interi paesi. La catena americana di supermercati Wal-Mart e il gruppo petrolifero ExxonMobil (conosciuto per i distributori di benzina Esso e Mobil) hanno già superato Austria e Polonia. I discendenti del fondatore di Wal-Mart, Sam Walton; possiedono 82 miliardi di dollari e sono tra le famiglie più ricche e potenti del mondo. Ma concretamente che aspetto ha il potere delle multinazionali?
La maggior parte delle imprese multinazionali ha sede nei Paesi ricchi industrializzati; primi fra tutti gli Stati Uniti, i Paesi dell’Unione Europea e il Giappone. In politica sono enormemente influenti, nonostante tutti gli Stati nominati siano delle democrazie, nelle quali il potere dovrebbe appartenere al popolo e non alle grosse aziende.
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