(ASI) Enrico “Chico” Forti, classe 1959, è un italiano che da dodici anni, precisamente dall'11 ottobre 1999, è confinato entro una cella di un carcere di Miami, negli Usa. Dodici anni (stilla di un ergastolo comminato nei suoi confronti) durante i quali Chico ha perso la propria libertà, in base a un processo che viene ritenuto totalmente irregolare.
A nulla sembra servire il grido di rabbia che un determinato Chico Forti emette dalle viscere di questo girone dantesco che è il sistema carcerario americano; un grido che trova eco soltanto nel contributo che amici e familiari di Chico stanno spendendo per denunciare, presso autorità e media italiani, l’assurda vicenda.
Agenzia Stampa Italia ha incontrato Gianni Forti, zio dell’imputato, che ci ha esposto con chiarezza un quadro dal quale traspare un pessimo sistema giudiziario, indegno di una democrazia.
Sig. Gianni, quando ha inizio, per Chico, questa disavventura che lo ha condotto nel vortice di ciò che avete definito un “processo surreale”?
Chico Forti, ex campione internazionale di windsurf, a fine carriera agonistica si era trasferito in Florida all’inizio degli anni ’90 e svolgeva un’attività di successo come filmaker di spot pubblicitari e produttore di servizi televisivi sugli sport estremi. Viveva in un residence esclusivo della città denominato Williams Island. Si occupava anche di transazioni immobiliari.
La sua disavventura inizia quando sotto casa sua è venuto ad abitare, nella primavera del 1997, un tedesco di nome Thomas Knott. All’interno dell’isola, costui svolgeva la mansione di istruttore di tennis, tenendo nascosto però il fatto di essere scappato dalla Germania durante un periodo di libertà vigilata.
Era stato condannato a scontare sei anni di detenzione per truffe miliardarie. Aveva trovato modo di stringere amicizia con Chico e di collaborare con lui alla realizzazione di un filmato sulla fine di Cunanan, il presunto assassino di Gianni Versace.
Parentesi. Proprio questo filmato potrebbe essere la causa principale dei guai di Chico e giustificare l'incredibile accanimento giudiziario contro di lui. Infatti, nell'inchiesta che aveva condotto, dimostrava che Cunanan non poteva essere l'assassino di Versace, in netto contrasto con quanto sostenuto ufficialmente dalla polizia di Miami in chiusura dell'inchiesta.
Chiusa la parentesi e continuo con la cronologia storica della vicenda.
Alla fine del ’97, Knott invita a Miami una sua vecchia conoscenza, un albergatore di Ibiza, tale Anthony Pike. I due propongono a Chico Forti l’acquisto dell’albergo che Pike intendeva vendere a prezzo molto conveniente.
Chico Forti firma un accordo di vendita e versa degli anticipi in contanti, non sapendo che in realtà stava subendo una truffa perché l’albergo non era più di proprietà (per il 95%) di Anthony Pike.
Chico pensava che tutto fosse regolare, ma aveva scoperto i precedenti di Knott e preteso che fosse escluso dalla trattativa. Da quel momento, l'albergatore cominciò a chiedere una serie di favori a Chico, in attesa di concludere l'affare dell'albergo. Tra le altre cose Anthony Pike pregava Chico di aiutarlo a far rientrare suo figlio dalla Malesia (dove si trovava nei guai), perché non aveva il denaro per farlo lui stesso. Chico acconsentiva e pagava il biglietto aereo a Dale Pike.
Sempre appoggiandosi sull’accordo della compravendita dell’hotel in corso per il rientro a Ibiza, le pretese di Anthony Pike venivano avanzate a raffica, l’ultima delle quali era quella di ospitare lui e Dale a Miami per una vacanza.
Chico Forti acconsentiva ancora una volta e provvedeva a pagare i biglietti aerei per entrambi per il viaggio dalla Spagna fino a Miami previsto per il 15 febbraio 1998.
All’ultimo momento, un inaspettato cambiamento di programma dell’albergatore. Dale sarebbe andato a Miami da solo e il padre l’avrebbe raggiunto il giovedì successivo, dopo essersi incontrato con Chico Forti a New York il mercoledì 18 per un altro appuntamento d’affari.
Quella domenica Chico va all’aeroporto per prendere Dale Pike (fino a quel momento non l’aveva mai visto né conosciuto) per ospitarlo a casa sua. Lungo il tragitto però, dopo una telefonata, Dale dice a Chico che non sarebbe andato a casa sua ma gli chiede di accompagnarlo ad un ristorante di Key Biscayne, dove lo stavano aspettando degli amici di Thomas Knott.
Chico accompagna Dale al parcheggio di questo ristorante, dove giungono verso le ore 19. Dale scende e sale su di una Lexus bianca che lo stava aspettando. Chico se ne va di corsa verso l’aeroporto di Forti Lauderdale (dove arriva verso le 20) per prendere il suocero e i suoi figli in arrivo da New York.
Quella sera stessa Dale Pike veniva ucciso con due colpi di pistola alla nuca. Il suo corpo veniva ritrovato il giorno seguente da un surfista, in un boschetto lungo una spiaggia distante tre miglia dal ristorante dove Chico l’aveva lasciato.
Era completamente nudo, ma vicino al cadavere c’erano molti oggetti, tra cui la carta d’ingresso negli Stati Uniti, che hanno facilmente fatto risalire alla sua identificazione
Questa premessa è stata necessaria perché delinea la scena su cui si è basato il coinvolgimento di Chico Forti nell’omicidio
Nelle ore successive alla morte di Dale Pike, Chico è sottoposto a un massacrante interrogatorio da parte delle autorità americane, a margine del quale egli pronuncia delle ammissioni. Che idea vi siete fatti di questo determinante passaggio della vicenda?
Come detto, il mercoledì successivo (18 febbraio), Chico si reca a New York per l’appuntamento con Anthony Pike. Quest’ultimo non arriva e la persona presso la quale i due dovevano trovarsi, informa Chico di quello che era successo a Dale. Gli dice anche che l’albergatore era stato dirottato dalla polizia a Miami e che lui doveva tornare e mettersi in contatto con i detective che seguivano il caso. Chico chiede l’aiuto di un ex poliziotto conosciuto durante la realizzazione del filmato su Cunanan, che gli assicurava la sua assistenza per tenerlo fuori dai guai.
Giunto a Miami, non trovando Anthony Pike da nessuna parte, si reca al dipartimento di polizia per mettersi a disposizione e spiegare il suo rapporto con Dale Pike, la vittima.
In quell’occasione i detective gli dicono che non era stato ucciso solamente Dale, ma che anche il padre era stato ammazzato a New York. Una menzogna studiata per mandarlo in “tilt”.
Chico cade nella trappola e colto dal panico, dice di non aver incontrato né Dale a Miami, tantomeno Anthony a New York. La prima era una bugia, ma la seconda era la verità.
Tuttavia, il giorno seguente Chico ritorna alla polizia per portare dei documenti e riferire del suo incontro con Dale Pike. Troppo tardi. Viene arrestato e incolpato dell’omicidio, senza l’assistenza di un avvocato, come previsto dalla legge Miranda.
E’ così che Chico finisce in Tribunale con l’accusa di omicidio. Può spiegarci quali sono state le teorie sulle quali il Pm Reid Rubin ha formulato le accuse nei suoi confronti?
L’accusatore ha sostenuto la tesi che Dale Pike fosse venuto a Miami per bloccare l’affare della compravendita dell’hotel, perché riteneva che il padre fosse incapace di intendere e di volere, e quindi impedire che Chico Forti si approfittasse di lui. Un ostacolo che andava eliminato, ecco il movente.
Ma le cose non stavano così. Chico Forti era il truffato e non il truffatore e il prosecutor lo sapeva benissimo per ammissione dello stesso albergatore in una deposizione.
Infatti Chico Forti inizialmente accusato di truffa, è stato assolto da questa accusa dallo stesso tribunale che poi l’ha condannato per omicidio.
Ma questo non è mai stato detto alla giuria e la truffa è stata usata scorrettamente come movente.
L’arringa dell’accusa arriva dopo ben venti mesi di preparazione, con il vantaggio di costituire l’ultima parola rispetto alla difesa. Come è possibile che in un processo in cui è in ballo la vita di una persona l’ultima parola competa all’accusa? E la difesa, dal canto suo, non ha richiesto di sollevare alcuna obiezione?
Chico è stato processato praticamente senza difesa. Le mancanze e le omissioni da parte dei suoi legali sono talmente tante e gravi che ci hanno fatto addirittura pensare ad una collusione.
L’ultima parola spetta all’accusa solo nel caso che l’imputato non venga chiamato alla sbarra. Ma questa regola Chico non la conosceva e si è fidato dei suoi avvocati quando asserivano che nessuna giuria al mondo avrebbe potuto condannarlo. E’ stato su consiglio dei suoi avvocati che Chico non ha deposto davanti alla giuria e così non ha potuto difendersi e giustificare la bugia detta nell’immediatezza del suo arresto.
Dopo poche ore dall’arringa, la giuria popolare emette il proprio verdetto di condanna all’ergastolo. Come spiega una rapidità tale da far sembrare quello nei confronti di Chico un processo sommario?
La giuria è stata fuorviata e ingannata dalle menzogne dell’accusatore nell’arringa finale. Non essendoci possibilità di replica, il prosecutor ha avuto praticamente mano libera e ha infilato una serie di accuse inventate e inesistenti, mai discusse durante il processo e senza alcun sostegno probatorio. Usando la truffa come movente e la bugia come prova di colpevolezza.
Neanche Thomas Knott è stato chiamato alla sbarra, benché fosse l’anello di collegamento di tutte le situazioni ibride della vicenda.
Agli occhi della giuria Chico Forti era semplicemente un italiano bugiardo, truffatore e mafioso e quindi automaticamente colpevole.
E’ corretto ritenere che il processo sia stato costellato di diritti negati nei confronti dell’imputato? Se sì, quali?
E’ più che corretto ritenere che il processo fatto a Chico Forti sia stata un’interpretazione farsesca della volontà giustizialista dell’accusa. Contro di lui non c'era alcuna prova oggettiva. Niente testimoni, impronte, arma del delitto e neanche il movente. Persino il DNA è risultato negativo.
A Enrico Forti è stato negato il diritto allo Speed Trial (processo veloce entro sei mesi dall’arresto) per avvenuta scadenza dei termini di legge dal primo arresto (20 mesi).
Il diritto allo Speed Trial gli è stato negato perché fu applicata la Regola Williams, cioè l’esistenza di una diretta connessione tra l’ottenimento di un illecito guadagno (truffa) e la consumazione dell’omicidio.
Questa regola sarebbe dovuta essere revocata perché Enrico Forti era già stato precedentemente assolto in istruttoria dall’accusa di frode.
Anche la deposizione rilasciata da Enrico Forti come testimone, durante la quale ha detto la bugia sul suo incontro con Dale Pike, doveva essere annullata perché coperta dai Diritti Miranda che prevedono l’assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine.
Diritti che gli furono negati nonostante fosse già il principale indiziato per l'omicidio al momento di questa deposizione.
Gli avvocati della difesa sono stati colti “di sorpresa” dall’accusa nell’arringa finale, quando si usò il movente della truffa per sostenere la tesi dell’omicidio. Non essendoci più il diritto di replica, la giuria non fu informata che dall’accusa di truffa l’imputato era già stato assolto.
L’accusatore ha scorrettamente ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non si sarebbe dovuta usare come movente. La giuria così fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale.
In questo modo si è violata anche la regola Double Jeopardy secondo la quale, se un imputato è già stato assolto da un’accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo.
A Enrico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna. I Paesi firmatari di questa convenzione, garantiscono l’immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio. È prevista anche l’automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso.
Il Consolato Italiano seppe del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali nove giorni dopo. Alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per “l’involontaria” omissione.
Si è parlato, inoltre, della presenza di un conflitto d’interessi che avrebbe alterato l’equo svolgimento del processo. Di cosa si tratta?
Dopo che la condanna era già stata passata in giudicato, si è scoperto casualmente che l’avvocato di Chico, Ira Loewy, svolgeva un doppio ruolo contemporaneamente. Da una parte difendeva Chico contro lo Stato e dall'altra lavorava per lo Stato come sostituto procuratore in un altro caso.
Un chiaro conflitto diretto d’interessi. Chieste spiegazioni, l'avvocato si è giustificato dicendo di avere avuto l’autorizzazione da Enrico Forti per svolgere la doppia mansione, presentando un documento che lo comprovava. Questo documento però era semplicemente una fotocopia perché l'originale non si è mai trovato e non è mai stato allegato agli atti del processo come prescrive la legge. Benché durante un'udienza la giudice del processo avesse fatto notare all’avvocato la necessità che il suo assistito desse il suo benestare davanti a lei, questo non è mai stato fatto.
Sebbene quel documento non avesse né data né protocollo e la firma di Chico fosse stata contraffatta, la richiesta di annullare il processo per il chiaro conflitto d'interessi, è stata rifiutata senza motivazione.
E’ da dodici anni che Chico sta vivendo questo tormento nelle carceri americane. Lei che è lo zio, in costante contatto telefonico con suo nipote e instancabilmente impegnato a denunciare l’ingiusta vicenda, quali notizie può riferirci circa lo stato di Chico?
Purtroppo le difese fisiche, anche di un irriducibile come lui, stanno venendo meno, dopo dodici anni di tortura psicologica come quella a cui è sottoposto.
La forza che gli rimane è quella che gli viene dall'affetto dei suoi tre figli (quando fu arrestato avevano undici mesi il maschietto, tre e cinque anni le bambine) e dall’amicizia di tutti quelli che credono nella sua innocenza e si battono per la sua libertà.
Chico lotterà fin quando ne avrà la forza per dimostrare che questa fiducia è stata sempre ben riposta.
Avete chiesto allo Stato italiano di mobilitarsi per chiedere, presso la Casa Bianca, la revisione del processo su basi di regolarità giuridica. Finora, quali risultati ha prodotto questa richiesta?
Il Ministro degli Esteri, al cui dicastero spetta la competenza del caso, ci ha fatto sapere in più occasioni che politicamente non può interferire con le decisioni della magistratura di un altro Paese.
Ma noi chiediamo: nemmeno quando le accuse sono false, il processo manipolato e ci si è avvalsi di falsi testimoni, falsi documenti, prove inventate e inesistenti? E tutto questo si può ampiamente dimostrare e documentare se solo ce ne fosse data l’occasione.
Il processo di Perugia dovrebbe pur pesare sulla bilancia del processo di Chico Forti!
Il Ministro Franco Frattini dice che non si può fare una comparazione fra Amanda Knox ed Enrico Forti perché la condanna di Chico è passata in giudicato e quella di Amanda no.
Ma come non c'è comparazione signor Ministro?
All'americana in Italia è bastato dichiararsi innocente per trovarsi libera dopo il processo di secondo grado, nonostante all'inizio fosse schiacciata da molte prove della sua colpevolezza.
All'italiano in America, non è stata concessa la revisione del processo e per sperare in una remota libertà dovrebbe dichiararsi colpevole nonostante non ci sia mai stata una minima prova contro di lui.
Le prove? Ma quanto detto sopra non basta?
Il Governo italiano dovrebbe accertarsi se un suo cittadino è stato imprigionato ingiustamente o meno e non lasciarlo solo a combattere contro i mulini a vento di una giustizia senza volto.
Altrimenti ci spieghi cosa significa “al di sopra di ogni ragionevole dubbio”.