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(ASI) «Serve l’impegno di tutti per eliminare sprechi intollerabili e gli interessi non sempre convergenti dei vari attori devono essere riallineati sul vero obiettivo del sistema sanitario: preservare, migliorare e mantenere la salute delle persone». Così Nino Cartabellotta, presidente della fondazione medica GIMBE, intervistato da Agenzia Stampa Italia sul tema della sostenibilità della Sanità pubblica.
«Tutti i professionisti e le organizzazioni sanitarie  — afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE —oggi sono chiamati a contribuire alla sostenibilità della Sanità pubblica, indirizzando le risorse e le scelte dei cittadini verso interventi sanitari efficaci, appropriati e sicuri, con un approccio all’assistenza sanitaria centrato sul paziente, basato sulle evidenze, ad elevato valore e consapevole dei costi».

Dottor Cartabellotta, in un momento di grande incertezza politica ed economica nella storia della Repubblica italiana, qual è il messaggio chiave lanciato alla recente Conferenza GIMBE?
Sostenere con fermezza che l’articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute e non alla sanità, oggi interpretata come accesso indiscriminato a servizi e prestazioni sanitarie. Questo rappresenta uno dei principi guida del progetto “Salviamo il Nostro SSN”, lanciato dalla Fondazione GIMBE, proprio in occasione della Conferenza.

Questo diritto potrà essere davvero garantito da una sanità pubblica che nel periodo 2012-2015 dovrà rinunciare a oltre 25 miliardi di euro?
Assolutamente sì,  perché nonostante i tagli il SSN rimane comunque sostenibile. Infatti, in condizioni di crisi economica, tutte le attività produttive possono essere sostenute da due strategie: la prima è di investire meno risorse (tagli), la seconda di ottenere migliori risultati dalle risorse investite, identificando ed eliminando gli sprechi. Considerato che la politica è stata in grado di effettuare solo tagli lineari, adesso spetta a tutti gli attori del SSN identificare ed eliminare gli sprechi che fanno lievitare i costi dell’assistenza, senza produrre alcun beneficio per cittadini e pazienti.

Un arduo compito. Come identificare gli sprechi in sanità?
In letteratura esiste una vera e propria “tassonomia” degli sprechi in sanità: il sovra-utilizzo di interventi diagnostici e terapeutici, il sottoutilizzo di interventi sanitari efficaci, l’inadeguato coordinamento dell’assistenza, le tecnologie sanitarie acquistate a costi eccessivi, le complessità amministrative e, infine, frodi e abusi. Stime condotte su altri sistemi sanitari hanno dimostrato che questi sprechi arrivano a “consumare” oltre il 20% della spesa sanitaria, che in Italia equivale a più di 20 mld di euro/anno… ovvero praticamente quasi l’ammontare dei tagli previsti sino al 2015!

“Inadeguato coordinamento dell’assistenza” lascia intendere che gli attuali modelli di organizzazione sanitaria possano essere migliorati al fine di ridurre la spesa?
I margini di miglioramento sono notevoli, ma deve essere chiaro che la volontà politica non basta: bisogna infatti superare enormi resistenze al cambiamento, sia delle aziende sanitarie pubbliche e private sia dei professionisti, sia dei cittadini. La dicotomia ospedale-territorio oggi deve essere sostituita da una variabile articolazione di realtà assistenziali integrate per intensità di cura, secondo le necessità del paziente. Occorre passare dal concetto di offerta/domanda di servizi a quello di percorsi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Infine, considerato che “non tutti possono fare tutto” l’organizzazione deve puntare su modelli rete sovra-aziendali che condividano percorsi, tecnologie e competenze professionali.

Nel ridurre alcune categorie di sprechi è utile il coinvolgimento dei professionisti sanitari?
I professionisti hanno un ruolo cruciale perché se l’etica del razionamento appartiene alla politica, secondo principi di giustizia distributiva, l’etica della riduzione degli sprechi è indissolubilmente legata alla professionalità di tutti i medici con le loro prescrizioni diagnostico-terapeutiche.

E in tutto questo qual è il ruolo di cittadini e pazienti?
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una progressiva involuzione del cittadino, titolare del diritto costituzionale alla salute, in consumatore di servizi e prestazioni sanitarie. Questa spirale consumistica ha contribuito tra l’altro all’ascesa dei contenziosi medico-legali e ai conseguenti atteggiamenti di medicina difensiva. Bisogna rimboccarsi le maniche: servono iniziative di informazione istituzionale e marketing sociale in grado di ricondurre le attese dei cittadini alla realtà delle evidenze scientifiche, a promuovere l’autonomia decisionale e a ridurre il consumismo.

Qual è il suo parere sulla recente scelta del Governatore del Lazio, Zingaretti, di chiudere l'Azienda di Sanità Pubblica per risparmiare sul bilancio? È una mossa che si colloca in un’ottica di razionalizzazione dei fondi o una scelta arbitraria che priva la Regione di un utile strumento di controllo sulla Sanità?
Senza entrare nel merito dei dettagli della vicenda, ciascun “governatore” definisce con quali priorità contribuire al risanamento del bilancio regionale. Ad esempio, la Regione Campania ha stabilito che per farsi curare fuori regione i cittadini dovrebbero essere autorizzati dalla propria ASL, cancellando la portabilità dei diritti su tutto il territorio nazionale sancita dalla legge 833/78. Indubbiamente, nelle Regioni dove non esiste una Agenzia Sanitaria Regionale, viene a mancare un organismo tecnico rimanendo solo quello politico.

Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia

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