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17 marzo, Giornata di nascita dello Stato Italiano
(ASI) Il 17 marzo di ogni anno diviene solennità civile, e ciò lo sancisce una deliberazione della Presidenza del Consiglio che la definisce «Giornata della Nascita dello Stato Italiano». La nuova solennità, si apprende ancora nella nota, crea l’occasione per tenere viva nella società civile e nelle istituzioni la memoria dell'’anniversario, «perché rappresenta la sintesi di un anno intenso di celebrazioni ed eventi, quello appena trascorso, durante il quale si è celebrato il centocinquantesimo anniversario dell’'unità d’Italia, con una vasta partecipazione della società civile e delle Istituzioni». Ed è proprio su questo che mi voglio soffermare. Non ho veduto alcuna celebrazione istituzionale per il 17 marzo, né nella mia città, né in televisione. E questa volta, non me la sento nemmeno di dare la colpa al cosiddetto governo dei tecnici, in quanto, è tipicamente costume italiano.

Tutti ricorderanno nel 2008 la valanga di iniziative per i 90 anni del termine della Grande Guerra. Un quattro novembre festeggiato in quel modo non lo si vedeva da anni, forse dal 1968, o forse ancor prima. La festa della Vittoria e delle Forze Armate Italiane l'anno successivo, non ha sortito affatto lo stesso effetto, anzi, è passato nel più bieco dimenticatoio. Il motivo è semplicissimo: esaltiamo fino allo spasimo un anniversario, per poi dimenticarcene immediatamente la volta successiva.

Nessuno pretendeva di rivedere le medesime celebrazioni, il tripudio di tricolori e bandiere, che abbiamo veduto lo scorso anno, per il centocinquantesimo dell'unità nazionale. Il dubbio di essere stati vittime di un'allucinazione collettiva viene, tuttavia. Il dubbio di aver sfilato per gioia, per sentimento, per volontà di autoaffermazione della Nazione in un'epoca così buia, non dovrebbe mai sussistere. Vista la giornata odierna, forse anche le perplessità si istillano.

Comunque sia, non dobbiamo rimuovere nemmeno le polemiche dell'anno precedente. Non sono state tutte rose e fiori. A perenne monito, affinché gli italiani sappiano che Emma Marcegaglia è stata una pessima presidentessa di Confindustria, rammentiamo le sue parole pronunciate lo scorso anno. Il capo degli industriali invitata a non festeggiare il 17 marzo 2011, in quanto vi sarebbe stata una flessione delle attività produttive. Una frase dettata dalla follia più assoluta, visti i tempi di recessione in cui siamo precipitati dal 2008.

O come non ricordare lo scontro partitico, con Fini dissidente dal Pdl, che alla convention del “che fai, mi cacci” invitava gli ex sodali a festeggiare meglio i centocinquant'anni di unità nazionale. Così come tutte le piccole cosette che si mettevano di traverso solamente per il gusto di farlo. Tuttavia, ad ogni modo, lo scorso anno, così come il 4 novembre 2008, è stato un anniversario riuscito. Quest'anno, a parte la giusta decisione di porre la solennità civile, il nulla.

Si sa, gli italiani hanno la memoria corta. Questo ci è sempre stato insegnato. Non è un buon motivo per perseverare in un malcostume nazionale, ossia quello di crear la pompa magna dell'evento, il fumo, e scoprire che per i prossimi non c'è nemmeno quello.

Difatti, sebbene siano passati centocinquant'anni, anzi, centocinquantuno, lo Stato Italiano merita di essere celebrato. Da tutte le forze di terra, cielo e mare. Da tutti gli italiani in Patria e all'estero. Così come il 4 novembre. Non si tratta di un anniversario stantio ed ingrigito, di una guerra ormai lontana temporalmente, che tra tre anni toccherà il centesimo dell'ingresso nel conflitto. Si tratta del completamento dell'unità nazionale, del Risorgimento, dell'unificazione delle terre irredente. Non deve trattarsi del frutto di passioni di minoranze, bensì della globalità del popolo italiano.

Concludo quest'articolo nell'auspicio che vi sia sempre un adeguato ricordo e al contempo una preparazione spirituale per questi anniversari. Tutti debbono esser sempre coinvolti, in sinergia, dal mondo della scuola all'Università, dalle fabbriche ai consigli di amministrazione, dalle officine ai cantieri, dai campi coltivati alle miniere. Senza retorica, ma con passione.

Valentino Quintana Agenzia Stampa Italia

 
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