Egregio Sindaco,
non è mia intenzione creare una strumentalizzazione politica, né evidenziare che in questo momento potrebbero esserci problemi più seri da affrontare per la città e i Romani; devo dire però che la circolare relativa al nuovo piano formativo triennale per il personale educativo e scolastico, diffusa nello scorso mese di ottobre dal Dipartimento Scuola, Lavoro e Formazione professionale, che tra le altre cose prevede la necessità per educatori e insegnanti di formarsi per attivare con i piccoli dei nidi e delle scuole dell’infanzia un percorso che miri a «de – costruire gli stereotipi di genere ed educare alle emozioni e alle relazioni», mi ha sorpreso, non tanto come dirigente politico, quanto come padre di una bimba di tre anni. Il Piano di aggiornamento professionale 2023-2025 rende obbligatoria per docenti e educatori la formazione sulle tematiche gender, allo scopo di prepararli a discutere con i bambini – parliamo di piccoli fino ai 6 anni - di identità di genere; il motivo per cui ho tardato a intervenire sull’argomento è che essendo poco ferrato in una materia così delicata, ho voluto rivolgermi a professionisti del settore per approfondire e comprendere meglio la questione.
Fatto ciò, per entrare nel merito, posso dire che la valorizzazione delle differenze è un naturale processo di sviluppo che non si può interrompere per lasciare spazio a ideologie.
In psicologia le differenze sono il terreno fertile sul quale nascono e crescono specificità, peculiarità, eccellenze. Senza la differenza non si sviluppano la curiosità e l’intelligenza, azzerarle non porta alla libertà bensì all’appiattimento emotivo, alla pochezza delle possibilità. Viceversa identificarsi, anche nel genere sessuale, equivale ad appartenere ad una categoria e solo grazie a questa possibilità è possibile sviluppare una personalità piena e completa.
Pensare che annullando il genere sessuale si possa rendere liberi i bambini, è segno di profonda incompetenza psicologica, emotiva, psichiatrica e sanitaria in generale.
I bambini fino ai 6 anni, età in cui secondo il piano dovrebbero essere accompagnati dalle maestre e dalle educatrici alla “fluidità di genere”, vivono quel periodo dello sviluppo emotivo durante il quale proprio l’identificazione consente e facilita uno sviluppo sano. Un minore a cui fosse insegnato che non esistono differenze di genere - solo ideologicamente, perché fisicamente le differenze sono e saranno sempre evidenti - sarebbe sconcertato, insicuro, emotivamente instabile.
Tutte le teorie psicologiche sullo sviluppo, come ho avuto modo di approfondire, si fondano su decenni di studi scientifici. Da questi emerge che non appartenere crea insicurezza e possibile, se non probabile, patologia. Insegnare in tenera età la fluidità di genere significa imporre un pensiero adulto e radicalizzato, a chi deve invece avere la libertà di poter, eventualmente, scegliere, ma solo dopo aver saputo a cosa ed a chi appartiene.
Aiutare la libera espressione è qualcosa a cui bisogna arrivare, ma di certo non abbattendo le differenze. In questo documento inviato al personale educativo e scolastico, che rende noti gli obiettivi formativi per lo stesso, si confondono drammaticamente i piani. Fingere di non appartenere ad un genere non significa aiutare la libertà e la sanità, tutt’altro. La psicologia dell’età evolutiva si fonda su principi opposti a quelli a cui il piano si ispira. Fingere di insegnare la libertà è qualcosa che nasconde un’imposizione dettata a bambini piccolissimi ai quali, evidentemente, questa libertà non sarà data. Prima di attuare programmi delicatissimi i cui destinatari sono bambini in tenerissima età, bisognerebbe fare studi capillari e scientifici con professionisti della salute mentale. Si stanno confondendo colpevolmente quelli che sono definiti i “modelli dominanti” con la natura dell’uomo, che mai potrà essere modificata senza conseguenze gravissime.
Marco Di Stefano
Capogruppo Noi Moderati – Forza Italia in Assemblea Capitolina
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