(ASI) Roma – Prima un colloquio con il generale libico Haftar. Poi il duro scontro con il ministro dell'Interno francese, Darmanin. Il 4 maggio si è sicuramente rivelato un giorno ricco di grattacapi per Giorgia Meloni.
L’Italia ambisce a ricoprire un ruolo di primo piano nella tormentata Libia, anche in difesa dei propri interessi nazionali. La visita di Khalifa Haftar a Roma ne è una prova evidente. Il generale, ex sostenitore di Gheddafi, è comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico e detta il buono e cattivo tempo a Bengasi, in Cirenaica. Da questa regione orientale aveva tentato, sin dal 2019, di rovesciare il governo in carica scatenando di fatto una guerra civile. Oggi Haftar resta “l’uomo forte della Cirenaica”, sostenuto dalla Federazione russa e dall’Egitto. Il presidente ad interim Abdelhamid Dbeibah, a capo dell’unico esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale e con sede a Tripoli, è sostanzialmente dovuto scendere a patti con lui per cercare di tamponare una grave emorragia di violenza suscettibile di spaccare in due il fragilissimo paese.
Al momento, dunque, in Libia regna una costante situazione di incertezza. La frattura fra l’occidentale Tripoli e l’orientale Bengasi, tra la Tripolitania e la Cirenaica appare insanabile e il debole gabinetto di Dbeibah non ha alcuna voce in capitolo a Est.
In tale clima tumultuoso si inseriscono le iniziative diplomatiche del governo Meloni, il quale è chiamato a risolvere la spinosa questione della migrazione e a ovviare alla chiusura dei rubinetti del gas ordinata da Vladimir Putin. Già a inizio 2023 la presidente si era recata in visita a Tripoli, senza però avere la possibilità di raggiungere l’area orientale del paese. A ciò Meloni ha cercato di porre rimedio il 4 maggio, ricevendo Haftar a Palazzo Chigi per due lunghe ore di colloquio. Il generale si è, altresì, intrattenuto con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Da Palazzo Chigi non sono stati diffusi ulteriori particolari. Secondo alcune agenzie di stampa, comunque, ha avuto luogo uno “scambio su alcuni temi fondamentali di reciproco interesse, in particolare la crescita senza precedenti del fenomeno migratorio verso l’Italia”. D’altronde i dati del Viminale dimostrano che, a confronto con la Tripolitania di Dbeibah, proprio dalla Cirenaica di Haftar si sta registrando la maggior parte delle partenze.
Fonti stampa affermano, altresì, che è stato dibattuto il delicato tema della stabilizzazione del Nord Africa, dinanzi al riemergere di tensioni sociali capaci di sfociare in violenti scontri armati. Combattimenti violenti che minano le condizioni di vita già precarie dei più poveri, con inevitabili ripercussioni sui flussi migratori in direzione dell’Italia. A tal proposito, Meloni avrebbe espresso preoccupazione per il precipitare degli eventi in Sudan.
La riservatezza di Palazzo Chigi potrebbe spiegarsi con il fatto che, per quanto Haftar sia sostanzialmente il signore incontrastato della Cirenaica, la sua figura continua a non riscuotere particolare credito presso la comunità internazionale, la quale ha deciso di riconoscere ufficialmente il gabinetto presieduto a Tripoli da Dbeibah.
Il ministro della Difesa si è limitato a parlare di un “cordiale e intenso incontro”, riferendo di uno scambio di vedute su “Mediterraneo allargato, sicurezza ed emergenza immigrazione”. Guido Crosetto ha poi aggiunto: “Solo con il dialogo si può giungere a una pace giusta”.
Riferimento, questo, che alluderebbe all’intenzione del nostro paese di giocare un ruolo primario nella pacificazione interna della devastata Libia. Non a caso, a quanto si apprende, Meloni avrebbe confermato “il sostegno italiano all’azione delle Nazioni Unite in Libia nella rivitalizzazione del processo politico che possa portare a elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023”. Secondo gli osservatori, in cambio di un controllo effettivo sui migranti in partenza dalla Cirenaica, Haftar aspirerebbe a una sorta di riconoscimento del proprio potere, in modo da poter partecipare alle elezioni che l’Onu sta cercando di assicurare allo Stato africano entro l’anno corrente.
Tuttavia, non è un segreto che anche Parigi nutra molteplici ambizioni in Libia. E proprio tale iniziativa potrebbe aver contribuito, almeno parzialmente, a far innervosire il ministro dell’Interno, resosi protagonista di una forte polemica con Roma.
In un’intervista a Radio Monte Carlo, Gérald Darmanin ha descritto l’Italia come un paese affetto da una “gravissima crisi migratoria”. Il ministro ha poi rincarato la dose: “La signora Meloni, che guida un governo di estrema destra scelto dagli amici della signora Le Pen, è incapace di risolvere i problemi migratori per i quali è stata eletta”.
L’allusione all’avversaria politica numero uno, Marine Le Pen, può essere interpretato come un monito lanciato agli elettori francesi, al fine di dissuaderli dal votare per l’estrema destra. Ciononostante, le pesanti dichiarazioni hanno suscitato clamore oltralpe. Il ministro degli Esteri Tajani ha condannato le parole ritenute “offensive e totalmente inaccettabili” e ha subito annullato l’incontro in programma con l’omologa francese, Catherine Colonna.
Mentre la pacificazione della Libia martoriata da anni di lotte intestine sembra ancora lontana, va in scena un nuovo scontro diplomatico fra Francia e Italia. L’ennesimo, da quando Giorgia Meloni ha inaugurato il suo governo.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia