(ASI) La solennità del lavoro in Italia viene costantemente ricordata dall’art. 1 della Costituzione. Senza il lavoro, la tutela del lavoratore e le giuste misure di sicurezza non può infatti esistere né libertà né civiltà.
Una misura attuata per sostenere questa visione e aiutare italiani in difficoltà è il reddito di cittadinanza, ovvero un aiuto economico introdotto dal legislatore nel 2019. Lo scopo principale per cui è stato pensato è quello di sostenere economicamente il beneficiario verso un lavoro dignitoso, per motivare e incentivare il passaggio tra disoccupazione e occupazione.
Nonostante gli apparenti benefici che un sistema del genere potesse portare, i ritorni negativi e inaspettati sono stati molteplici. Primo fra tutti il lavoro in nero che, insieme al compenso del reddito di cittadinanza, insieme rappresentano un pericoloso binomio promotore di molti rischi.
Claudio Durigon, politico e sindacalista italiano responsabile del dipartimento lavoro della Lega, individua ed esamina questa controversa tematica in un’intervista ad Agenzia Stampa Italia, appunto spiegando che il reddito di cittadinanza, nonostante dovesse rappresentare un ristoro alla necessità di lavorare con l’obiettivo di ricollocare persone nel mondo del lavoro, oggi rappresenta un fallimento che deve essere rivisitato.
Alcune delle cause del malfunzionamento del reddito sono state elencate e analizzate dal giuslavorista, Severino Nappi, professore di Diritto del lavoro, il quale ha posto l’attenzione sulle radici di questo problema. La mancanza di politiche attive e la mancanza di controlli preventivi hanno infatti reso questo procedimento assistenziale ed è necessario puntare sull’efficiente realizzazione di meccanismi di accompagnamento alla ricerca di occupazione e su investimenti collegati alla formazione di competenze.
In condizioni di povertà assoluta e in assenza di una finalità efficace derivante dal reddito di cittadinanza, in molti hanno pensato al salario minimo come possibile soluzione per rindirizzare bisognosi verso possibilità economiche migliori. Questa tesi è stata immediatamente smentita da Claudio Durigon: “Il salario minimo non è una soluzione alla povertà, anzi in molti casi innalza il costo del lavoro e abbassa i ceti medi. Bisogna invece ragionare su quello che è fuori dal contesto della contrattazione collettiva nazionale per dare delle risposte vere effettive alle esigenze del lavoratore.”
Nella stessa linea di pensiero è il Professor Nappi, il quale ha specificato che “è necessario sostenere la contrattazione collettiva come strumento di regolamentazione e come strumento nel quale mettere in campo tutti i mezzi utili a sostenere il lavoratore e l’impresa.”
L’intervista è terminata con l’intervento dei due esperti su un tema delicato, ovvero quello della sicurezza sul lavoro e sull’omissione di misure fondamentali a tutela del lavoratore. Imperativo per entrambi è il sostenimento delle spese principali per prevenire eventi dannosi e rischi per la salute dei dipendenti.
Claudio Durigon, questo sostenimento lo ritiene infatti un investimento per l’azienda: “chi investe nel lavoratore, sia nei benefit che nelle attività di sicurezza, avrà un margine di produttività molto superiore.” Anche secondo il giuslavorista Severino Nappi l’investimento in sicurezza è positivo e deve essere considerato come un’opportunità e una convenienza rispetto che una spesa da evadere.
Tommaso Maiorca - Agenzia Stampa Italia