Le insidiose metamorfosi della ‘Ndrangheta che vuole inquinare l’Umbria

lex(ASI) Qualche anno fa, guardando il dato fornito dal Ministero dell’Interno con la diminuzione del numero degli omicidi, qualcuno, piuttosto sprovveduto, ha interpretato la notizia come se la malavita organizzata, come la ‘ndrangheta, fosse diventata meno insidiosa e pericolosa.      

Non aveva invece capito che la ‘ndrangheta si era evoluta, aveva trovato il modo di interpretare gli eventi in maniera moderna e professionale, più forte e pericolosa. finita da un pezzo la lupara. Certo, se serve, ricorre alla violenza, ma solo come estrema ratio. C’è un mezzo più efficace e convincente: i soldi.   E ne ha tanti la ‘ndrangheta. Montagne di soldi, sempre disponibili. Gestiti come manager e da manager, con la casa madre sempre in Calabria, com’è evidente quando gli investigatori registrano quello che diceva Antonio Ribecco, affiliato al clan Mannolo, uno degli indagati a Perugia: “Se tu qua vuoi fare qualcosa di queste...ne devi parlare giù prima, dopo ti permetti di muovere qua...sennò non puoi fare niente”. Un comportamento inquietante. L’Umbria, considerata e controllata, come proprietà privata. Una situazione grave e preoccupante come hanno dimostrato le ultime indagini condotte dalle squadre mobili di Catanzaro, Reggio Calabria e Perugia, coordinate dal servizio centrale dalla polizia su ordine delle procure distrettuali di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri e quella di Reggio Calabria con Giovanni Bombardieri. 27 le persone arrestate, 6 in Umbria e 21 in Calabria, per traffico di droga, estorsione, truffe e associazione per delinquere di stampo mafioso, con il sequestro di beni per un valore di 10 milioni di euro. L’inchiesta ha messo in rilievo anche le numerose truffe fatte agli istituti bancari, Unicredit, Popolare di Sondrio e Monte dei Paschi di Siena. E senza che questa situazione fosse percepita in tutta la sua gravità. Se solo qualche giorno fa si diceva che l’Umbria è: “Sana. Abbiamo una situazione sotto controllo, ma infiltrazioni possono arrivare e noi ci siamo attrezzati”. Evidentemente non in maniera tempestiva e del tutto efficace. Ha ragione Bombardieri quando spiega che non si tratta di sottovalutazione del fenomeno è che ci vuole esperienza per saper cogliere i segnali che arrivano dalle molteplici attività che con estrema abilità sanno gestire gli uomini delle cosche. Tutte operazioni finalizzate sempre e comunque al business, e senza colori politici; non interessa il centro, la destra o la sinistra, interessano solo gli affari. Con una metamorfosi continua e insidiosa sanno adattarsi, governare gli eventi, soprattutto guidarli a loro piacimento. Non c’è nessuna sorpresa il fatto che alcune delle famiglie Trapasso, Mannolo e Zofreo di San Leonardo di Cutro e Commisso di Siderno abbiano trovato il modo di insediarsi in Umbria, infiltrando in “modo sistematico”, come dicono gli inquirenti, il sistema economico della Regione. L’Umbria è una piazza importante come mercato per lo spaccio degli stupefacenti, e le cosche calabresi ne hanno il monopolio, perché alcuni boss sono soci dei cartelli del narcotraffico sudamericani. Scelgono i calabresi perché sono più affidabili rispetto ai mafiosi siciliani. E il porto di Gioia Tauro, e non solo, consente una fornitura continua ed inarrestabile. In Umbria ci sono anche le condizioni ideali per lo spaccio della cocaina con la manovalanza che si trova facilmente tra i molti stranieri che stanno senza lavoro e senza soldi. Dov’è la sorpresa? Come vivono? O rubano o spacciano. Ma la ‘ndrangheta vuole anche il potere e l’ottiene con le infiltrazioni nelle istituzioni che è un altro passaggio importante. E’ nel Dna della ‘ndrangheta. I boss scelgono i candidati, trovano i voti e portano i loro referenti nelle istituzioni per ottenere lavori e appalti. Per investire, direttamente o con prestanomi, i capitali ottenuti dal traffico della droga, dalle tangenti, dalle estorsioni. Un circuito vizioso e perverso, aiutato spesso dalla massoneria deviata. In Umbria ci sono molti calabresi, le indagini diranno se l’inquinamento in qualche ente c’è stato. I politici citati nelle intercettazioni, Nilo Arcudi, ex vicesindaco e attuale presidente del consiglio comunale di Perugia e Alessandra Vezzosi, ex consigliere comunale di Perugia e moglie di Luigi Repace, presidente della Figc umbra, hanno sdegnosamente dichiarato di essere completamente estranei. C’è da credere, naturalmente. A volte il candidato politico non sa valutare il rischio che corre quando trova qualcuno che manifesta l’intenzione di volerlo aiutare nella campagna elettorale. Si deve subito rendere conto, però, che sia difficile che quest’anima pia sia del tutto disinteressata, deve capire dove possono arrivare le sue richieste. Che non sia un riciclaggio o un finanziamento illecito, che poi non lo metta nei guai. Quei finanziamenti altrettanto insidiosi e ad altissimo rischio che si fanno anche agli imprenditori. Con tassi usurari che finiscono con il trascinare nel baratro lo sprovveduto malcapitato.

Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia

 
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