(ASI) - Quota 100 rimarrà in vigore nel biennio prossimo ma non è detto che non ci saranno interventi per tagliare i costi; si tratterebbe di allungare di tre mesi le finestre di uscita, che sono attualmente di tre mesi per i privati e di 6 per i pubblici.
Il che significa che coloro che maturano i requisiti dovrebbero attendere, da quella data, sei mesi per il pensionamento i privati e nove mesi i pubblici. Per il biennio a venire, in aggiunta, verrebbero prorogati l’Ape social (magari estesa al lavoro autonomo) e l’opzione donna. Nel 2022, però, ci si troverebbe di fronte allo scalone tra i nati nel 1959, che potrebbero aver utilizzato quota 100, e i nati nel 1960, che potrebbero lasciare con 5 anni in più di età. Da qui il pacchetto messo a punto da Nannicini, che servirebbe a evitare il problema.
Allungando di tre mesi le finestre di uscita per il 2020 e il 2021, l’obiettivoè quello di ridurre la spesa e di prepararsi a fronteggiare, dal 2022, la fine del meccanismo, con nuove soluzioni. A cominciare dalla soluzione prospettata dal senatore Pd, Tommaso Nannicini, che punta sulla possibilità di lasciare il lavoro a 64 anni di età con il ricalcolo contributivo di tutto l’assegno, insieme con l’introduzione di Quota 92 per le categorie deboli, come i disoccupati.
La revisione ipotizzata prevede un pensionamento anticipato per uomo e donna, a 64 anni di età e almeno 20 di contributi, con il calcolo interamente contributivo dell’assegno (e, dunque, con un’implicita penalizzazione). Al posto dell’Ape social, per le categorie svantaggiate (disoccupati, lavoratori che svolgono mansioni gravose, disabili, lavoratori che assistono disabili) verrebbe introdotta quota 92, che permetterebbe di andare via con 62 anni di età e 30 di contributi. Per le lavoratrici che svolgono anche lavori di cura o per le lavoratrici madri, verrebbe previsto un bonus di un anno di sconto sui requisiti. Infine c'è la riduzione a 36 anni dei contributi per le donne per utilizzare Quota 100.
Claudia Piagnani - Agenzia Stampa Italia