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Terremoto in Abruzzo. Quando una tragedia è magister vitae
(ASI) Non esiste un parametro universale per valutare l’umana percezione dello scorrere del tempo. Per questo, due anni di distanza possono rappresentare un’eternità così come un brevissimo intervallo, a seconda della frequenza e dell’intensità con le quali nella nostra mente riaffiora la memoria di un evento piuttosto che di un altro. Tanti episodi della nostra vita, evidentemente relegati nel nutrito novero del poco importante, finiscono per essere derubricati; altri, invece, restano incisi nella mente in modo indelebile. Voci ed immagini che riemergono dal passato ci risollecitano i sensi costantemente, talvolta riproponendosi in maniera energica a tal punto da scuoterci il cuore. Al sottoscritto è bastato, lo scorso 6 aprile, passeggiare di nuovo per le strade di Poggio Picenze, uno dei luoghi d’Abruzzo colpiti dal terremoto del 2009, per scardinare la propria gerarchia di pensieri e sensazioni a beneficio del ricordo di quanto avvenne in questi sfortunati luoghi della nostra patria. Passati già un paio di giorni, la commozione fatica a smorzarsi, così che ogni preoccupazione di attualità finisco, involontariamente, per subordinarla al ricordo dell’importante esperienza che un Abruzzo devastato da una scossa di grado 5,8 della scala Richter ha saputo donarmi. Già, perché anche una tragedia dalla portata storica, disseminatrice di tanti lutti, può rappresentare un insegnamento da custodire gelosamente, persino una panacea utile a far riemergere dalle viscere del proprio io i valori più nobili dell’uomo. A fronte di tante polemiche, sovente strumentali e perciò desolanti, il terremoto non fu soltanto portatore di sofferenze e privazioni spesso gravose, bensì seppe essere anche viatico di una catena di solidarietà che si innescò in tutto il Paese e anche fuori confine. La cosiddetta macchina degli aiuti agì rapidamente, senza che vi fosse bisogno di ordini o di stimoli da alcuno, al fine di riconsegnare alle genti aquilane quella normalità che una catastrofe naturale ha tentato di strappar loro. Sul posto, un efficace lavoro dei corpi dello Stato adibiti a questo, ma anche una spontanea mobilitazione civile, riaffermarono con forza la volontà dell’Abruzzo di risollevarsi, facendo leva su dignità, senso di sacrificio e compostezza. Il sottoscritto, mettendo a disposizione il proprio modesto contributo, ebbe modo di sperimentare in prima persona, rimanendone fortemente affascinato, questo redivivo tripudio d’altruismo, che scaturì da una tragedia per proclamare il ritorno di quella solidarietà di popolo latitante dalla nostra monotonia quotidiana. E’ in quei momenti così intensi e profondi che la fondamentale sete di trascendenza può venire soddisfatta: dietro lo spettacolo angosciante che provoca una calamità naturale, opera misteriosamente quella linfa redentrice che si nutre delle migliori qualità umane, dimostrandoci come il male non verrebbe permesso, se dallo stesso male non se ne traesse il bene. Quei giorni di ininterrotto e frenetico lavoro furono per me la dimostrazione pratica, scevra da ogni impaccio intellettuale che agisce come una zavorra nei confronti dell’azione, di come il più bel patrimonio culturale degli italiani, ossia la solidarietà comunitaria, viva ancora nel profondo dello spirito del nostro popolo e sappia riemergere nel momento del bisogno. In Abruzzo, due anni fa, una parte degli italiani ebbe il privilegio di potersi gloriare di quella sana cultura altruistica e disinteressata che ci fa popolo unito ed orgoglioso di sé stesso. 
Lo scorso 6 aprile, le lancette del mio orologio ideale sono tornate indietro di due anni, riconsegnandomi a questa realtà idilliaca che, per sempre, conserverò nel cuore. Le cerimonie di ricordo organizzate dal comune di Poggio Picenze sono avvenute all’insegna di un pacato dolore - sobrietà che contraddistingue le genti abruzzesi -, oltre che di una sincera riconoscenza nei confronti di quanti, non originari di quelle terre ma spinti da solidarietà patriottica, si adoperarono per la causa di ricostruzione. Una targa di ringraziamento è stata consegnata dal sindaco poggiano Nicola Menna alle varie associazioni che contribuirono spendendosi in prima persona alle attività di aiuto, su tutte Casa Pound, la quale ha lasciato un gradito ricordo alla popolazione di Poggio Picenze. Un lungo corteo, infine, ha attraversato le stradine del paese per onorare la memoria di quanti persero la vita a due anni di distanza. Un ricordo intensissimo, cristallizzatosi nella mente d’ognuno dei presenti come magister vitae e lungi dall’arrendersi all’idea del tutto scorre. Da questo travagliato baluardo appenninico situato nel cuore del nostro Paese sembra alitare un filo di voce dall’impronta ancestrale: Viva l’Italia!
 
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