(ASI) Questa frase non è mia, e la prendo in prestito dal critico d’arte Vittorio Sgarbi. Così si intitolava un suo splendido libro edito da Bompiani nel 2005. E questo corrisponde esattamente alla vicenda di Simone Di Stefano, Vicepresidente di CasaPound Italia, condannato per aver sostituito la bandiera dell’Unione Europea con il Tricolore Italiano. Egli sarebbe reo di aver compiuto un’azione dimostrativa assieme ai suoi militanti nella Sede della Ue, a Roma. Furto pluriaggravato, il capo d’imputazione.
Ebbene, Simone Di Stefano ha usato due elementi. Il primo sicuramente, la ragione. Ha ragionato, assieme ai suoi militanti, calcolando l’azione, e il suo conseguente rischio. Ha analizzato, così come ha fatto il Movimento dei Forconi, trovando il responsabile della situazione indigente in cui si trova ora l’Italia: l’Unione Europea. E nessuno potrebbe esimersi dall’asserire che l’Unione Europea e le sue politiche ci abbiano trascinato in questa situazione, grazie alla quale migliaia di persone lasciano disperate il Paese, senza che alcun quotidiano scriva.
Ha usato infine la passione. Quella di italiano. Quella che ha mosso le migliori generazioni nei secoli, che ha spinto a lottare contro lo straniero, l’oppressore, l’aguzzino. E in questo caso, l’oppressore è l’Unione Europea, impersonata da un parlamento inesistente e da dei rappresentanti avulsi dal contesto reale che soggiogano i popoli con le loro politiche.
Un’azione simile sarebbe stata la regola sino al secolo scorso. Quanti patrioti hanno cospirato, hanno assaltato, hanno bruciato, se necessario, vessilli nemici? Guido Keller lanciava un water sul parlamento. D’Annunzio nella sua dirompenza regalava momenti magici, e non esitava a varcare confini. Cesare Battisti invitava “alla frontiera, con la spada e col cuore”. E non c’è il cuore, nell’azione di Di Stefano, e dei suoi militanti? Si può finire in prigione, per amare troppo il proprio Paese? A quanto pare, sì.
Eppure, Simone Di Stefano non voleva rubare nulla. Non si trattava di un tentativo di furto. Si voleva sostituire alla bandiera Ue, priva di alcun significato al momento attuale, con quella nazionale, pregna di valori, sentimenti, tradizioni, unità. Non saranno le parole del Presidente Napolitano ad indicarci “l’Europa quale strada maestra”. Questa Unione ha prodotto danni per generazioni e generazioni, e sono così gravi, da affliggere intere comunità. Suicidi, emigrazione. Questo ricorda la bandiera “sottratta”.
Processato per direttissima, oggi Simone Di Stefano è libero. O quasi. Gli spettano tre mesi di obbligo di firma. All’uscita del tribunale, ha dichiarato questo:
“La bandiera dell’Unione Europea è un feticcio che rappresenta l’usurocrazia e la finanza internazionale, l’unica bandiera degna di essere chiamata con questo nome è il tricolore italiano o la bandiera dei fratelli tedeschi, dei fratelli francesi e degli altri popoli europei. Quelle sono bandiere sacre perché rese tali dal sangue degli eroi, quella dell’Ue è intrisa solo di soldi, di denaro e del sangue di chi è morto sotto lo schiaffo dell’usura europea, che per ripagare un debito che non è il nostro sta portando questa nazione al fallimento”.
Mi ricordano le incarcerazioni di Benito Mussolini durante il biennio rosso. Il Popolo d’Italia, titolava” Benito Mussolini tradotto al cellulare, perché ama la nazione”. Se leggiamo le parole di Di Stefano, troviamo amore nei confronti dell’Italia. Sconfinato, tra l’altro.
Potrei usare tutte le armi della retorica possibili ed immaginabili, ma sono i fatti che parlano. Una condanna ingiusta, una multa da pagare, e l’opinione pubblica scatenata (aizzata dai media). Ebbene, ragione e passione. Non finirà qui.
Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia