Lunedì 5 agosto il processo all’organizzazione Ergenekon si è concluso con 17 condanne all’ergastolo, inclusa quella dell’ex capo di stato maggiore, Ilker Basbug. Il caso era scoppiato tra il 2007 e il 2008 con centinaia di ufficiali, giudici, giornalisti e accademici accusati di avere preso parte ad un'organizzazione che mirava a destabilizzare il governo. Fuori dall’aula centinaia di persone hanno manifestato contro il responso, incolpando il governo del premier Recep Tayyip Erdoğan di aver manipolato il verdetto per indebolire l’esercito, considerato garante della laicità dello stato. «È una sentenza con un fortissimo impatto sulla popolazione perché sancisce la colpevolezza di persone che facevano parte dell’apparato statale, – commenta padre Ambrosio – ma che, in concreto, non aggiunge nulla a quanto accaduto nell’ultimo ventennio». Sono due i fatti chiave che dimostrano come negli ultimi anni il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) ha esteso il proprio potere ai danni dell’esercito. Il primo è datato 28 febbraio del 1997, il giorno in cui i militari hanno imposto all’esecutivo una serie di misure per contenere l’“islam reazionario”. L’ago della bilancia pende in direzione diametralmente opposta appena 11 anni dopo, nel luglio 2008, quando la Corte costituzionale respinge l’istanza per lo scioglimento del partito di Erdoğan, preservando per la prima volta l’integrità di una formazione filo-islamica.
La sentenza sul caso Ergenekon s’inserisce inoltre nel clima di malcontento scaturito da alcune misure di recente approvazione, da molti intese come una virata islamista della leadership turca. «Il richiamo alla religione è evidente – afferma padre Ambrosio – tuttavia ad un’analisi più attenta le riforme risultano, e forse lo sono volutamente, ambivalenti. Possono essere lette infatti sia in chiave estremamente islamistica che come un aiuto alla popolazione». Il piano di urbanizzazione selvaggia, per un verso contestabile, contribuisce a mantenere la Turchia tra i primi paesi al mondo per crescita economica. Emblematica in tal senso - assieme all’ormai celebre centro commerciale nel Gezi Park – è la costruzione della pantagruelica moschea di Çamlıca che sorgerà sull’omonima collina, cancellando ancora un po’ il verde di Istanbul. «Una moschea che sarà tra le più grandi al mondo rappresenta un simbolo religioso fortissimo, ma al tempo stesso un notevole impegno finanziario che rimarrà nel futuro del mondo musulmano».
Le nuove misure di Erdoğan sono state interpretate come una corruzione del modello turco di “laicità islamica”, suscitando il timore di una maggiore radicalizzazione del paese. «Negli ultimi decenni in molti hanno riscoperto la religione – spiega padre Ambrosio – ma l’Islam turco sarà sempre diverso da quello arabo». Parlando un’altra lingua, i musulmani turchi sono infatti più lontani dalle fonti teologico-giuridiche. È inoltre necessario considerare la diversità della tradizione islamica ottomana. «I riferimenti sono gli stessi, ma con un apporto di sufismo e d’interpretazione teologica che ritorna alle fonti ottomane e turche. Non si può escludere un maggiore radicamento culturale, ma non nell’accezione fondamentalista più classica».
Per il religioso gli avvenimenti odierni potranno contribuire a ridefinire il nuovo volto dell’Islam turco, «causando perfino la ricomposizione del fronte conservatore, all’interno del quale già esistono gruppi di intellettuali musulmani che si rifanno alla teologia della liberazione e anche un movimento sociale». Gli sconvolgimenti affrontati dalla Turchia rappresentano un limite, una prova da superare, ma al tempo stesso un’opportunità da cogliere. A patto però che non si non si esasperi ulteriormente il contrasto tra le parti in gioco. «Se si persevera nelle proprie convinzioni, dimenticando che esiste un dissenso legittimo, diventa difficile istaurare un vero dialogo. E attualmente, purtroppo, sembra si vada verso una polarizzazione delle posizioni».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2012 ha raccolto oltre 90 milioni di euro nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.604 progetti in 140 nazioni.