(ASI)Il presidente del consiglio italiano Enrico Letta ha recentemente incontrato il suo omologo greco Antonis Samaras ad Atene per discutere della crisi nell'Eurozona e in Grecia nello specifico.
Letta ha sostenuto che Bruxelles ha commesso ingenti errori nei confronti di Atene, utilizzando strumenti inutili ad evitare il disastro finanziario e una significativa perdita di posti di lavoro. Letta e Samaras hanno definito un accordo informale per stilare un'agenda durante le rispettive presidenze nel 2014. Il prossimo anno, prima la Grecia e poi l'Italia assumeranno la presidenza semestrale del Consiglio Europeo. "Quelle fasi rappresenteranno un'opportunità di dimostrare che questi due Paesi non sono nazioni del passato bensì del futuro", ha affermato Letta. Le parole di Letta potrebbero infondere fiducia, ma i dati non lo confortano. Standard & Poor's ha da poco declassato l'Italia per l'ennesima volta, e i principali istituti considerano le prospettive di crescita dell'Italia più blandamente di quanto non faccia il suo governo.
Letta ha avanzato un piano di liberalizzazione in base al quale alcune aziende di Stato e alcune proprietà pubbliche saranno messe in vendita, comprese Eni, Enel e Finmeccanica. Sebbene lo Stato manterrà la sua golden share in queste importanti compagnie strategiche, questa scelta non aiuterà l'Italia ad abbassare il suo debito pubblico. Infatti, il governo dell'ex presidente del Consiglio Mario Monti ha già introdotto nuove tasse portando la pressione fiscale reale al 55%, tra le più alte al mondo, ma il debito pubblico nel 2012 è persino cresciuto.
Sempre nel 2012, la pressione fiscale in Europa è salita al 40,8% e circa metà del PIL europeo è ricavato dalle politiche fiscali dei governi nazionali. In teoria, questa scelta potrebbe essere considerata positiva, perché potrebbe produrre maggiori servizi sociali e garanzie occupazionali per i cittadini. Ma in pratica questo non è vero. La disoccupazione e la sottoccupazione stanno velocemente conquistando l'Europa. Letta ha affermato che i sacrifici imposti dall'austerità sono soltanto uno strumento mentre il vero obiettivo resta la ripresa economica. Una lettura simile è stata sostenuta più volte dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che continua a ripetere che l'austerità e la crescita non sono in contraddizione. Tuttavia i risultati ottenuti fin'ora dimostrano che questa politica non ha nulla a che fare con la tradizionale economia sociale di mercato europea costruita dalla Germania, dall'Italia e dalla Francia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e pensata per essere una componente fondamentale del cosiddetto Brussels-Frankfurt Consensus.
L'intervento dello Stato nell'economia resta uno dei più importanti concetti nella mentalità europea, e ancora rappresenta la più importante differenza tra il modello capitalistico continentale e il modello ultra-liberista anglo-americano. La competitività industriale tedesca e le idee italo-francesi nel campo della diversificazione sono state per diversi decenni le carte vincenti dell'economia europea, ma il modello continentale ha ora bisogno di essere aggiornato. Questo sarà possbile soltanto quando l'Unione Europea ridefinirà il suo spazio economico come un terzo polo geopolitico, emblema di una moderna democrazia sociale, distinta tanto dal modello statunitense quanto da quelli asiatici.
Fonte: Global Times del 13/08/2013, pag. 14 (http://www.globaltimes.cn/content/803361.shtml#.UgnlT1LzPac)
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