(ASI) Le scuole, le università, gli ospedali, la posta, la nettezza urbana, i mezzi di trasporto pubblici e le strade, ma anche il sostentamento della popolazione con acqua potabile, energia elettrica e gas, tutti questi sono o erano fino a poco tempo fa, nella maggior parte dei Paesi, compiti dello Stato. Lo scopo era di assicurare che l’accesso a quei beni e a quei servizi basilari fosse garantito a tutti i cittadini.
Negli ultimi anni tuttavia privatizziamo sempre di più. In misura crescente vengono vendute imprese statali ad aziende che offrono i loro servizi secondo i principi dell’economia di mercato. Cosa significa questo? Le imprese private hanno soprattutto un obiettivo: vogliono realizzare grossi guadagni. Questo però è possibile solo se l’impresa produce i suoi prodotti e servizi col minor costo possibile, per poi venderli ad alto prezzo. Nel caso degli articoli di lusso di cui non abbiamo davvero bisogno, come per esempio scarpe da ginnastica o cioccolato, per i consumatori non è un dramma: se non apprezzano la qualità del prodotto o il prezzo è troppo alto, basta che decidano di non comprarlo. Nel caso di acqua potabile, appartamenti, riscaldamento, scuole e ospedali o trasporti pubblici il problema invece è evidente: siamo dipendenti da quei prodotti e da quei servizi. E devono essere disponibili, di sufficiente qualità e a prezzi accessibili a tutti i membri della società, anche ai più poveri.
O per lo meno questa affermazione vale se vogliamo vivere in una società abbastanza giusta, nella quale nessuno senta i morsi della fame, tutti i bambini possano andare a scuola e le malattie siano curate indipendentemente dal reddito del paziente e con i mezzi migliori a disposizione. Per questo è così pericoloso quando i governi delegano questi importanti compiti dello Stato ad aziende private che vogliono trarne profitti. Però purtroppo negli ultimi anni è accaduto proprio questo in quasi tutto il mondo: è stata accelerata la privatizzazione della proprietà pubblica, nonostante oggigiorno quasi nessun politico si definirebbe neoliberista. La spinta iniziale fu data soprattutto dal presidente americano Ronald Reagan e dal primo ministro britannico Margaret Thatcher negli anni Ottanta del XX secolo. In Gran Bretagna per esempio fu privatizzata l’erogazione di acqua potabile e più tardi le ferrovie. La conseguenza fu che i prezzi salirono enormemente, mentre il servizio peggiorò: i treni a disposizione diminuirono e i viaggiatori dovettero rassegnarsi a forti ritardi. Alla manutenzione della rete dei binari non fu più provveduto a sufficienza e ci furono gravi incidenti con molti morti.
In Bolivia, uno dei Paesi più poveri del mondo, furono venduti gli impianti d’acqua potabile della città di Cochabamba al gruppo americano Bechtel. Di conseguenza la qualità dell’acqua diminuì, i prezzi aumentarono e la popolazione più povera non fu più in grado di permettersi l’acqua. Molte privatizzazioni tuttavia furono revocate in seguito a violente proteste. Eppure, nonostante le conseguenze disastrose per gran parte della gente, le multinazionali e le loro lobby sollecitano ulteriori liberalizzazioni del mercato, sostenute da potenti alleati. I più influenti tra questi sono tre organizzazioni internazionali, le quali sono tra le più responsabili della crisi economica mondiale in atto; che hanno portato avanti attivamente la globalizzazione neoliberista: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Queste tre organizzazioni globali furono fondate per migliorare la situazione economica dei loro Paesi membri e in generale del mondo intero: la Banca Mondiale si prefigge, dal suo Statuto, di aiutare i paesi in via di sviluppo a lottare contro la povertà, il Fondo Monetario mira a tendere una mano se si trovano in difficoltà economiche, infatti basti vedere i casi della Grecia e della Spagna per rendersi conto, e l’Organizzazione Mondiale del Commercio si propone di migliorare le relazioni commerciali internazionali. Letti così questi intenti sono grandi obiettivi, ma non è mai stato così nelle finalità di queste tre realtà che rappresentano il contrario di tutto invece di quello che era nella loro creazione. L’esperienza ha dimostrato infatti che i veri scopi di queste tre istituzioni sono stati la liberalizzazione e la privatizzazione, soprattutto nei Paesi più poveri del mondo. Per cui operano, come è risaputo da tempo, a vantaggio delle grandi multinazionali. E’ vero che queste tre istituzioni rappresentano quasi tutti i Paesi del mondo, ma in effetti le ricche nazioni industrializzate hanno molta più voce in capitolo rispetto agli Stati più poveri. Davide contro Golia per intenderci. Nessuna delle tre istituzioni è sottoposta ad un controllo democratico: coloro che prendono le decisioni al loro interno non sono stati nominati democraticamente, ma designati dai singoli governi. Le trattative hanno luogo a porte chiuse ed i documenti importanti sono tenuti sotto chiave.
Questi procedimenti lasciano ovviamente il campo libero all’influenza delle lobby economiche. Quanti sapevano di queste malefatte all’interno di queste istituzioni? In una vera democrazia il potere è del popolo e le decisioni spettano ad esso. Invece ci si ritrova di fronte delle piovre al soldo del potere, del sistema che decidono come hanno sempre fatto, delle sorti delle nazioni, dei cittadini, senza che questi hanno voce in capitolo. Altro esempio lampante l’Unione Europea: creatura illegittima, perché illegittimi sono coloro che siedono nelle poltrone del potere. Nessun cittadino ha delegato questi signori a prendere decisioni per i Paesi dell’Europa, ma il tutto viene delegato in segreto dai governi, dai capi di Stato. Tutte e tre queste istituzioni, che data la loro importanza economica sono ben più potenti delle Nazioni Unite, con la loro politica favorevole alle multinazionali hanno peggiorato le condizioni di vita di centinaia di milioni di persone. Aumentando così ingenti profitti delle grosse aziende. Cosa succede alle Nazioni Unite, che con i loro 192 Stati membri sono la maggiore e più importante organizzazione internazionale? L’ONU, insieme alle sue organizzazioni affiliate, gioca un ruolo importante quando si tratta della convivenza dei sette miliardi scarsi di abitanti del pianeta. Già nel 1948 l’ONU postulò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e da sempre ha una parte importante sia nella creazione e nel consolidamento della pace, sia nella lotta contro povertà, malattie, sfruttamento e distruzione dell’ambiente. Tuttavia ha perso influenza politica con la globalizzazione neoliberista promossa dalle multinazionali. Il denaro governa il mondo, e la Banca Mondiale, il Fondo Monetario e l’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno a disposizione strumenti di potere economico che le Nazioni Unite non hanno. Inoltre nella commissione più importante dell’ONU, il Consiglio di Sicurezza, non succede niente senza il nulla osta dei cinque membri permanenti: Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e USA. Senza la loro approvazione non possono essere decretate né sanzioni militari né economiche, quando da qualche parte del mondo si compiono gravi violazioni dei diritti umani. E ognuno di questi Paesi pone regolarmente il proprio veto a queste sanzioni se vede minacciati i propri interessi economici o quelli delle sue multinazionali. Si vedano i casi dell’Iraq, della Siria, dell’Egitto per citarne solo alcuni.
Ci sono stati e ci sono tuttora tentativi di sollecitare direttamente le grandi aziende a rispettare i diritti umani, gli standard sociali minimi e la protezione ambientale. Questi tentativi hanno miseramente fallito, in quanto queste aziende hanno continuato nel loro sporco gioco di sfruttamento della povertà, sfruttamento del lavoro. Molte grosse imprese hanno firmato il cosiddetto Global Compact dell’ONU, mirato a rendere la globalizzazione più sociale e più ecologica. Altra balla colossale. La globalizzazione cammina a velocità supersonica, l’inquinamento è sempre più pressante. Il Global Compact non vale la carta su cui è stato stilato, poiché contiene unicamente accordi volontari. Il contratto non prevede alcuna pena nel caso un’azienda non rispetti gli obiettivi che si è prefissata, per cui hanno potuto firmare anche numerosi gruppi multinazionali che, è dimostrato, traggono profitti da gravi violazioni dei diritti umani. La domanda sorge spontanea: a cosa è servito far firmare questo Global Compact se poi non vi sono pene esemplari per coloro che non rispettano le regole? Il loro scopo invece è il seguente: presentarsi all’opinione pubblica come un’impresa modello che si preoccupa dei diritti umani e della protezione dell’ambiente, senza in realtà assumersi alcun impegno.
Dal 2003 esiste una nuova proposta dell’ONU, stavolta per creare delle regole vincolanti per le multinazionali: le Norme delle nazioni Unite sulla responsabilità delle imprese transnazionali e altre imprese riguardo ai diritti umani, che comprendono 18 richieste relativamente concrete stilate in collaborazione con organizzazioni per i diritti umani e rappresentanti delle multinazionali. I gruppi e le loro lobby, però, si sono velocemente opposti al nuovo contratto, non appena si sono accorti che stavolta si sarebbe insistito sull’osservanza delle decisioni prese.
Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia
Fonte: www.attac
Arianna Editrice
“Il libro delle multinazionali” di Klaus Werner Lobo
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