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Gianni Fontana Segretario della Democrazia Cristiana: “La DC , un partito dei giovani per i giovani”

(ASI) Lettere in Redazione. Il 'terremoto della crisi', il cui simbolo è lo “spread” col suo accendere tenui speranze e la minacciosa febbrile risalita, in questi giorni di fine-maggio si è accompagnato con un altro grande terremoto.

Un terremoto che ha drammaticamente sfregiato una terra felice, del buon vivere, confortevole, ospitale, di alta produttività, di agricoltura di qualità, di meccanica di precisione, di filiere multinazionali: a povertà si è aggiunta povertà, a morte si è aggiunta morte, a disperazione.
Lo sgretolamento di una realtà territoriale così estesa, per giorni e giorni senza pausa, ha prodotto e continua a produrre una violenza,, difficile da esplorare, sulle case, sulle chiese, sui capannoni, su un patrimonio d’arte che non si potrà recuperare mai più: sarà arduo, nella comunione della sconfitta, colmare questa perdita. I terremotati del Friuli e quelli dell’Aquila sono accorsi perché la prossimità del dolore richiama al pari dei grandi gesti dell’amore. Questa prossimità è il simbolo mai valutato dell’unità del Paese.
Non è solo un terribile grande terremoto, è la voce che chiama ciascuno di noi a ricostruire, sin dalle fondamenta, la casa comune. Una ricostruzione che viene da lontano: da un terremoto che mi chiama in causa, mi fa riflettere e soffrire. Mi riferisco al terremoto politico: a partire dalla riduzione, a livello sconfortante, della fiducia ai partiti, al sorgere di liste apartitiche. Viene da chiedersi se i partiti sono sotto processo e perché a seguito di questo processo non si vedano atteggiamenti di pentimento, di redenzione, di gratuità di un servizio.

Non posso tacere su un terremoto che affligge tutti i credenti, tutti coloro che hanno sempre pensato alla Chiesa non come un rifugio protettivo ma come un dono gratuito di Dio per organizzare la comunione umana e cristiana: perché nel mondo ci sia giustizia e pace, perché ogni credente, con la sua doppia cittadinanza - quella anagrafica del tempo e quella scritta nell’eternità - possa seminare passione, misericordia, perdono nell’imitazione di Chi, solo, può e sa perdonare, invadere di amore ogni piccola e grande colpa. La fortezza inviolabile del Vaticano sembra una fortezza di cartone se un maggiordomo del Papa viene arrestato, se un tecnico di valore viene dimesso in maniera sbrigativa. Non possiamo fuggire al dolore di questo caos vaticano di tipo curiale che non contamina la nostra fede ma che ferisce il nostro corpo quanto ferisce quello del Papa che ha dichiarato: “La tristezza invade il mio cuore”. Terremoto che non risparmia anche laici con personalità di alta coerenza e tradizione religiosa, responsabili di importanti e vitali istituzioni, invitati con insistenza a lasciare il campo per non venire giudicati come un opportunisti che si arrangiano nel rapporto tra fede e politica, in quello non meno grave tra moralità e politica e in quello gravissimo di un “io” presuntuoso, imbrattato da una commistione di amicizie poco raccomandabili, che erige sé stesso a modello virtuoso di un “saper fare”. Questo terremoto, non più nascosto, con personale selezionato alle responsabilità istituzionali nelle quali gli indagati e gli inviati a giudizio sono la maggioranza, non è la testimonianza di un buon governo, non è una vetrina da imitare ma un terremoto da cui allontanarsi. Ma c’è anche il terremoto che affligge gli sportivi. Giocatori ben pagati e molto osannati, hanno pensato di aggiustare i loro guadagni organizzando con faccendieri di corruzione, da Singapore alla Cina, dall’Ungheria alla Bosnia, perché in quei luoghi si giocavano cifre da capogiro sui risultati di certe partite combinate dai giocatori stessi. La “combine” come prassi; e anche la piccola gloria, la vanteria di un tifo iperbolico, si è sgonfiata. Per questo il riflessivo Presidente Monti ha affermato che bisognerebbe sospendere il calcio per duo o tre anni. La replica offensiva di mille voci risentite non si è fatta attendere. Io, personalmente, sono dell’opinione che il gioco è un momento di piacevole distrazione: è un gioco; basta non giocare assieme a dei criminali. Cari amici, vi prego di sopportare questa lunga via crucis di terremoti, ma questo è il volto del Paese.

Come ho potuto l’ho descritto, senza esagerare ma forse limitando la povertà civile, politica, culturale di testimonianze fallaci e di fede dozzinale. A quanto descritto dovrei aggiungere un’appendice: mi sento obbligato a raccontarla senza perdermi in commenti che potrebbero allungare il mio intervento. La lettura di un articolo di Armando Torno (“Corriere della sera”, 28 maggio 2012), il cui titolo, “Un partito di cattolici: così si salva la Chiesa”, fa tremar le vene e i polsi, direbbe Dante; anche se chi salva la Chiesa c’è già perché “le porte dell’inferno non prevarranno”. L’autore riporta il pensiero di un filosofo cattolico tra i più noti: Dario Antiseri. Il breve testo andrebbe pubblicato integralmente. Mi limiterò, in questa sede, a riportare il suo pensiero tra virgolette: ”La politica in Italia sta passando un periodo di sofferenza e anche di credibilità delle istituzioni: sta attraversando una crisi senza precedenti. …. La Chiesa ha una missione religiosa ed etica non direttamente politica. La questione, però, riguarda i cattolici i quali, rimasti orfani di un partito di riferimento, si sono dispersi, e tali rimangono. Bravi ovunque, inefficaci dappertutto. La testimonianza morale non si identifica con l’azione politica, perché questa ha bisogno di un’organizzazione, ovvero di un partito. È quello che fece don Sturzo e poi De Gasperi, ancora, Adenauer in Germania. I cattolici devono agire, aiutare praticamente le Gerarchie della Chiesa a non immischiarsi nel pantano della politica, come appunto diceva don Sturzo”. Antiseri ripropone una sua provocazione: “Occorre costituire, lo ripeto, un partito di cattolici liberali e solidali di tipo sturziano …. Ma il destino di questi benedetti cattolici è quello di restare degli ascari. Un nuovo taciturno non expedit rappresenta un veleno per la politica italiana e si trasforma, lo stiamo vedendo, in guai per la Chiesa che si spende in politica spicciola ….

Benedetto XVI afferma che la Chiesa è fondata sulla roccia e che la speranza non verrà meno …. Come nella scienza si progredisce eliminando gli errori, allo stesso modo, nella vita e nella Chiesa si va avanti non coprendo gli scandali ma correggendoli e guardando oltre”. E conclude col: “…. non credere che occorra accumulare potere sulla terra per essere più tranquilli in cielo”. Riconosco questa verità mi richiama al rapporto Chiesa-Stato o, in maniera più comprensibile, al rapporto fede-politica in cui, come ho detto nel precedente Consiglio Nazionale, non può esserci 'né confusione né separazione'.

Questa fu la testimonianza di cattolici che hanno guidato la politica da luoghi di alta responsabilità: tutti, da De Gasperi a Moro, all’insegna del né clericalismo né anticlericalismo, né integralismo, né relativismo, ma obbligo di una duplice obbedienza e, ripeto, di una duplice responsabilità come la duplice cittadinanza: l’anagrafe nella temporalità e quella iscritta nell’eternità. Dare a Cesare ciò ch è di Cesare, non adorare nessuna forma di potere perché si deve adorare il solo Dio. Non fare del potere un idolo, né del denaro un altro idolo, né dell’accumulare ricchezza il finalismo della vita. Noi non abbiamo non ideologia immutabile, non pensiamo nemmeno lontanamente a costruire l’uomo ideologico perché non abbiamo nessuna volontà di creare un regime in cui gli uomini siano tutti uguali all’ideologia che impone il regime. Abbiamo una sola dottrina, quella del bene comune, che richiama alla comunità, al principio dell’alterità, che tende all’integrazione possibile di una realtà che superi l’individualismo come primato dell’”io”, cui si oppone, nell’utopia dell’uguaglianza, la massa. Integrazione che noi pensiamo possa, progressivamente e anche lentamente, ridurre le disuguaglianze all’insegna del principio di 'essere parte e aver parte'.

Senza nessuna pretesa di attentare e di pretendere di partecipare al banchetto dei privilegiati, ma anche quella di non dover partecipare alla povertà degli esclusi. Questo finalismo del bene comune non è un’illusione. È appello di confrontarci non soltanto sul finalismo ma sui mezzi per raggiungerlo. Scegliere quale tipo di riformismo, senza elevare steccati ideologici, risponde alla cultura dei popolari e dei democratici cristiani.

Qualche giorno fa ho orecchiato un’espressione: Generazione E, laddove E sta per Europa: cioè quella generazione che, diversamente da noi, ha trovato buone opportunità di studio e di lavoro in Europa. Mentre mi auguro che l’Italia non perda i propri talenti, allo stesso tempo spero che trovino buone possibilità di spendersi nel mondo, dalla Cina, all’India, dall’Africa, al Brasile. Mi piacerebbe, insomma, chiamarla Generazione I E M: Italia, Europa, Mondo. Coltiviamo questa utopia: essere partecipi di tutti i territori del mondo con la nostra civiltà che non va considerata dominante, con la nostra fede che non va pensata come la sola e inimica di altre fedi, con la nostra storia, ben sapendo che ogni percorso ha momenti di luce, di buio, di violenza e di pace. C’è ancora un punto che mi preme sottolineare: la nostra fede deve convergere sulla Chiesa come mistero e come istituzione che vive, perché Dio non abbandona la Sua casa terrena che, non lascia di suggerirci, sia un po’ più francescana. La nostra vuol essere sempre più una fede senza dubbio, senza paura, fragile, tormentata.

Non porrò mai l’interrogativo di Anselmo d’Aosta Si Deus iustus est, cur malum, convinto come sono che Dio ama e, nell’infinito amore, ci comprende tutti. Il commiato del nostro incontro non è un patto tra amici per una comune avventura rischiosa e difficile: è una profonda partecipazione alla missione politica di democratici cristiani. Una missione che, nella mia presunzione, utopistica e immaginaria, vorrei definire renovatio mundi. I tecnici hanno messo le mani sulla politica. Bene o male hanno diagnosticato la malattia e fornito la medicina: conti in ordine, crescita, equità. Obtorto collo alcuni partiti, la maggioranza, li hanno appoggiati e sostenuti più per necessità che per convinzione. Altri hanno alzato la voce aggredendo i medici e facendosi portatori della crisi sociale. Noi, osservatori di una realtà di macerie, siamo votati ad un progetto di partecipazione politica atto a promuovere le giovani intelligenze disponibili a sporcarsi le mani nel pantano come un neovolontarismo post-bellico. Siamo ispirati e vogliamo trasmettere principi, valori e idealità promossi e testimoniati dai nostri padri nelle catacombe dell’antifascismo e dagli eroi della Resistenza. È questa la condizione indispensabile - se il termine non fosse presuntuoso - per l’avvento di una primavera del Paese fondata su una rinnovata classe dirigente per una nuova politica. Sono commosso per il panorama distruttivo che ci fa temere di essere pensatori solitari, abbandonati dalla speranza, impegnati ad ascendere un monte troppo ripido per le nostre deboli possibilità con il disegno, tra il reale, l’ideale e l’impossibile, di coltivare attraverso i giovani il seme della buona politica.

 

 

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