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Marchionne, politica, lavoro.

(ASI) Nell’intervista rilasciata in esclusiva a Repubblica, Sergio Marchionne non fa sconti a nessuno, mostrando il volto autentico del suo ruolo: un manager con il compito di creare valore per l’azienda e aumentarne il profitto, in un’economia di mercato caratterizzata da confini precari e soggetta alle variabili della globalizzazione.


Con senso realistico, dal suo punto di vista –è bene sottolinearlo- usa la metafora del dentifricio che non si può rimettere nel tubetto per giustificare delle scelte aziendali che, sebbene dolorose, risultano obbligate dalle contingenze economiche e dalle dinamiche del mercato mondiale del settore auto.

Diversamente, le conseguenze sarebbero ancor più nefaste, aggiunge, in primo luogo per la sopravvivenza stessa degli ultimi stabilimenti FIAT in Italia. Marchionne vuole con questo, dimostrare anche un certo senso di responsabilità sociale a quanti lo accusano di agire guidato da puro calcolo. L’onestà intellettuale di Marchionne oggi, non è tuttavia la stessa del 2010 quando annunciava il piano denominato Fabbrica Italia, che avrebbe dovuto rilanciare la produttività della Fiat con i conseguenti benefici anche in termini di occupazione. Nel frattempo, spaccava l’unità sindacale e scardinava per la prima volta quel patrimonio di lotte dei lavoratori e concertazioni rappresentative, scaturite nel contratto nazionale. Roba dell’altro secolo, gli hanno fatto eco in tanti. Alla faccia della responsabilità sociale.

E’ finita l’epoca degli aiuti di Stato che per anni hanno prolungato l’agonia di carrozzoni improduttivi, complice la mancanza colpevole di una politica industriale nazionale: non certo per una rinnovata visione strategica ma perché le regole comunitarie non lo permettono più; le iniezioni di liquidità pubblica e le altre forme di agevolazione a singoli attori privati, ledono una concorrenza che è l’unico antidoto vero alla depressione economica. Soprattutto quando le finalità sono ben lontane da un vero progetto di rilancio di questa o di quell’azienda.

Su questo aspetto la politica farebbe bene a riflettere per il futuro.

Non ci sono più le condizioni di ieri, continua Marchionne. Viviamo una crisi economica senza precedenti. Negli ultimi 2 anni sono state vendute 2 milioni di autovetture in meno, colpa anche degli incentivi, chiosa il manager italo-canadese. E’ difficile tuttavia immaginare che a certi livelli, non si fossero intuiti i sintomi di un malessere a venire che, per la loro gravità, avrebbero dovuto, quantomeno, consigliare prudenza nelle dichiarazioni di intenti.

Peraltro, è opportuno quanto scomodo riflettere sul fatto che le auto non sono caramelle ed è difficile non immaginare contrazioni fisiologiche di un mercato saturo e pompato all’inverosimile: basta soffermarsi cinque minuti a osservare lo scorrere pubblicitario sulle reti televisive. Senza dimenticare l’impatto ambientale assolutamente devastante.

Ognuno si farà un’idea personale delle responsabilità, a tutti i livelli. Rimangono tuttavia da considerare due aspetti su cui è bene insistere: da una parte il ruolo dei lavoratori, considerati parti sostituibili del sistema, alla stregua di un pezzo di ricambio. Dall’altro, l’esigenza di un’azione politica nuova o -come è in voga dire ultimamente- riformista, che parta da un approccio realistico della realtà, senza tuttavia rimanervi imprigionata.

Fabrizio Torella per Agenzia Stampa Italia

 
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