(ASI) Il 25º vertice tra Unione Europea e Cina, tenutosi a Pechino il 24 luglio, avrebbe dovuto celebrare i 50 anni di relazioni diplomatiche. In realtà, più che un momento di festa, è sembrato un bilancio di una relazione complicata, fatta di commercio vitale ma anche di diffidenza crescente.
Ursula von der Leyen e António Costa hanno ribadito a Xi Jinping e Li Qiang la necessità di “riequilibrare” i rapporti economici, con un deficit commerciale europeo che ha toccato i 305 miliardi di euro. Bruxelles ha denunciato le distorsioni sistemiche e l’eccesso di capacità produttiva cinese che rischia di travolgere le industrie europee con merci a prezzi stracciati. Xi, da parte sua, ha liquidato la questione con una frase che non è passata inosservata: “Le difficoltà europee non vengono dalla Cina”.
Sul tavolo non c’erano solo dazi e mercato, ma anche la guerra in Ucraina. L’UE ha chiesto a Pechino di non sostenere l’industria bellica russa e di usare la sua influenza per favorire un negoziato. Ma i segnali non sono incoraggianti: poche settimane fa il ministro Wang Yi aveva detto chiaramente che una sconfitta di Mosca sarebbe inaccettabile per Pechino.
Il vertice ha prodotto un unico comunicato congiunto sul clima, una sorta di “minimo comune denominatore” che ha permesso di evitare il nulla di fatto. Si è parlato di COP30, di riduzione delle emissioni e persino di rare earths, con una promessa cinese di semplificare le procedure di export. Ma al di là di questo, resta la sensazione di un dialogo che arranca, più che avanzare.
Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca e la sua raffica di dazi, l’UE e la Cina si trovano entrambe a dover riposizionarsi. Ma invece di avvicinarsi, sembrano diffidare l’una dell’altra. L’Europa ha scelto la sponda americana, almeno sul piano strategico, e Pechino lo ha capito bene. Per questo il summit, ridotto da due giorni a uno e spostato da Bruxelles a Pechino, ha dato l’impressione che il vero arbitro resti Washington.
Alla fine, il vertice non è stato un disastro ma nemmeno un passo avanti. Ha confermato che la relazione è indispensabile ma fragile, fatta di pragmatismo e diffidenza, con pochi spazi per la fiducia. Se davvero siamo a un “punto di svolta”, come ha detto von der Leyen, non è ancora chiaro in quale direzione si andrà, ma sicuramente sempre di più verso le sponde americane.
Tommaso Maiorca – Agenzia Stampa Italia



