(ASI) Il Vice Ministro degli Esteri iraniano ha dichiarato che l’Iran sarebbe disposto ad avviare trattative di pace con gli Stati Uniti soltanto se non si verificheranno ulteriori attacchi da parte delle forze armate statunitensi, sia nel breve che nel lungo periodo.
Queste dichiarazioni si inseriscono in un clima di forte tensione nella regione mediorientale, dopo che l’Iran è stato teatro di pesanti bombardamenti: prima da parte di Israele con l’operazione “Leone Nascente”, poi con l’offensiva statunitense denominata “Midnight Thunder”.
Secondo fonti della Casa Bianca, l’obiettivo delle operazioni congiunte era il programma nucleare iraniano, che secondo i portavoce del presidente Donald Trump sarebbe stato notevolmente ridimensionato. Tuttavia, il direttore dell’AIEA Rafael Grossi ha affermato che l’Iran potrebbe ripristinare le sue infrastrutture nucleari in pochi mesi. Anche un dossier della DIA (Defense Intelligence Agency) conferma la possibilità di un rapido recupero delle strutture di stoccaggio dell’uranio impoverito.
I rapporti diplomatici con Teheran risultano fortemente compromessi, e ci si interroga sull’efficacia dei colloqui internazionali – come quelli svoltisi a Ginevra – nel ristabilire la stabilità in Medio Oriente. Intanto Russia e Cina, dichiaratisi scettici sugli esiti dei negoziati, hanno rafforzato un asse strategico alternativo a quello formato da USA e Israele.
In un contesto geopolitico così incerto, le possibilità di un nuovo conflitto su larga scala restano concrete. Malgrado i danni subiti dalle infrastrutture nucleari iraniane – sia sotterranee che in superficie – la capacità tecnologica di Teheran non è stata del tutto annientata.
Teheran pone ora condizioni esplicite per riaprire i negoziati: cessazione immediata delle ostilità e garanzie contro futuri attacchi. Dal canto suo, Washington si dice disposta al dialogo solo se l’Iran procederà allo smantellamento completo del proprio programma nucleare, con ispezioni regolari da parte di agenzie internazionali.
La cosiddetta “guerra dei dodici giorni” ha acceso l’allarme nella comunità internazionale, temendo un’escalation incontrollata. Le tensioni affondano le radici nei postumi dell’11 settembre 2001, quando il presidente Bush definì Iran, Iraq e Afghanistan l’“asse del male” dando avvio a vent’anni di presenza militare con l’operazione Enduring Freedom.
Oggi, l’alleanza USA-Israele si presenta compatta, mentre la presenza di gruppi terroristici come Hezbollah, Hamas e ISIS rischia di aggravare ulteriormente la situazione nelle aree già colpite dal conflitto.
Massimiliano Pezzella – Agenzia Stampa Italia