(ASI) Il presidente americano Donald Trump ha annunciato e successivamente introdotto una serie di misure volte ad aumentare i dazi doganali con il chiaro intento, più volte dichiarato, di voler favorire la ripresa economica americana, attraverso la riduzione del deficit commerciale e il contestuale rafforzamento dell’industria nazionale.
L’aumento dei dazi che il presidente degli USA intende imporre è di tipo ad valorem , ossia a valore percentuale e quindi direttamente calcolato come aliquota sulla base del prezzo della merce importata.
In quest’ottica l’esecutivo americano adotterà le seguenti aliquote di tassazione aggiuntive:
● un dazio minimo del 10% su ogni tipo di importazione negli Stati Uniti;
● un dazio del 20% sulle merci provenienti dall’Unione Europea;
● un dazio del 25% si tutte le auto che non sono prodotte sul suolo americano;
● un dazio del 34% sulle importazioni dalla Cina. Le misure denominate “dazi di reciprocità” termineranno di entrare in vigore domani 9 aprile 2025.
Dopo questa data seguirà una breve finestra temporale in cui sarà possibile effettuare delle negoziazioni, cercando appunto misure di reciprocità, al fine di ottenere degli sconti particolari con i Paesi che vorranno trattare. Le trattative si renderanno necessarie in quanto un aumento così repentino delle imposte doganali, potrebbe innescare meccanismi di ritorsione da parte dei partner commerciali internazionali degli USA per sfociare in una guerra commerciale a livello globale con gravi ripercussioni su tutta l’economia mondiale. L’idea che sta alla base delle politiche doganali di Trump, è quella che con l’aumento dei dazi si riesca a riequilibrare il deficit commerciale degli Stati Uniti, attraverso alcuni meccanismi economici noti.
Il deficit commerciale si verifica quando le importazioni di un Paese superano le esportazioni. In questo scenario la domanda di beni è sostanzialmente sottratta alle imprese nazionali in favore di quelle estere; con l’aumento dei dazi, il presidente americano intende rendere più costosi i beni importati, riducendo immediatamente la domanda interna per questi. Contestualmente i consumatori, vengono indirettamente spinti a sostituire i beni esteri con beni cosiddetti domestici con l’effetto diretto di stimolare la produzione interna. Questo stimolo porta con sé ulteriori benefici, legati al mondo del lavoro e della produzione interna. Aumentando la domanda, le imprese aumenteranno le proprie capacità produttive il che si tradurrà in una crescita dell’occupazione in specifici settori e inoltre ci sarà un accrescimento delle imprese nazionali, che diventeranno sempre più competitive sia sul mercato interno, ma anche a livello globale.
Oltre al riequilibrio del deficit commerciale, secondo Trump le misure attuate saranno anche in grado di rafforzare la sovranità economica americana, rendendo la nazione sempre più indipendente e resiliente rispetto a eventi inattesi o incontrollabili. In particolare verrà ridotta la dipendenza legata ai fornitori stranieri di alcuni settori chiave e inoltre saranno assorbiti in maniera più efficace i cosiddetti shock esterni, dovuti a interruzioni delle forniture, come ad esempio quelli che abbiamo vissuto direttamente in prima persona nel periodo della pandemia COVID e con i conflitti geopolitici più recenti. La politica dell’aumento dei dazi inoltre, si traduce anche in maggiori entrate per le casse pubbliche, senza andare direttamente a gravare sulle imprese e le famiglie americane.
Questi maggiori introiti potranno essere a loro volta utilizzati per politiche di rilancio in altri settori. Infine i tavoli delle trattative dei prossimi giorni vedranno siglati accordi commerciali che dovrebbero risultare più favorevoli agli Stati Uniti, sia in termini di approvvigionamento sia in termini economici. Il fine giustifica i mezzi: difendere il mercato interno, riducendo le importazioni e di conseguenza rilanciare l’economia americana, attraverso la rinnovata spinta produttiva locale, incrementando così l’indipendenza strategica degli USA. Ma a potenziali benefici nel brevissimo periodo, potrebbero contrapporsi gravi squilibri dovuti a inflazioni incontrollate, inefficienze produttive e nel medio-lungo termine persino tensioni di tipo geopolitico.
Carlo Armanni - Agenzia Stampa Italia