(ASI) L'economia cinese sale al quattordicesimo posto assoluto nella Classifica di Competitività Mondiale (WCR) 2024. Martedì scorso, l'International Institute for Management Developement (IMD) di Losanna, in Svizzera, ha pubblicato il consueto rapporto annuale sulla competitività di 67 economie nel pianeta, premiando il gigante asiatico per aver mantenuto un solido livello di crescita (+5,2% nel 2023) e per le riforme messe in campo.
Dopo aver attutito gli effetti più impattanti della pandemia e aver orientato la ripresa con un equilibrato mix di politiche fiscali e monetarie, senza ricorrere ad interventi straordinari di spesa pubblica, Pechino ha dovuto fare i conti con problemi strutturali non secondari, a partire dal fallimento del colosso immobiliare Evergrande e dalle inevitabili ripercussioni sul settore.
Tuttavia, l'ottimismo emerso dagli indici PMI relativi alle costruzioni, pubblicati mensilmente nel corso del 2023, ha evidenziato il buon stato di salute del comparto e la capacità del mercato di assorbire i contraccolpi prodotti dall'incertezza legata al cambio di paradigma nel modello di sviluppo, declinato non più sulla base della quantità bensì della qualità.
Così, dopo aver perso quattro posizioni lo scorso anno rispetto al 2022, scendendo al 21° posto, quest'anno l'economia cinese sale di ben sette gradini. Ma quali sono, secondo gli analisti, i punti di forza nel panorama di competitività (competitiveness landscape) del Paese asiatico? Suddivisi in quattro categorie (performance economica, efficienza governativa, efficienza d'impresa ed infrastrutture), i venti parametri di riferimento cercano di fotografare in modo preciso lo stato dell'arte.
Per quanto riguarda la performance economica spiccano indubbiamente il 1° posto mondiale sul fronte dell'economia interna, trainata dai consumi di una classe media in forte ascesa, ed il 13° in tema di investimenti internazionali, anche se pesa negativamente il dato relativo al commercio internazionale (43° posto). Bene l'occupazione (19°) dopo gli allarmi scattati nella prima metà del 2023 per l'aumento del tasso di disoccupazione giovanile.
L'efficienza governativa resta complessivamente più attardata. Il miglior dato, in questo caso, proviene dalle politiche fiscali, dove la Cina si piazza al 23° posto, frutto dei numerosi interventi di riduzione e semplificazione, nel segno della riforma strutturale dell'offerta lanciata nel 2015. Più indietro il quadro sociale (28° posto), le finanze pubbliche (31°), il quadro normativo per le imprese (33°) e il quadro istituzionale (34°). Considerando il percorso di riforma del Paese asiatico, ancora incompleto, si tratta di numeri comunque positivi. Basti pensare, ad esempio, che l'Italia, membro fondatore di UE e G7, è al 61° posto per le politiche fiscali, al 43° per il quadro istituzionale, al 37° per il quadro normativo per le imprese e al 33° per il quadro sociale.
L'efficienza d'impresa alza sensibilmente la media complessiva: la Cina è infatti al 10° posto per il mercato del lavoro, al 13° per attitudine e valori, al 18° per produttività ed efficienza, al 21° sia per finanza sia per pratiche di management.
In ogni caso, il terreno sul quale l'economia del Dragone può giocarsi le sue carte migliori è quello delle infrastrutture, vero e proprio fiore all'occhiello negli ormai undici anni del mandato presidenziale di Xi Jinping. Le infrastrutture tecnologiche vedono la Cina al 5° posto nel mondo, quelle scientifiche all'8°, quelle di base al 21°, quelle relative a salute ed ambiente al 32° e quelle legate all'istruzione e alla formazione al 28°.
Tra le sfide che attendono il Paese asiatico quest'anno, gli esperti dell'IMD puntano i riflettori su cinque obiettivi in particolare: mitigare gli impatti negativi del rallentamento economico globale; stabilizzare l'occupazione e sostenere il reddito delle famiglie; approfondire le riforme e l'apertura per incrementare la vitalità del mercato; scongiurare il rischio di indebitamento dei governi locali per migliorare la sostenibilità fiscale; stimolare l'innovazione per sospingere lo sviluppo di alta qualità.
Nella top-20 del WCR di quest'anno compaiono ben 8 economie asiatiche. Singapore guadagna tre posizioni rispetto all'anno scorso e balza in testa alla graduatoria mondiale, confermando la sua eccellenza a tutto campo. La regione amministrativa speciale di Hong Kong sale al 5° posto, rispetto al 7° del rapporto 2023, smentendo le analisi di chi ne prevedeva un decadimento dopo l'approvazione della legge sulla sicurezza nazionale voluta da Pechino.
Gli Emirati Arabi scalano tre gradini e si piazzano al 7° posto. Taiwan, pur ottenendo un più che positivo 8° posto, scende di due posizioni, anche a causa delle turbolenze geopolitiche tra Pechino e Washington in "combinato disposto" con l'eccessiva dipendenza dell'isola dal settore dei semiconduttori. Fanno inoltre un passo in avanti ciascuno il Qatar (11°) e l'Arabia Saudita (16a). Oltre alla Cina (14a, +7), come già visto, va alla grande anche la Corea del Sud (20a, +8).
Degli altri dodici Paesi, tutti occidentali, solo quattro registrano una performance positiva, cioè Svizzera (2a, +1), Svezia (6a, +2), Australia (13a, +6) e Norvegia (10a, +4). Scendono, invece, Danimarca (-2), Irlanda (-2), Paesi Bassi (-4), Stati Uniti (-3), Finlandia (-4), Islanda (-1), Belgio (-5) e Canada (-4). Alle loro spalle, realtà emergenti come Bahrein (21°, +4), Thailandia (25a, +5) e Indonesia (27a, +7) spingono con forza e promettono di accelerare il loro processo di riforma e modernizzazione.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia