(ASI) Bratislava – L’esito delle consultazioni del 30 settembre consegna la maggioranza relativa nelle mani di Robert Fico. Le incognite relative alla politica interna e alla politica estera sono ancora molteplici.
Partiamo dalla situazione interna. I risultati delle urne hanno delineato una condizione abbastanza frastagliata. Il Parlamento monocamerale slovacco è composto da 150 seggi, tuttavia nessuna formazione politica ha ottenuto la maggioranza assoluta. A riscuotere il maggior numero di voti è stato il controverso Robert Fico, a capo del partito “Direzione – Socialdemocrazia” (SMER-SD).
Con il 22,9% dei consensi, Fico si è aggiudicato 42 seggi in Assemblea, attestandosi al di sotto della soglia di maggioranza assoluta. Appena dieci seggi in meno sono andati ai progressisti, europeisti e filo-ucraini di “Slovacchia Progressista” (PS) di Michal Šimečka, che sono stati scelti dal 17,9% degli elettori. 27 scranni sono stati assegnati dall’ufficio elettorale slovacco a “Voce – Socialdemocrazia” (HLAS-SD). Considerata dagli analisti come un “partito pigliatutto”, la formazione di Peter Pellegrini ha totalizzato quasi il 15% delle preferenze.
Ed è qui che la situazione si complica, dal momento che nessuno dei due partiti maggiormente votati sembra avere intenzione di allearsi con Fico per dar vita a un governo. Altre formazioni radicali sia di sinistra sia destra sono riuscite a superare lo sbarramento fissato al 5%, ma resta da vedere se e in che misura saranno capaci di rapportarsi con “Direzione – Socialdemocrazia”. Secondo l’analisi di “CNN”, “con sette partiti che hanno superato lo sbarramento i negoziati di coalizione includeranno quasi certamente più attori e potrebbero durare a lungo”.
D’altronde, è assai complesso inquadrare l’ideologia incarnata dalla formazione di Fico. Il politico ha già rivestito la carica di Primo ministro tra il 2006 e il 2010 e tra il 2012 e il 2018. La sua esperienza istituzionale è stata bruscamente interrotta proprio nel 2018 dalla drammatica uccisione del giornalista Ján Kuciak e della compagna, Martina Kušnírová. Il cronista ha pagato con la vita le inchieste sulla corruzione della classe dirigente slovacca – ivi compreso il partito di Fico – e sulle infiltrazioni della criminalità organizzata. Attualmente, “Direzione – Socialdemocrazia” è membro del gruppo europeo dei Socialdemocratici, nonostante l’ex Primo ministro sia solito coniugare posizioni di estrema sinistra con istanze nazionaliste solitamente avanzate dall’estrema destra.
Una contraddizione non di poco conto, che diviene ancor più evidente se si scorre il programma elettorale ufficiale redatto in occasione delle recenti consultazioni. In ambito economico, ad esempio, SMER-SD dichiara di “rifiutare le tendenze neoliberiste globali” e di “mette apertamente in discussione il funzionamento del libero mercato”. Alle dinamiche finanziarie adottate in larga misura nei paesi occidentali e negli Stati membri dell’Unione europea, Fico contrappone “la necessità di uno Stato forte” che “non si sottometta alle multinazionali” e che faccia primariamente gli interessi dei cittadini. Insomma, una visione alquanto alternativa che – come scritto espressamente nel programma – vede di buon occhio la statalizzazione delle grandi società operanti in settori strategici quali l’energia o le risorse idriche.
Ma la rotta di collisione con Bruxelles appare in tutta la sua forza quando si passa a scandagliare il programma di politica estera. A partire dall’accettazione che “ci sono paesi nel mondo come la Cina che hanno deciso di optare per una forma di governance diversa dalla democrazia parlamentare” e dalla proclamazione del principio di “non ingerenza negli affari interni di altri paesi”.
Affermazioni capaci di far risuonare più di un campanello di allarme a Bruxelles. L’Unione, infatti, non ha mai chiuso la porta al dialogo con Pechino ma ha più volte ribadito di non voler prescindere dal rispetto delle norme del diritto internazionale. Ultimamente, un nuovo terreno di scontro si è acceso con Xi Jinping per l’incoraggiamento di pratiche commerciali sleali danneggianti le imprese europee. La presidente della Commissione europea, Usrula von der Leyen, ha rincarato la dose annunciando l’apertura di un’inchiesta sui massicci finanziamenti statali concessi alle auto elettriche cinesi. Finanziamenti cui si imputa di drogare un mercato sempre più fiorente e di ledere la commercializzazione delle vetture prodotte in Europa.
A raffreddare le relazioni con Bruxelles non ci sono solo i rapporti con il paese del dragone. Il programma elettorale di “Direzione – Socialdemocrazia” non risparmia animose critiche al funzionamento stesso dell’Unione, che non sarebbe ora “adeguatamente governata”. Nel mirino vi è la proposta avanzata da numerosi Stati membri di abolire il diritto di veto in sede di Consiglio. Tale meccanismo – originariamente concepito per garantire l’unanimità in merito a decisioni importanti – è divenuto con il tempo uno strumento usato per bloccare deliberazioni sgradite anche a uno solo dei membri, ingolfando di fatto l’operatività dell’intera Unione.
A ricorrervi sono stati soprattutto Polonia e Ungheria, i cui governi tendono spesso e volentieri ad aprire articolati contenziosi con i vertici comunitari. A Varsavia e Budapest potrebbe presto unirsi la medesima Bratislava, in quanto Fico condivide con i governi presieduti da Mateusz Morawiecki e Viktor Orban l’avversione alla politica migratoria comunitaria.
“Tenere conto degli interessi nazionali slovacchi è importante quando si elabora una politica migratoria europea”, recita lapidario il programma elettorale di SMER-SD. Dietro tale affermazione, sovente ripetuta da Polonia e Ungheria, si cela l’avversione ad accogliere quote di migranti al fine di alleggerire il carico gravante sui paesi di primo approdo come l’Italia. E non a caso Fico ha colto l’occasione per proporre la ricostituzione del gruppo V4 di Visegrad composto da Slovacchia, Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. In passato, il V4 si è dimostrato un vero e proprio gruppo di interesse abile nell’ostacolare numerose decisioni prese a Bruxelles.
E poi c’è lo scottante capitolo della guerra in Ucraina, dove ancora una volta Fico appare pronto a mettere in discussione le politiche attuate dalla maggior parte degli Stati membri Ue. Il programma elettorale parla chiaro. Nel documento, si legge che il partito “rifiuta l'assistenza militare all'Ucraina” e che d’ora in poi “valuterà le proposte per imporre sanzioni contro qualsiasi Stato del mondo in base all'impatto economico e sociale delle sanzioni sulla Slovacchia”. In sostanza, se Fico riuscirà a formare un governo non solo Kyiv dovrà temere per l’invio di rifornimenti militari, ma sarà tutta l’Ue a temere un braccio di ferro qualora si vogliano varare nuove restrizioni a carico della Federazione russa.
La Slovacchia, lo ricordiamo, è membro sia della Nato sia dell’Ue e vanta un delegato all’interno della Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Si tratta di Maroš Šefčovič, esponente del medesimo partito di Fico e nominato vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche.
L’impressione è che la costituzione di un eventuale esecutivo concederà a Fico l’occasione di dare filo da torcere all’attuale classe dirigente comunitaria. Non a caso, il primo presidente a congratularsi calorosamente per il risultato conseguito alle urne è stato proprio l’ungherese Viktor Orban. Nel mentre, lo svolgimento delle elezioni europee è dietro l’angolo. E gli esiti sono tutt’altro che scontati.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia