Cina. Nuove linee guida per riciclo eolico e fotovoltaico, confermato approccio realista all'ecologia

green(ASI) Nella giornata di oggi, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme ha annunciato la pubblicazione delle nuove linee guida per promuovere il riciclo delle apparecchiature eoliche e fotovoltaiche dismesse, come riporta Xinhua.

Stando a quanto sottolineato dalle stesse autorità, il comparto cinese delle fonti energetiche di nuova generazione si è sviluppato molto velocemente negli ultimi anni. Con l'accelerazione dell'aggiornamento industriale e del rinnovamento delle apparecchiature, uno dei problemi principali da affrontare nel prossimo futuro sarà proprio quello della dismissione su larga scala.

Secondo quanto stabilito, la Cina dovrà sviluppare un sistema dedicato allo smaltimento e al riutilizzo dei materiali raccolti dagli impianti non più in funzione, concentrandosi in particolare su sei compiti ritenuti fondamentali: promuovere con forza la progettazione verde (green design); istituire e migliorare il meccanismo di responsabilità per lo smaltimento delle apparecchiature dismesse; migliorare il sistema di riciclo delle apparecchiature; rafforzare la capacità di riciclo delle risorse; promuovere con prudenza la rigenerazione delle apparecchiature; e standardizzare lo smaltimento innocuo dei rifiuti solidi.

Nonostante il gigante asiatico resti ancora la prima nazione al mondo per emissioni di CO2, seguito da Stati Uniti, UE, India, Russia e Giappone [EDGAR - JRC, 2022], nel corso degli ultimi dieci anni l'impegno di Pechino per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico è stato massimo, facendo del Paese di mezzo il maggior investitore globale in energie pulite.

Un Libro bianco sul tema, pubblicato a gennaio dal Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, ha segnalato che, nel quadro del consumo complessivo di energia, tra il 2012 e il 2021 la quota delle fonti pulite è aumentata dal 14,5% al 25,5%, mentre quella del carbone è scesa dal 68,5% al 56%. 

Alla fine dello scorso mese di aprile, in Cina, la capacità installata di energia eolica ha raggiunto i 380 GW di potenza, mentre quella di energia solare ha toccato quota 440 GW. Messe insieme, le due fonti contribuiscono per circa il 30,9% alla capacità di generazione energetica installata a livello nazionale. A giugno, inoltre, è emerso che l'intero ventaglio delle fonti non-fossili ha superato la metà del totale (50,9%). 

Durante il 2022, nel Paese sono stati installati nuovi impianti solari per quasi 85 GW trainando la crescita del fotovoltaico a livello mondiale (+360 GW) [N. Andreatta, Green.it]. Secondo alcune previsioni, quest'anno il dato potrebbe essere addirittura superiore, toccando i 120 GW. Se così fosse, entro il 31 dicembre prossimo, la capacità installata solare complessiva oltrepasserebbe la mastodontica soglia dei 510 GW [Rinnovabili.it].

Al netto della posizione di leadership a livello globale dei produttori cinesi di tecnologie fotovoltaiche, gli occhi restano dunque puntati soprattutto sul mercato interno, complici anche le numerose barriere commerciali imposte all'estero alle importazioni dal colosso asiatico.

All'atteggiamento protezionistico (ad intermittenza) di alcuni governi occidentali in questo campo, tuttavia, non sembra ancora accompagnarsi una capacità produttiva ed innovativa tale da permettere alle aziende europee e nordamericane del settore di competere seriamente coi grandi produttori cinesi. La spinta impressa al Green New Deal dallo strumento Next Generation EU, che contribuisce a finanziare i vari PNRR dei singoli Paesi membri dell'Unione, punta anche a colmare questo divario ma la strada è ancora lunga e non priva di ostacoli.

Nel frattempo, l'azione ambientale del governo cinese si sta concentrando su almeno cinque grandi obiettivi: sul piano logistico-commerciale, diminuire la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili dall'estero; sul piano socio-ambientale, migliorare la salubrità dell'aria nelle aree urbane e nelle aree rurali a rischio; sul piano infrastrutturale, sviluppare ulteriormente sistemi di mobilità sostenibile sia pubblici che privati, a partire da alta velocità ferroviaria e veicoli elettrici; sul piano turistico, promuovere i numerosi parchi, riserve ed aree protette istituite nel corso degli anni; sul piano politico-ideologico, (ri)costruire una civiltà (confucianamente) fondata sull'armonia tra uomo e natura.

A questi se ne lega certamente un altro, di ordine reputazionale, nella misura in cui questo vasto processo - tutt'ora in corso - di tutela ambientale e miglioramento della qualità dell'aria sta concorrendo - e concorrerà sempre di più - a rafforzare l'immagine di Pechino nel mondo, come protagonista della transizione ecologica dopo decenni di accuse, spesso ingenerose o pretestuose, ad essere onesti.

Se è vero che la Cina, come già osservato, resta il principale Paese per mole di CO2 prodotta in assoluto, è infatti altrettanto vero che le responsabilità del gigante asiatico appaiono ben più modeste se quella cifra viene rapportata al numero degli abitanti, scaraventando Pechino dal primo al ventottesimo posto della classifica mondiale.

Guardando ai dati del Centro Comune di Ricerca della Commissione UE (JRC), nel 2020 il valore delle emissioni pro-capite in Cina (8,2 ton) è stato inferiore non soltanto a grandi o medi produttori di idrocarburi e minerali come Qatar (37,1), Kuwait (23,5), Emirati Arabi Uniti (20,7), Arabia Saudita (16,96), Oman (16,9), Australia (15,22), Canada (14,43), Kazakhstan (14,22), Stati Uniti (13,68), Russia (11,64) ed altri ancora, ma anche ad avanzate economie importatrici quali Giappone (8,39) e Paesi Bassi (8,42).

Passando poi alla distribuzione storica delle emissioni nocive dall'inizio dell'era industriale ad oggi, il peso delle responsabilità occidentali è infinitamente maggiore rispetto a quello dei Paesi in via di sviluppo e delle economie emergenti, tra cui la stessa Cina.

Pechino ha già fissato da tempo il traguardo del picco carbonico al 2030, sebbene ci siano buone possibilità di anticiparlo, mentre la neutralità carbonica dovrebbe essere definitivamente raggiunta nel 2060. Un obiettivo realistico per un Paese di 1,4 miliardi di abitanti, industrializzato da poco più di quarant'anni, eppure subito criticato dopo la conclusione della COP26 di Glasgow del 2021, da chi chiedeva a Xi Jinping di accettare il termine del 2050. Facile propaganda, sull'ondata emotiva dei movimenti ambientalisti occidentali: un'utopia - o, meglio, una distopia - anche per la stessa Europa.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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