(ASI) Secondo uno studio elaborato da Confindustria, pubblicato a luglio di quest'anno, il termometro dell'economia italiana non è dei migliori e la crisi si fa sentire sia nel settore industriale sia nelle famiglie.
Infatti, secondo questi rilievi, "rallenta la crescita dell’economia italiana, sorretta dai servizi, ma frenata dai tassi elevati. L’inflazione è meno alta, ma le Banche Centrali alzano i tassi ai massimi, e il credito è in ripiegamento perché troppo caro. In Italia i servizi sono trainati dal turismo, l’industria è debole, le costruzioni in calo. Gli investimenti sono frenati, i consumi incerti, mentre l’export di beni è in riduzione. La Germania è in recessione, secondo i previsori sarà di breve durata. Gli USA restano in crescita, viceversa la Cina rischia la deflazione".
Ci si interroga su quali siano le cause che hanno prodotto questi risultati negativi, ma anche sulle soluzioni da adottare per superare questo momento e rilanciare l'economia italiana. Naturalmente il conflitto russo-ucraino ha acuito di molto la crisi ma l'Italia, rispetto ad altre nazioni, paga di più questa condizione a causa di una politica esetera poco efficace nel difendere gli interessi dell'industria nazionale.
Pur senza mettere in discussione le alleanze internazionali, risulta evidente uno scarso supporto all'apparato produttivo ed un atteggiamento troppo passitvo degli ultimi governi, incapaci di promuovere a livello internazionale i nostri settori strategici, che ancora godono di grande stima e considerazione all'estero. Negli anni, il governo italiano ha compromesso, più o meno pesantemente, rapporti commerciali privilegiati con partner importanti quali Libia, Egitto e Russi. Ora il rischio è quello di perdere potenziali opportunità sull'importantissimo mercato cinese. Come ormai è noto, entro dicembre Giorgia Meloni ed il suo esecutivo dovranno decidere se rinnovare o abbandonare il Memorandum Italia-Cina sulla Via della Seta, ossia l'accordo (non vincolante) con la prima economia mondiale per prendere parte attivamente all'Iniziativa Belt and Road (BRI), lanciata da Pechino nel 2013.
Giova ricordare che nel 2022, stando ai dati dell'Amministrazione Generale delle Dogane della Repubblica Popolare Cinese, l'interscambio commerciale (import+export) tra i due Paesi è cresciuto del 5,4% rispetto all'anno precedente, toccando quota 77,88 miliardi di dollari. Nel dettaglio, è cresciuto il volume delle esportazioni cinesi in Italia (+16,8%) ed è diminuito quello delle esportazioni italiane in Cina (-11%). Proprio per colmare il nostro deficit commerciale sarebbe fondamentale adoperarsi per incrementare la cooperazione e, dunque, la presenza delle nostre aziende sul mercato cinese, sempre più apprezzate dai consumatori del Paese asiatico, come dimostrato lo scorso aprile all'ultimo China International Consumer Products Expo (CICPE) di Haikou, di cui l'Italia era ospite d'onore. Se non lo faremo noi saranno sicuramente altre economie avanzate a coglierne i benefici.
A tal proposito è intervenuta l'on. Naike Gruppioni (Azione - Italia Viva - Calenda), componente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati e dell'Intergruppo parlamentare d'Amicizia Italia-Cina, intervistata dal Quotidiano Giornale Diplomatico. «Sono i fatti e i numeri a dimostrare che il rapporto di cooperazione bilaterale culturale ed economica tra Italia e Cina sia solido e concreto», ha detto la deputata di Italia Viva, che ha aggiunto: «La Via della Seta risale a prima di Cristo e legò commercialmente l'impero romano e quello cinese. E da allora le relazioni commerciali non sono mai cessate»
Si riportano alcuni stralci dell'intervista pubblicata dal Quotidiano Giornale Diplomatico.
Roma, 9 ago. 23 – L'on. Naike Gruppioni (Azione - Italia Viva - Calenda) e componente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati e dell'Intergruppo parlamentare d'Amicizia Italia-Cina, nella sua veste di imprenditrice che da oltre 20 anni opera in Cina, è una convinta sostenitrice della Via della Seta e confuta l'opinione di chi, nel Governo Meloni, intende sminuirne la validità e il proseguimento. Il Quotidiano Giornale Diplomatico le ha rivolto alcune domande a questo proposito.
Sulle ragioni che spingerebbero l'Italia a mantenere il dialogo con Pechino, Gruppioni sostiene: «Piuttosto c'è da chiedersi come sia possibile non farlo e non essere coerenti con l'atteggiamento avuto fino ad ora, frutto di rapporti decennali. Non esiste un motivo valido per cessare il dialogo con la Cina, come con qualsiasi altro Paese. Sono i fatti e i numeri a dimostrare che il rapporto di cooperazione bilaterale culturale ed economica tra Italia e Cina sia solido e concreto. La Via della Seta risale a prima di Cristo e legò commercialmente l'impero romano e quello cinese. E da allora le relazioni commerciali non sono mai cessate».
«I cinesi sono nostri partner da sempre e la loro maggiore preoccupazione è quella di un cambiamento che raffreddi le relazioni»
«L'Italia è un fortissimo partner commerciale della Cina. Abbiamo relazioni commerciali storiche che non interferiscono con le relazioni che noi abbiamo con gli Stati Uniti o con altri alleati della NATO. Da mesi il Governo italiano invia segnali negativi a Pechino frutto di un “raffreddamento” spiegabile solamente con una visione miope del futuro».
Pur condividendo l'utilizzo del golden power (veto), più volte utilizzato dal governo Draghi per bloccare alcuni investimenti cinesi in Italia in settori considerati sensibili, Gruppioni afferma che «rendere la Via della Seta, oramai, “lettera morta” implica una presa di posizione diplomatica chiarissima che esporrà il Paese a problemi inimmaginabili, il tutto per ragioni incomprensibili». «Licenziare la Via della Seta vuol dire anche non rendersi conto di quanto profondo sia, oggi, il legame delle imprese italiane con il tessuto produttivo cinese», sostiene la deputata di Italia Viva.
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