(ASI) Lussemburgo – Dinanzi alle numerose crisi che stanno destabilizzando l’ordine globale, lo scorso 26 giugno i ventisette ministri degli Esteri dell’Ue si sono riuniti intorno a un tavolo. A coordinarli, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Joesp Borrell Fontelles.
Il Consiglio Affari Esteri ha, in primo luogo, affrontato la delicata questione degli sviluppi bellici in Ucraina. Nella parte iniziale delle discussioni è intervenuto l’omologo ucraino, Dmytro Kuleba, collegato in videoconferenza.
Bruxelles non ha mai fatto mancare a Kyiv il suo sostegno umanitario, finanziario e militare. A tal proposito, si prevede che la missione comunitaria di assistenza militare – EUMAM Ukraine – addestrerà ben 30.000 soldati ucraini entro la fine dell’anno.
Oltre a confermare la piena operatività della missione, i ministri hanno preso importantissime decisioni finanziarie al fine di aiutare Kyiv “per tutto il tempo necessario”. In particolare, una nuova iniezione di liquidità ha consentito di incrementare di ulteriori 3 miliardi e mezzo la dotazione dello Strumento europeo per la pace. Si tratta, come suggerisce il nome, di un fondo comune mirato a gestire le crisi scoppiate nei paesi vicini alle frontiere dell’Ue e ripristinare condizioni di pace e stabilità.
In passato, Bruxelles vi ha fatto ricorso per intervenire – da sola o in collaborazione con agenzie e organizzazioni internazionali – nelle aree calde di Georgia, Moldavia, dei Balcani, degli Stati africani. Con l’avvio dell’invasione russa, la maggior parte delle attenzioni è stata dirottata proprio verso l’Ucraina. E così, l’iniziale dotazione complessiva di 5 miliardi e mezzo per il periodo 2021-2027 è stata dapprima innalzata a quasi 8 miliardi a marzo, per poi essere ulteriormente incrementata pochi giorni fa.
Lo Strumento europeo per la pace può ora contare su circa 12 miliardi. Una cifra, questa, indispensabile per il suo funzionamento e per poter continuare a sostenere la difesa di Kyiv. Del resto, i dati europei indicano che ad oggi è già stato impegnato – in larga misura a favore dell’Ucraina – il 92% dei fondi a disposizione.
A detta dell’Alto rappresentante, d’altronde, non è certo il momento di temporeggiare. “Restiamo vigili e determinati a coordinarci con i nostri alleati”, ha dichiarato riferendosi al clamoroso colpo di mano assestato a Putin dall’ex fedelissimo, Evgenij Prigozhin. Per Borrell, la ribellione del capo della milizia Wagner è sintomo di “un indebolimento dello Stato russo e della credibilità personale di Putin”. In conseguenza, alla luce “dell’instabilità politica interna e della fragilità della grande potenza nucleare” diviene sempre più fondamentale sostenere l’esecutivo di Zelensky, proteggendolo dalle ricadute di futuri scossoni in pancia al Cremlino.
Ma a pochi passi dall’Europa vi è un’altra situazione potenzialmente esplosiva. Le recenti elezioni nel nord del Kosovo hanno innescato una spirale di violenza quando gli abitanti – in maggioranza serbi – sono scesi in piazza contro la vittoria di candidati albanesi. L’inasprimento dei toni fra Belgrado e Pristina sta facendo temere il peggio alla comunità internazionale, facendo riemergere i drammatici ricordi delle guerre balcaniche degli Anni Novanta.
Il rischio di un nuovo conflitto alle porte d’Europa è quanto mai concreto. Il 22 giugno Borrell ha convocato a Bruxelles i diretti interessati, il Primo ministro serbo Aleksandar Vucic e l’omologo albanese Albin Kurti, nel tentativo di promuovere una mediazione pacifica. L’Ue, infatti, è determinata a risolvere la spinosa controversia con gli strumenti della diplomazia e del dialogo.
Il Consiglio ha preso atto degli sviluppi, appoggiando la volontà conciliatoria di Borrell. Al termine del vertice, l’Alto rappresentante ha annunciato che l’Unione è pronta ad “aumentare la propria influenza” nell’area per “sostenere un dialogo volto alla normalizzazione”. Ha sottolineato, poi, come le elezioni nel nord del Kosovo debbano assicurare la “partecipazione incondizionata” dei serbi, i quali incarnano la quasi totalità dei residenti. Infine, in vista dell’allargamento dell’Ue ai paesi in questione, ha ribadito l’importanza del rispetto dei principi democratici, ammonendo perentoriamente: “Dai futuri Stati membri dell'Unione ci aspettiamo un comportamento di stampo europeo”.
Il Consiglio è tornato anche sulle labili relazioni con l’Iran dell’ayatollah Khamenei. Teheran – lo ricordiamo – è già ai ferri corti con Bruxelles poiché è accusata di vendere al Cremlino droni impiegati in Ucraina contro i civili e le infrastrutture strategiche.
Stavolta, nel mirino è finito l’atteggiamento violento con cui il governo reprime sistematicamente le proteste pacifiche degli oppositori. Oppositori che fin troppo spesso finiscono in carcere, umiliati, torturati, condannati a morte con l’unica colpa di essere scesi in piazza per reclamare più diritti sociali e civili, più libertà per le donne.
Per la nona occasione in breve tempo, il Consiglio ha deciso di imporre nuove sanzioni a carico di funzionari statali coinvolti nella repressione del dissenso e negli abusi. Sono stati inseriti nella lista nera procuratori generali, giudici, governatori di regioni e città, comandanti delle forze di polizia e del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche. Costoro, a vario titolo, si sono resi protagonisti di pratiche gravissime: hanno intentato processi farsa contro i manifestanti pacifici, hanno ordinato di sparare su di loro durante i cortei, li hanno incarcerati ingiustamente, li hanno torturati e violentati in cella.
Ad oggi, le sanzioni dell’Ue colpiscono in totale 223 persone e 37 entità coinvolte più o meno direttamente nelle crudeltà. Tra di essi figurano persino alcuni ministri del governo centrale. Non potranno più mettere piede sul suolo europeo né ricevere fondi comunitari. Al pari di quanto sta accadendo con gli oligarchi fedeli a Putin, inoltre, tutti i loro beni registrati nel territorio comunitario saranno immediatamente congelati.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia