(ASI) Bruxelles – Una decisione storica, che non ha eguali negli ordinamenti giuridici esistenti. Una scelta che arriva nel bel mezzo della crisi climatica contemporanea e delle sue disastrose conseguenze.
Il 16 maggio è stato definitivamente approvato il regolamento dell’Europarlamento e del Consiglio europeo relativo “all’importazione e all'esportazione di determinate materie prime e prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale”.
Per la prima volta, il provvedimento bandisce dal mercato comune una serie di prodotti diffusissimi la cui coltivazione, estrazione o lavorazione comporta il deterioramento o l’abbattimento delle foreste. Nel bersaglio sono finiti sette prodotti che utilizziamo o consumiamo quotidianamente, assieme ai loro derivati. Si tratta, nello specifico, dell’olio di palma, della carne, del caffè, del cacao, della soia, della gomma e del legno. Tra i derivati più conosciuti figurano il cioccolato, i mobili, la carta stampata e i componenti per cosmetici a base di olio di palma.
Chiariamolo subito, non c’è bisogno di allarmarsi. Potremo continuare tranquillamente a trovare tali prodotti nei negozi. Tuttavia, per poter essere importati sul suolo europeo o esportati verso paesi terzi, questi dovranno essere coltivati, fabbricati o commercializzati in modo da non nuocere alla sopravvivenza delle foreste.
Il regolamento interviene su più punti affinché ciò possa realizzarsi. In primo luogo, impone ai produttori e ai commercianti nuove “regole di buona diligenza”. Essi, infatti, prima di immettere le loro merci sul mercato comune dovranno certificarne la sostenibilità, garantendo di non aver contribuito in alcun modo all’abbattimento delle foreste. Per farlo, saranno tenuti a tracciare la provenienza della merce “fino all'appezzamento di terreno in cui è stata prodotta”.
Le certificazioni saranno sottoposte al vaglio delle autorità competenti dei singoli Stati membri, secondo uno schema predisposto in ambito europeo. Il riferimento è all’innovativo “sistema di valutazione comparativa”, che studierà e giudicherà come ciascun paese – sia interno sia esterno all’Ue – gestisce la produzione delle merci menzionate. In base al grado di tutela del verde, ai paesi verrà assegnato un “livello di rischio legato alla deforestazione” che da basso a standard, fino ad alto.
La cadenza dei controlli delle autorità sarà proporzionale alla classificazione dello Stato di provenienza dei produttori o dei commercianti. Più gli operatori che vendono in Europa saranno originari di paesi giudicati ad alto rischio di deforestazione, più le loro certificazioni saranno sottoposte a ispezioni e controlli. Le autorità dovranno, inoltre, vigilare direttamente sulle merci immesse nel mercato, anche in tal caso concentrandosi maggiormente su quelle dei paesi ad alto rischio.
Sono previste sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” nei confronti degli operatori che dichiarano il falso. Le ammende dovranno tenere conto del danno ambientale arrecato e del valore dei prodotti incriminati. In ogni caso, stando al testo del provvedimento, dovranno ammontare “a un livello pari ad almeno il 4% del fatturato annuo dell’operatore”. Oltre agli oneri economici, le sanzioni potranno, in aggiunta, comportare l’esclusione dalle gare di appalti pubblici o il divieto di poter usufruire di finanziamenti europei.
Le norme hanno carattere retroattivo e sono valide a partire dal 31 dicembre 2020. Ciò significa, in altri termini, che da quella data in poi potranno essere commercializzati esclusivamente i prodotti coltivati o fabbricati su terreni che non sono nati dall’abbattimento delle foreste.
Ma perché il regolamento è così significativo? Lo è in quanto – sulla base di numerosi studi scientifici – mette nero su bianco la correlazione esistente fra le nostre abitudini alimentari e di acquisto e il grave danneggiamento delle foreste. Questi grandi polmoni verdi di ossigeno, preziosi alleati nella lotta alle emissioni nocive di gas serra, costituiscono nel contempo riserve vitali per piante e specie animali a rischio estinzione.
Eppure, si calcola che nel mondo ogni minuto viene distrutta un’area grande quanto dieci campi da calcio. Un rapporto del 2020 della Fao ha dimostrato che la deforestazione sta crescendo in maniera a dir poco allarmante. Se nel 2000 sono andati in fumo 78 milioni di ettari, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura a vent’anni esatti di distanza la cifra è arrivata a sfiorare il valore record di quasi 180 milioni di ettari.
Come indicano gli studi della Commissione europea, tutto questo è accaduto anche per sostituire le aree precedentemente occupate da foreste con terreni agricoli destinati a soddisfare le nostre esigenze quotidiane. E non è un caso che su quei terreni vengano coltivate principalmente le palme da cui si ricava l’omonimo olio, assai ricercato dall’industria alimentare poiché più economico rispetto a oli assai più salutari. Al secondo posto troviamo la soia, seguita da legno, cacao, caffè e gomma. Esattamente i prodotti bersagliati dal regolamento, insomma.
L’Unione europea, peraltro, si è già pronunciata in merito. Nel 2021, infatti, è nata la Strategia per le foreste, un importante documento operativo che mira a sfruttare la capacità dei polmoni verdi di assorbire i gas serra per ridurne le emissioni del 55% entro il 2030. La Commissione ha colto l’occasione per proporre alcune misure in grado di contenere l’effetto di azioni umane dannose. Tra le idee c’è quella di piantare 3 miliardi di nuovi alberi entro il 2030 o di erogare sussidi ai proprietari e gestori affinché adottino comportamenti rispettosi dell'ambiente.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia