(ASI) Bruxelles – I ventisette ministri degli Esteri europei si sono incontrati il 22 maggio. A coordinare i lavori, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell Fontelles. Molteplici le questioni impellenti all’ordine del giorno.
Le discussioni hanno toccato, in primo luogo, gli sviluppi bellici in Ucraina. L’Unione è determinata ad appoggiare gli sforzi difensivi del paese, escludendo al momento l’avvallamento di qualsiasi azione puramente offensiva. La missione comunitaria EUMAM, in merito, ha già addestrato a resistere alle offensive nemiche 15.000 soldati ucraini e conta di raddoppiare entro la fine del 2023.
Borrell ha esortato i colleghi a passare al livello successivo, assecondando le richieste di Kyiv sulle munizioni d’artiglieria. “Il nostro sostegno militare deve continuare, deve aumentare, deve essere esteso. Ogni giorno di ritardo costa vite umane”, ha avvertito. L’Alto rappresentante ha incoraggiato gli Stati membri a velocizzare l’attuazione del piano in tre fasi mirato a consegnare un milione di munizioni entro la fine dell’anno. Ciò dovrebbe avvenire sia tramite l’acquisto congiunto, sia tramite lo sfruttamento delle scorte comunitarie, sia tramite una riorganizzazione dell’industria bellica europea, allo scopo di renderla maggiormente produttiva.
Bruxelles intende, inoltre, continuare a finanziare l’apparato militare ucraino, sempre per finalità esclusivamente difensive. Finora sono stati stanziati ben 13 miliardi di soldi europei, ma sull’erogazione di ulteriori sussidi pesa il veto dell’Ungheria.
Pochi giorni fa, infatti, Budapest ha ufficializzato la sua opposizione come ripicca per la decisione delle autorità ucraine di inserire OTP Bank nella lista nera delle “organizzazioni sponsor della guerra”. La più grande banca commerciale magiara – presente in 11 paesi Ucraina compresa – è finita nel mirino di Kyiv in quanto non ha mai smesso di operare in Russia, con le sue 135 filiali in cui lavorano oltre 13.000 dipendenti.
Non sono certo una novità gli attriti fra le due capitali. Volodymyr Zelensky ha più volte protestato contro l’atteggiamento ambiguo di Budapest. Fortemente dipendente dal gas russo, il presidente Viktor Orbán ha replicato di voler mettere al primo posto l’interesse nazionale. Nel caso specifico, ha dichiarato che non toglierà il veto se Kyiv non cambierà idea in relazione a OTP Bank. Sulla vicenda, Borrell si è detto disponibile a mediare affinché vengano ripristinati il prima possibile gli aiuti militari: “Il mio ruolo è quello di parlare con tutti per cercare di trovare delle soluzioni. Per questo è necessario che ci sia dialogo tra di noi”.
I ministri degli Esteri hanno poi concordato di approvare in breve tempo l’undicesimo pacchetto di sanzioni ai danni del Cremlino. Particolare attenzione sarà conferita, stavolta, a limitare le vie sotterranee che hanno finora permesso a Putin di aggirare in parte le restrizioni precedentemente imposte. Bruxelles aprirà una serie di negoziazioni con i paesi terzi sospettati di facilitare l’elusione dei divieti. L’Ue, lo ricordiamo, nel 2022 ha nominato il diplomatico David O'Sullivan “Inviato speciale per l’implementazione delle sanzioni alla Russia”, al fine di convincere le cancellerie scettiche ad applicare in pieno le normative restrittive comunitarie.
Il Consiglio è tornato sull’impellenza di giungere finalmente a una “pace equa e giusta” capace di “garantire i diritti del popolo ucraino”. L’Alto rappresentante ha approfittato per ribadire la vibrante delusione per la “proposta di pace” cinese, giudicata talmente ambigua da risultare inconcludente. Pur non menzionando direttamente Xi Jinping, Borrell ha ammonito: “Nessuno che sia veramente interessato alla pace può mettere sullo stesso piano la vittima e l'aggressore. Devo rivolgere questo messaggio a tutti i leader del mondo che, pur essendo molto interessati alla pace, continuano ad agire in tal senso”.
A proposito di aggressioni, i ministri hanno dato il via libera al lancio di una missione europea in Moldavia. “EUPM Moldova” – questo il suo nome – opererà per due anni nella capitale Chisinau, con l’obiettivo di addestrare le autorità locali a contrastare i tentativi di interferenza straniera.
È stata la stessa classe dirigente filo-europeista a chiedere aiuto a Bruxelles. Ciò è avvenuto in seguito alla clamorosa rivelazione dell’esistenza di un piano russo volto a rovesciare il governo legittimamente eletto e sostituirlo con un esecutivo fantoccio piegato alle ambizioni egemoniche del Cremlino.
Il Consiglio ha anche approvato un quadro legislativo per poter sanzionare – una volta identificati – coloro che “minacciano la sovranità e l'indipendenza della Moldavia” compiendo azioni violente, ostacolando lo svolgimento delle elezioni o attuando un colpo di stato. Tra le misure previste figurano il congelamento dei beni, il divieto di mettere piede in suolo europeo, l’impossibilità di percepire fondi comunitari.
La Moldavia ha chiaramente espresso la volontà di entrare nell’Ue. L’anno scorso ha ottenuto l’importante riconoscimento di “paese candidato all’adesione” e non ha esitato ad applicare nei confronti del Cremlino le restrizioni via via varate da Bruxelles. Ciò, tuttavia, ha esacerbato i già tesi rapporti con Mosca, per via della presenza di militari russi nella regione della Transnistria. Autoproclamatasi indipendente ma di fatto invasa dai soldati moscoviti, la regione non è mai stata riconosciuta né da Chisinau né dal resto della comunità internazionale.
Durante il vertice, i ministri hanno dato il disco verde all’ottavo pacchetto di restrizioni contro l’Iran. A motivare il provvedimento le violenze, gli abusi, le uccisioni sommarie ordinate dal regime per silenziare migliaia di giovani indifesi, scesi da mesi in piazza per chiedere democrazia, libertà, diritti.
Nel mirino sono finiti membri del parlamento, forze dell’ordine, magistrati, funzionari pubblici, fondazioni legate alla macchina repressiva del regime. Non potranno più viaggiare in Europa o percepire fondi comunitari, mentre i loro beni in suolo europeo saranno congelati. Ad oggi sono in totale 216 le persone e 37 le entità bersagliate, accusate di aver contribuito alla grave e persistente violazione dei diritti umani che culmina spesso con impiccagioni frutto di processi farsa.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia