(ASI) Quando, nel settembre 2013, il presidente cinese Xi Jinping lanciò ufficialmente il mega-progetto di connettività infrastrutturale che anni dopo avrebbe assunto il nome di Iniziativa Belt and Road (BRI), lo fece non a caso dalla capitale kazaka Astana, raggiunta in occasione di un tour in Asia Centrale.
«La Cina e i Paesi dell'Asia Centrale sono vicini amichevoli collegati da montagne e fiumi comuni», disse in quei giorni Xi, aggiungendo che Pechino «conferisce grande valore all'amicizia e alla cooperazione con questi Paesi e fa di queste una priorità della sua politica estera». Crocevia delle rotte carovaniere ridefinite a posteriori col termine di Seidenstraße dal geografo prussiano Ferdinand von Richthofen, l'Asia Centrale riveste ancora oggi un'importanza capitale nel quadro della strategia globale cinese.
Se in epoche antiche e medievali decine di migliaia di esemplari di camelus bactrianus - il celebre cammello a due gobbe caratteristico delle steppe asiatiche - solcarono gli impervi sentieri desertici del Gobi e del Taklamakan o quelli montuosi del Tien Shan e del Pamir, oggi sono i treni e gli autoarticolati a scorrere lungo le principali arterie che collegano la regione autonoma cinese dello Xinjiang a Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan, e da lì ad Uzbekistan e Turkmenistan, trasportando merci verso Russia, Caucaso, Medio Oriente ed Europa.
Gli interessi e i progetti cinesi nella regione rappresenteranno buona parte del focus nel prossimo vertice tra la Cina e i Paesi dell'Asia Centrale, in programma domani e dopodomani (18-19 maggio) a Xi'an, suggestiva metropoli cinese dall'incommensurabile valore storico, in passato - quando si chiamava Chang'an - capitale di ben 13 dinastie regnanti, tra cui la Dinastia Tang, con la sua enorme eredità culturale, letteraria, artistica e religiosa. Proprio dall'odierno capoluogo della provincia dello Shaanxi, nei secoli passati, cominciavano le numerose direttrici di quella Via della Seta che - non solo idealmente - concludeva a Venezia il suo lungo percorso terrestre.
Il summit prende forma dal meccanismo di cooperazione Cina-Asia Centrale (C+C5), stabilito nel 2020 per venire incontro alle richieste delle parti di intensificare le relazioni diplomatiche ed economiche. Gli esperti, dunque, si attendono per l'appuntamento di quest'anno un significativo incremento nella cooperazione multilaterale, con la firma di nuovi accordi e memorandum.
Dopo la dissoluzione dell'URSS nel dicembre 1991, le cinque neonate repubbliche indipendenti dell'Asia Centrale hanno cominciato a stabilire relazioni politiche ed economiche di crescente rilievo con Pechino, ponendo le basi per la costruzione di una piattaforma diplomatica caratterizzata - come ricordato da Xi durante il vertice virtuale dello scorso anno - da quattro principi fondamentali: rispetto reciproco, amicizia di buon vicinato, solidarietà nei momenti difficili e cooperazione dal mutuo vantaggio.
In questi trent'anni, Pechino ha stabilito un partenariato strategico globale permanente con il Kazakhstan, il più grande dei cinque attori, e partenariati strategici globali con ciascuno degli altri quattro: Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan. Interessi vitali per entrambe le parti, che ormai non possono più essere messi in discussione.
Dal grande giacimento turkmeno di Saman-Depe, ad esempio, si diparte un gasdotto di 1.833 km, con una portata di 55 miliardi di metri cubi annui, che dal 2009 rifornisce la Cina passando attraverso il territorio uzbeko e quello kazako. Oltre alle infrastrutture energetiche, assumono un'importanza cruciale anche quelle viarie: basti soltanto pensare che circa l'80% del trasporto merci ferroviario tra Cina ed Europa transita per questa regione.
La stabilità dei cinque Paesi centrasiatici - in passato più volte compromessa da rivoluzioni colorate, insurrezioni fondamentaliste e rivolte sociali - rientra dunque tra le priorità assolute dei meccanismi di sicurezza regionale. Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan sono membri fondatori, assieme a Cina e Russia, dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), piattaforma intergovernativa nata nel 2001 allo scopo di stabilizzare l'Asia Centrale ma che ha poi esteso il suo raggio d'azione alla sfera economica, industriale, tecnologica e culturale, coinvolgendo nuovi Paesi, tra cui India e Pakistan, accolti come membri, osservatori o partner per il dialogo.
L'agenda SCO in tema di sicurezza non si limita tuttavia al contrasto delle «tre forze malevole» del terrorismo, del separatismo e dell'estremismo ma è ormai fortemente focalizzata anche sul supporto al processo di pace e stabilizzazione in Afghanistan, dopo la disastrosa conclusione del ventennio di occupazione occidentale a guida statunitense.
I Paesi della regione hanno già firmato memorandum e accordi relativi alla BRI, espandendo la loro cooperazione con Pechino in numerosi settori. L'innalzamento del livello delle relazioni ha accresciuto l'interscambio commerciale complessivo tra la Cina e l'Asia Centrale, che nel 2022 ha toccato la quota-record di 70 miliardi di dollari. Alla fine dello scorso marzo, inoltre, il flusso di investimenti diretti cinesi nella regione aveva superato i 15 miliardi di dollari.
Spazio anche all'ambito socio-culturale grazie a due fattori in particolare: i 62 gemellaggi esistenti tra province, regioni e città delle due parti, con l'obiettivo di portarli a 100 entro un periodo compreso tra i prossimi cinque e dieci anni; l'apertura - a partire dal 2004 - di 13 Istituti Confucio e 24 Classi Confucio in Asia Centrale, con oltre 18.000 studenti attualmente iscritti. Sul fronte della cooperazione universitaria, tra il 2010 e il 2018, il numero di ragazzi e ragazze provenienti dai cinque Paesi della regione che hanno studiato in Cina è aumentato mediamente ogni anno del 12,33%, passando da 11.930 a 29.885 unità.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia