(ASI) Karuizawa – Molteplici temi di scottante attualità sono stati al centro della recente riunione dei ministri degli Esteri del G7 in Giappone. Presenti i delegati di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti, accompagnati dall’Alto Rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell Fontelles.
Al primo posto non poteva non esserci l’andamento del conflitto in Ucraina. I rappresentanti hanno ribadito la ferma condanna dell’iniziativa bellica di Vladimir Putin e si sono schierati con risolutezza dalla parte del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Il comunicato congiunto diramato al termine dei lavori conferma l’intenzione di assicurare a Kyiv un “costante sostegno di sicurezza, economico e istituzionale” per tutto il tempo necessario.
I ministri hanno puntualizzato la volontà di contrastare l’atteggiamento aggressivo della Federazione russa attraverso gli strumenti dell’ordinamento giuridico internazionalmente accettato, escludendo per ora l’eventualità di un’offensiva militare in grado di innalzare pericolosamente i toni. E così l’accento è stato posto sul ricorso a nuove sanzioni, sul congelamento dei beni sovrani russi, sulla necessità di accertare giudizialmente le responsabilità del capo del Cremlino e della sua cerchia di fedelissimi. A tal proposito, i delegati hanno avallato le operazioni investigative avviate già da tempo dalla Corte penale internazionale. Oltre all’appoggio al Tribunale dell’Aia, l’elemento innovativo è incarnato dalla timida apertura all’istituzione di un “tribunale internazionale basato sul sistema giudiziario ucraino per perseguire il crimine di aggressione”. Opzione, questa, a più riprese caldeggiata dal presidente Volodymyr Zelensky, su cui finora gli alleati occidentali si sono sempre mossi con cautela, preferendo il ricorso a una giustizia il più possibile imparziale.
Il vertice G7 ha poi esortato Mosca a “ritirare tutte le forze e le attrezzature belliche dall'Ucraina immediatamente e senza condizioni”. I ministri degli Esteri hanno deplorato la persistente minaccia di Putin circa l’impiego di armi nucleari distruttive e hanno lanciato un avvertimento inequivocabile: “Qualsiasi uso di armi chimiche, biologiche o nucleari da parte della Russia comporterebbe gravi conseguenze”.
Dal testo del comunicato traspare anche il “profondo rammarico” nei confronti della decisione unilaterale di Putin di sospendere temporaneamente l’applicazione del Trattato New Start. Una deliberazione preoccupante, dal momento che il presidente russo ha contestualmente annunciato la disponibilità a condurre nuovi test nucleari, sebbene solo a scopi difensivi. Va segnalato, comunque, che il medesimo comunicato apre allo sfruttamento delle “applicazioni nucleari pacifiche”. Si tratta, cioè, del nucleare finalizzato alla produzione di energia “a basse emissioni di carbonio e a prezzi accessibili”, nel rispetto delle normative internazionali sulla sicurezza e la non proliferazione nonché in stretta collaborazione con l’Agenzia internazionale per l'energia atomica.
L’attenzione dei ministri degli Esteri si è spostata sulle altre criticità affliggenti la tenuta dell’ordine globale. Particolarmente significativo è il richiamo fatto alla Cina per garantire “la pace, la stabilità, la risoluzione pacifica delle controversie” a Taiwan. Non certo un’isola qualsiasi, bensì la preziosa roccaforte dei semiconduttori, i minuscoli componenti elettronici indispensabili al regolare funzionamento di una miriade di dispositivi di uso quotidiano in tutto il mondo. Una roccaforte contesissima, sui cui incombono minacciose le ambizioni predatorie di Pechino, invise tanto agli Stati Uniti che all’Unione europea.
E ancora, non sono mancati riferimenti alla disastrosa condizione dei diritti umani fondamentali nell’Afghanistan dei talebani e nell’Iran dell’ayatollah Khamenei. Il regime teocratico di Teheran, nello specifico, è da tempo nell’occhio del ciclone per il suo appoggio militare alla Russia in Ucraina e per la violenta repressione delle proteste pacifiche che da mesi riempiono le piazze chiedendo più democrazia e diritti in seguito al brutale assassinio della giovane Mahsa Amini. Il vertice ha diffidato i capi politici di Teheran dal commettere “crimini di guerra” in Ucraina, e li ha spronati a terminare urgentemente “le violazioni e gli abusi sistemici dei diritti umani”. Il paese, lo ricordiamo, è bersaglio di molteplici sanzioni varate dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. I provvedimenti non hanno esitato a colpire economicamente membri eminenti del governo, della magistratura, del sistema mediatico iraniano.
Dal vertice è risuonato, altresì, l’appello a sanare in maniera pacifica le fratture di odio riemerse fra israeliani e palestinesi. Una situazione che sta divenendo via via più incandescente, soprattutto in seguito alla formazione del nuovo governo presieduto da Benjamin Netanyahu, fortemente sbilanciato a destra. Provocazioni e fatti di sangue si susseguono senza soluzione di continuità. Arrivano a sfociare, spesso e volentieri, in veri e propri attentati terroristici che spezzano bruscamente le vite dei civili. In uno degli ultimi è deceduto il nostro giovane connazionale, Alessandro Parini, rimasto coinvolto da innocente in un attentato a Tel Aviv. “Tutte le parti devono astenersi da azioni unilaterali […] comprese le attività di insediamento e l'incitamento alla violenza” hanno messo in guardia i delegati, tornando a promuovere la convivenza pacifica fra israeliani e palestinesi secondo la “soluzione a due Stati”.
A Karuizawa c’è stato spazio, inoltre, per discutere sulle grandi sfide della contemporaneità. Due di esse risultano particolarmente importanti per le loro molteplici ricadute sulla nostra vita quotidiana. In primo luogo, vi è l’impellenza di bloccare le esportazioni di tecnologie e materie prime critiche a duplice uso dall’Occidente verso paesi che potrebbero impiegarle a scopi militari, oltre che prettamente civili. Difficile non intravedere un riferimento alla recente stretta approvata da Washington e Bruxelles sulla vendita a paesi terzi – Cina e Russia in primis – di componenti elettronici utili tanto a rifornire arsenali militari quanto a sviluppare tecnologie malevole capaci di interferire nelle questioni politiche interne.
In secondo luogo, vi è l’esigenza di combattere gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici mediante una rapida ed efficiente transizione a modelli di produzione e di vita sostenibili, ecologici. I ministri hanno sollecitato tutti i decisori politici a intraprendere azioni “immediate, ambiziose, inclusive” al fine di contenere l’innalzamento delle temperature all’interno di massimo 1.5°C, abbandonare il carbone entro il 2035, azzerare le emissioni globali di gas serra entro il 2050.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia