(ASI) New York – La risoluzione approvata pochi giorni fa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite punta a far cessare quanto prima le ostilità attraverso garanzie di pace a lungo termine.
A un anno dallo scoppio di una guerra che sembra far tornare indietro le lancette del tempo, la risoluzione A/ES-11/L.7 – messa ai voti proprio dall’Ucraina – evidenzia la necessità di raggiungere urgentemente una pace “esaustiva, giusta e duratura”.
Una pace che tenga conto dei principi elencati nella Carta delle Nazioni Unite, in tal caso “l’uguaglianza sovrana” e “l’integrità territoriale” di ciascuno Stato. Una pace costruita “sulla sovranità, l'indipendenza, l'unità” del paese all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti.
Allusione evidente, questa, al mancato riconoscimento delle regioni annesse dalla Federazione russa tramite referendum giudicati illegali sin dai combattimenti del 2014 nel Donbass. La medesima sorte toccata allora ai capisaldi strategici della Crimea e di Sebastopoli ha interessato lo scorso autunno gli oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson, Zaporizhzhia. Aree storicamente contese, dove con il passare degli anni la fragile convivenza fra ucraini e russi si è andata via via deteriorando a causa di leggi che hanno cercato di imporre la prevalenza di una cultura sull’altra, ottenendo l’unico scopo di esacerbare i reciproci istinti nazionalisti.
Così, la richiesta di restituire le terre strappate al governo centrale di Kyiv è stata accompagnata dall’invito a Mosca a ritirare “immediatamente, completamente e incondizionatamente” tutte le sue forze militari dalle frontiere ucraine originarie.
La risoluzione chiede, inoltre, di applicare le norme internazionali relative al trattamento dei prigionieri di guerra. Gli Stati membri si sono schierati per lo “scambio completo” di prigionieri fra i contendenti e per il rilascio di tutte le persone detenute illegalmente. Il riferimento è ai tantissimi civili e bambini deportati con la forza dalle autorità russe a mano a mano che le truppe di Mosca avanzavano e occupavano nuovi villaggi ucraini.
Il Cremlino è stato anche richiamato a “cessare immediatamente” le offensive ai danni delle infrastrutture critiche utili ad assicurare alla popolazione i servizi pubblici essenziali nel bel mezzo del gelido inverno. Nel contempo, è stata ribadita la necessità di porre subito fine agli “attacchi deliberati a obiettivi civili” come abitazioni private, ospedali, scuole, luoghi di cultura.
In ossequio alle regole del diritto internazionale umanitario, le parti sono state ammonite affinché risparmino ai civili inutili sofferenze, garantiscano ai bisognosi pieno accesso ai corridoi umanitari e “si astengano dal prendere di mira, distruggere o rendere inutilizzabili gli strumenti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile”.
Gli Stati membri hanno voluto ribadire, poi, il loro impegno a fare giustizia per quanto è accaduto e sta ancora accadendo in Ucraina. La risoluzione menziona l’esigenza di avviare “indagini eque e indipendenti” condotte “a livello nazionale o internazionale”. Su tale questione, tuttavia, c’è da registrare un’importante divergenza di vedute fra Kyiv e l’Unione europea. Infatti, da un lato il presidente Volodymir Zelensky è determinato a ottenere l’istituzione di un tribunale speciale incaricato di pronunciarsi sul crimine di aggressione perpetrato dall’esercito di Putin. Bruxelles, dal canto suo, opta per la creazione di un “meccanismo di accertamento delle responsabilità” che sostenga le attività investigative del procuratore della Corte penale dell’Aia.
Ma il sangue che continua a scorrere in Ucraina comporta gravi conseguenze in grado di valicare velocemente i confini nazionali. Basta pensare, a titolo di esempio, ai preoccupanti discorsi di Putin grondanti di insinuazioni sull’utilizzo delle armi nucleari. Come non accennare, poi, alle ricadute globali sugli approvvigionamenti energetici e sul vertiginoso innalzamento dei prezzi di combustibili e materie prime. E che dire della drastica riduzione delle esportazioni ucraine di grano indispensabili ad affievolire la povertà dilagante nei paesi più poveri.
La risoluzione, dunque, ha voluto abbracciare un’ottica di ampio spettro. Lo ha fatto incoraggiando gli Stati membri a collaborare “in uno spirito di solidarietà” per fronteggiare “l'impatto globale del conflitto sulla sicurezza alimentare, sull'energia, sulla finanza, sull'ambiente e sulla sicurezza nucleare”. Perché nel mondo interconnesso in cui viviamo, le difficoltà vissute da un paese arrivano sempre più spesso a ripercuotersi sugli equilibri di potenza internazionali.
La risoluzione è stata approvata con 141 voti favorevoli, 7 contrari, 32 astensioni. Il presidente dell’Assemblea Generale si è detto soddisfatto dell’esito dello scrutinio. Secondo il diplomatico ungherese di lungo corso Csaba Kőrösi, la comunità internazionale si trova oggi di fronte a un bivio. “Dobbiamo scegliere se percorrere la via della solidarietà e della determinazione collettiva a tutela della Carta delle Nazioni Unite, oppure la via dell'aggressione, della guerra, delle violazioni del diritto internazionale, del collasso dell'ordine globale” ha avvertito.
Difficile prevedere quali saranno gli esiti concreti dell’approvazione della risoluzione. E se è vero che il numero dei favorevoli si è sorprendentemente rivelato superiore alle aspettative, è pur vero che certe opposizioni e certi silenzi continuano a pesare come macigni.
Oltre alla Russia, infatti, hanno votato contro Bielorussia, Siria, Corea del Nord. Paesi accomunati, questi, da una vibrante avversione all’Occidente e alle sue ideologie politiche ed economiche. Ma a turbare sono state anche le astensioni di Cina e India. Si tratta di Stati legati a Mosca da consistenti affari commerciali nonché dalla medesima, vivace aspirazione a competere con l’Occidente, fino a costruire un polo di potere in tutto e per tutto alternativo a esso.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia