(ASI) Con l'intensificarsi della tensione in Ucraina, da qualche settimana la stampa internazionale, in particolare quella statunitense, ha cominciato a guardare con grande interesse alla posizione della Cina, legata a Mosca da un solido partenariato strategico costruito a partire dal luglio 2001, quando l'allora presidente Jiang Zemin e Vladimir Putin firmarono firmarono un Trattato di Buon Vicinato e Cooperazione Amichevole (FCT), circa un mese dopo la fondazione dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), sorta su iniziativa russo-cinese proprio per venire incontro alle esigenze di sicurezza in Asia Centrale.
Nel corso degli ultimi giorni, già prima dell'attacco sferrato dal Cremlino in territorio ucraino, le domande dei corrispondenti esteri a Pechino si erano fatte sempre più insistenti in occasione delle consuete conferenze stampa dei portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare.
La posizione ribadita dai diplomatici cinesi è quella legata ai tradizionali cinque Principi di Coesistenza Pacifica, che caratterizzano la linea di politica estera del Paese sin dai tempi di Zhou Enlai. Tra questi, il principio di non-interferenza e quello del rispetto della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale degli Stati indipendenti, così come sancito anche dalla Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, Pechino ha fatto anche sapere che la situazione ucraina è segnata da una complessità di fattori, per meglio dire caratteristiche «complesse e speciali» che ne rendono particolare il contesto.
Di fronte alle domande incalzanti dei corrispondenti occidentali nella conferenza stampa odierna, la portavoce del Ministero degli Esteri Hua Chunying, pur precisando che «l'attuale situazione non è ciò che spereremmo di vedere» ed auspicando che «tutte le parti lavorino in concerto per dare una possibilità alla pace ed allentare la situazione prima possibile attraverso il dialogo, la consultazione e i negoziati», non ha voluto utilizzare la parola "invasione" per l'azione russa in Ucraina.
Quando Pechino cita la complessità e la particolarità del caso ucraino, cosa vuol dire? Per cercare di interpretare meglio le dichiarazioni cinesi, è opportuno osservare il piano storico e quello giuridico.
Sul primo va senz'altro compreso il concetto di "estero vicino", da un ventennio divenuto ricorrente nella dottrina geopolitica di Mosca per descrivere l'intero spazio post-sovietico nei termini di un insieme di territori fondamentali per garantire la sicurezza della Federazione Russa dopo la dissoluzione sovietica. Le gravi destabilizzazioni politiche provocate, con il sostegno di fondazioni e ONG statunitensi, in questo spazio tra il 2003 e il 2010, di cui una proprio in Ucraina con la cosiddetta "rivoluzione arancione", non hanno fatto che aumentare questa convinzione.
In tale ottica era già sorta nel 2002, sulla base di precedenti accordi militari intergovernativi tra alcune repubbliche ex sovietiche, l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), che ad oggi comprende, oltre alla Russia, anche Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan. Se n'è recentemente sentito parlare in occasione dell'intervento congiunto, il primo nella sua storia, compiuto in Kazakhstan su richiesta del presidente Tokayev nel gennaio scorso per sedare le rivolte violente e i gravi disordini scoppiati in diverse città del Paese.
L'Ucraina non ha mai fatto parte della CSTO ma l'orientamento di politica estera di Kiev è sempre stato monitorato con attenzione da Mosca, specie da quando, nel 2014, un golpe depose l'ex presidente Viktor Janukovic, vicino a Mosca, per installare una nuova leadership, legata all'UE e agli Stati Uniti. Il territorio ucraino, inoltre, è ancora il frutto della decisione presa a Belaveža nel dicembre del 1991 tra i leader di Russia, Ucraina e Bielorussia, che diede il via libera al definitivo scioglimento dell'URSS.
Al tempo, nessuno pensò di rinegoziare i vecchi confini tra Russia e Ucraina, modificati a più riprese dalla leadership sovietica tra il 1922 e il 1954, quando i due soggetti erano repubbliche interne di uno stesso Stato. Così facendo in tutta l'area ex sovietica, circa 25 milioni di russi etnici, nati o cresciuti in URSS ma al di fuori della Russia, si ritrovarono improvvisamente all'estero. Negli ultimi otto anni, questo dualismo ha creato profonde divisioni tra la porzione sud-orientale dell'Ucraina, in maggioranza russofona e russofila, e il resto del Paese.
Sul piano giuridico, invece, la Cina fa riferimento, in questo caso esplicitamente, all'Atto finale di Helsinki del 1975, alla Carta di Parigi del 1990 e all'Atto istitutivo sulle relazioni NATO-Russia del 1997. «Vale la pena ricordare - aveva detto proprio ieri Hua - che il principio di indivisibilità della sicurezza è contenuto» in questi documenti, aggiungendo che «tuttavia, gli Stati Uniti chiaramente non hanno rispettato il loro impegno».
Pechino ha sempre ritenuto - ha proseguito Hua - che dovrebbe esserci sicurezza comune, cooperativa e sostenibile per tutti i Paesi e che nessun Paese o alleanza dovrebbe cercare di massimizzare i propri interessi di sicurezza. In questo senso, secondo il Ministero degli Esteri cinese, «le legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia dovrebbero essere prese seriamente in considerazione ed accolte».
L'ultima speranza della leadership cinese in questo senso era stata affidata proprio alla possibilità, purtroppo sfumata nelle ore successive, che tutte le parti potessero «esprimere moderazione e restare fredde e lucide, apprezzare l'importanza dell'attuazione del principio di indivisibilità della sicurezza, mantenere aperta la porta del dialogo ed impegnarsi per allentare la tensione, limando le differenze e salvaguardando congiuntamente la pace attraverso i negoziati».
Al portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price, che aveva chiesto alla Cina di rispettare il principio di sovranità e integrità territoriale degli Stati, aggiungendo che Pechino dovrebbe chiedere a Mosca di arretrare, Hua ha risposto che gli Stati Uniti non sono nella posizione di poter redarguire la Cina su questo aspetto, ricordando le aggressioni coloniali subite nel passato e il bombardamento dell'Ambasciata cinese di Belgrado durante l'intervento NATO in Serbia nel 1999, nel quale rimasero uccisi tre giornalisti cinesi. «La NATO ha ancora un debito di sangue col popolo cinese», ha detto con durezza Hua, menzionando anche le interferenze degli Stati Uniti e di alcuni loro alleati negli affari interni del Paese in relazione alle regioni dello Xinjiang, di Hong Kong e di Taiwan.
«Se guardiamo agli Stati Uniti, durante i loro quasi 250 anni di storia, ce ne sono stati solo 20 in cui non hanno condotto operazioni militari all'estero», ha concluso Hua, spiegando: «I pretesti usati possono essere la democrazia, i diritti umani, una semplice provetta di detersivo o addirittura delle fake news. La comprensione del rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale di uno Stato da parte di un Paese del genere è decisamente diversa dalla nostra».
In risposta all'AFP, Hua ha infine voluto citare anche Henry Kissinger, veterano della diplomazia statunitense, che più di sette anni fa disse: «Se l'Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l'avamposto di nessuna delle due parti contro l'altra ma dovrebbe fungere da ponte tra l'Est e l'Ovest». Probabilmente aveva ragione.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia