Covid-19. Trump incolpa l'OMS ma tutti erano informati e non c'è certezza che il virus sia nato in Cina

0cb6ab0b 28c2 4bae bd70 5cb972f8fc19(ASI) Donald Trump cambia nuovamente idea. Aveva ringraziato la Cina in un tweet [1] lo scorso 24 gennaio, quando elogiò Pechino per il «duro lavoro» nell'opera di contenimento dell'epidemia, affermando di apprezzare «gli sforzi e la trasparenza» del governo asiatico. Aveva espresso addirittura «profondo rispetto» al presidente cinese Xi Jinping in un altro tweet [2] lo scorso 27 marzo, annunciando la sua disponibilità a «lavorare insieme» in virtù della «profonda conoscenza» della patologia sviluppata dagli scienziati cinesi. Nonostante gli immancabili commenti al vetriolo del Sottosegretario di Stato Mike Pompeo, insomma, Trump era fin qui apparso generalmente equilibrato ed aperto alla controparte cinese, abbandonando anche la dicitura di "Chinese virus" o "Wuhan virus", utilizzata pubblicamente nelle prime fasi della crisi.

Eppure, la gestione di un'emergenza che ha ormai pienamente colpito gli Stati Uniti, facendone di gran lunga il primo Paese al mondo per numero di contagi, deve aver messo in seria difficoltà l'inquilino della Casa Bianca, che chiaramente si sta giocando il futuro politico personale in vista delle elezioni presidenziali di fine anno. L'attacco di Trump all'OMS, accusata di scarse efficienza e trasparenza nonché di eccessiva accondiscendenza verso Pechino, si accompagna all'intenzione del tycoon di cancellare, o comunque ridimensionare significativamente, i finanziamenti statunitensi all'organizzazione legata all'ONU. L'annuncio è di quelli pesanti perché il governo degli Stati Uniti è ad oggi il primo contributore dell'OMS in una lista di grandi finanziatori che, stando al bilancio 2018-2019, vede Washington nettamente al vertice con circa 400 milioni di dollari (su 2.160 milioni totali) [3].

Al secondo posto della graduatoria non c'è uno Stato ma addirittura la Fondazione Bill e Melinda Gates (USA), con circa 230 milioni di dollari. Seguono il Regno Unito, la Germania, GAVI Alliance, l'Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari, il Giappone, National Philanthropic Trust (USA), Rotary International (GB), la Commissione Europea, il Kuwait, la Svezia, il Fondo Centrale dell'ONU per la Risposta alle Emergenze, l'Australia, la Norvegia e, soltanto in sedicesima posizione, la Cina, con circa 40 milioni di dollari. A questo budget di contributi fissi se ne aggiunge poi un altro [4], composto dai contributi volontari, pari a 91,22 milioni di dollari nell'ultimo consuntivo, dove spicca il Regno Unito, con 31,74 milioni, e in cui Pechino nemmeno compare. Tra finanziamenti pubblici e donazioni private, dunque, nell'ultimo biennio dagli States sono arrivati all'OMS almeno 700 milioni di dollari contro i 40 della Cina. La domanda che pare lecito porsi è: che interesse avrebbe un'organizzazione a danneggiare il Paese da cui riceve simili cifre, mostrandosi al contrario compiacente verso un donatore di entità nettamente inferiore?

Generalmente, per screditarne l'autorevolezza, i critici dell'OMS riportano tweet o comunicati pubblicati dall'organizzazione durante le prime fasi dell'emergenza sanitaria in Cina, quando il virus era appena stato identificato e i dati allora disponibili sulla patologia erano estremamente limitati. Come ormai sappiamo, infatti, il primo allarme lanciato dalle autorità di Wuhan risale al 31 dicembre. Nel comunicato pubblico [5] si avvisava: «Di recente, alcune autorità sanitarie hanno individuato vari casi di polmonite legati ad un mercato ittico all'ingrosso della città [Huanan Seafood Wholesale Market, ndt]».

Si precisava inoltre che «dopo aver ricevuto i primi rapporti, la Commissione Municipale per la Salute Pubblica ha immediatamente condotto una ricerca di casi legati a quel mercato ittico ed un'indagine retrospettiva in tutte le strutture mediche e sanitarie della città». I dati forniti delle autorità locali il 31 dicembre parlavano di «27 casi individuati, di cui 7 in gravi condizioni e tutti gli altri in condizioni stabili e sotto controllo». Il comunicato aggiungeva che «le manifestazioni cliniche dei pazienti erano caratterizzate principalmente da febbre e difficoltà respiratorie, mentre le radiografie toraciche evidenziavano lesioni infiltrative [o interstiziali, ndt] di entrambi i polmoni». A quel momento, le indagini non riscontravano alcuna evidenza scientifica in grado di accertare la trasmissione da uomo a uomo: i casi erano pochi, isolati e nessun componente del personale sanitario era stato ancora infettato. A scopi precauzionali, il giorno dopo, il mercato del pesce di Wuhan veniva chiuso e sottoposto ad indagine sanitaria. Nelle settimane seguenti, secondo una dinamica che purtroppo avremmo annotato anche in Italia tra metà febbraio e metà marzo, la malattia ha cominciato ad accelerare la sua azione infettiva ed in breve tempo i medici di Wuhan hanno potuto acquisire nuove informazioni sul patogeno sconosciuto.

«Le autorità cinesi - spiegava l'OMS lo scorso 12 gennaio - hanno identificato un nuovo tipo di coronavirus (nuovo coronavirus, nCoV), isolato il 7 gennaio 2020. I test di laboratorio sono stati effettuati su tutti i casi sospetti individuati attraverso una ricerca attiva e una revisione retrospettiva. Sono stati così esclusi dalle cause altri agenti patogeni respiratori quali l'influenza, l'aviaria, l'adenovirus, la SARS e la MERS» [6]. Anche in questo caso, l'evidenza «suggeriva caldamente» che l'epidemia fosse associata a contatti presso il già noto mercato del pesce di Wuhan. A quel momento, i casi in città erano saliti a quota 41 in un periodo di osservazione dei sintomi compreso tra l'8 dicembre e il 2 gennaio: di questi, 7 pazienti erano gravi, uno era deceduto ed altri 6 erano stati dimessi, ma ancora non si registravano infezioni tra gli operatori sanitari e non c'era evidenza della capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo.

Tra l'11 e il 12 gennaio scorsi, l'OMS ha annunciato di aver «ricevuto ulteriori dettagliate informazioni dalla Commissione Nazionale Cinese per la Sanità», a partire dalla sequenza genetica del virus, tracciata dai cinesi tra il 9 e il 10 gennaio, ed immediatamente condivisa con tutti gli istituti nazionali di sanità del mondo. Chiaramente, come specificava la stessa organizzazione, si trattava di un passo in avanti «di grande importanza» che consentiva a tutti i Paesi di elaborare kit diagnostici specifici, proprio quelli risultati insufficienti nella fase iniziale dell'emergenza in Italia.

Il 23 gennaio, due giorni prima del Capodanno lunare, il governo centrale cinese, preso atto dell'aggravarsi della situazione, ha deciso di assumere direttamente l'iniziativa, sigillando la città di Wuhan con l'intervento dell'esercito ed isolando l'intera Provincia dello Hubei dal resto del Paese: 56 milioni di persone sono state così messe in quarantena, chiuse in casa ed invitate a seguire rigorosamente disposizioni molto severe di distanziamento sociale, tra le critiche di non poche testate giornalistiche occidentali, indignate per le restrizioni alla libertà personale (sic!).

Da quel momento, l'OMS non smetterà nemmeno per un giorno di seguire l'evoluzione dell'epidemia in Cina, monitorando ogni dato ed inviando squadre di analisti e medici internazionali a Wuhan e nella Provincia dello Hubei per collaborare con i colleghi cinesi nello studio del nuovo agente patogeno, poi ribattezzato SARS-CoV-2 [7]. Molti dei farmaci oggi sperimentati in Europa, ad esempio, erano già stati testati uno o due mesi fa in Cina (e anche negli Stati Uniti nel caso del Remdesivir, somministrato ad un paziente americano a gennaio).

Il 5 febbraio, l'OMS ha presentato inoltre un Piano Strategico per la Preparazione e la Risposta (SPRP) dedicato all'emergenza Covid-19 da 675 milioni di dollari per il trimestre Febbraio-Aprile 2020, mirato a sostenere i Paesi a rischio al di fuori della Cina con l'obiettivo di: limitare la trasmissione da uomo a uomo (nel frattempo dimostrata); identificare, isolare e curare i pazienti in tempi rapidi; comunicare fattori di rischio e informazioni; ridurre l'impatto socio-economico; ridurre la diffusione virale zoonotica (da serbatoio animale); affrontare le incognite principali [8]. Nel Piano si precisava che «l'epidemia presenta un rischio molto alto in Cina ed un rischio alto a livello regionale [Asia-Pacifico, ndt] e globale», sottolineando che «la valutazione del rischio è basata su fattori quali la probabilità di ulteriore diffusione, l'impatto potenziale sulla salute umana e i diversi livelli di efficacia nelle misure di risposta e nella preparazione a livello nazionale» [9].

L'intervento cinese su Wuhan ha evidentemente evitato una catastrofe epidemica di proporzioni ben maggiori, fornendo tuttavia agli altri Paesi non certo l'esenzione dal rischio del contagio ma un notevole margine di tempo per prepararsi alla possibile emergenza e per prevenire la comparsa o almeno l'espansione di possibili focolai interni. Il 21 febbraio, l'OMS invitava per l'ultima volta a non disperdere quella "finestra di opportunità", più volte citata da Tedros Adhanom e Bruce Aylward, che ormai si andava restringendo sempre di più [10]. Un appello raccolto da alcuni governi ma palesemente ignorato da altri.

A distanza di circa tre mesi e mezzo dalla sua prima individuazione, come ripetono gli esperti di tutto il mondo, sappiamo ancora relativamente poco di questo virus e della malattia che esso provoca ma, dopo aver raggiunto 213 tra Paesi e territori ed infettato quasi 1,9 milioni di persone nel mondo, la notevole discrepanza tra i tassi di letalità mette in luce il forte divario tra i sistemi sanitari dimostratisi più pronti e quelli più tardivi ed impreparati.

Il ritardo di molti governi nell'adozione di misure restrittive e diagnostiche - esortate dall'OMS già prima della dichiarazione ufficiale di pandemia dell'11 marzo scorso - è senz'altro uno dei fattori alla base dell'ampia diffusione del virus nel mondo. Senza considerare che la generale sottovalutazione di gravi casi pregressi di sindromi respiratorie, non diagnosticate come SARS-CoV-2 sebbene sospette, in aumento già nei mesi scorsi in diversi Paesi occidentali, lascia ancora aperti enormi dubbi scientifici sull'origine del SARS-CoV-2. Dato per scontato da molti che il virus si sia originato a Wuhan, divulgando anche una serie di fake news relative a presunte manipolazioni di laboratorio, smentite dalla comunità scientifica [11], un recentissimo studio condotto da un gruppo di ricerca congiunto anglo-tedesco presso l'Università di Cambridge ha indicato, attraverso il ricorso ad un algoritmo, l'esistenza di tre varianti principali del SARS-CoV-2: 'A', 'B' e 'C'.

La variante 'A' - quella indicata come originaria perché più vicina al patogeno presente nei pipistrelli - non è affatto prevalente a Wuhan, dove pure si sono riscontrati casi, seppur minoritari, di variante 'A' tra alcuni cinesi e alcuni statunitensi residenti in città. In Cina e nel resto dell'Asia Orientale sono molto più frequenti casi di variante 'B', mentre casi mutati di variante 'A' sono stati riscontrati in pazienti statunitensi e australiani. La variante 'C', invece, è quella che caratterizza la gran parte dei contagiati in Europa e risulta praticamente assente nella Cina continentale [12].

Al di là delle ricerche, al momento, resta di fatto impossibile risalire ad un qualsiasi paziente zero, sia esso asiatico, americano o europeo. La presenza di asintomatici o paucisintomatici, che potrebbero aver affrontato la patologia senza nemmeno esserne consapevoli, costringe gli epidemiologi e i biologi ad interrompere la ricostruzione delle catene del contagio subito dopo essere risaliti ai primi casi sintomatici. Come già precisato a fine febbraio dal celebre pneuomologo cinese Zhong Nanshan, non esistono nemmeno evidenze che il SARS-CoV-2 si sia originato in Cina [13].

 

 

[1] https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1220818115354923009

[2] https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1243407157321560071

[3] WHO, WHO Results Report - Programme Budget 2018-2019 (Mid-Term Review), 2019, p. 82

[4] Ibidem, p. 83

[5] http://wjw.wuhan.gov.cn/front/web/showDetail/2019123108989

[6] https://www.who.int/csr/don/12-january-2020-novel-coronavirus-china/en/

[7] https://www.who.int/news-room/detail/28-01-2020-who-china-leaders-discuss-next-steps-in-battle-against-coronavirus-outbreak

[8] https://www.who.int/news-room/detail/05-02-2020-us-675-million-needed-for-new-coronavirus-preparedness-and-response-global-plan

[9] Ibidem

[10] https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/topics_665678/kjgzbdfyyq/t1748431.shtml

[11] Cfr. AA.VV., The proximal origin of SARS-CoV-2, "Nature Medicine", 17/3/2020

[12] University of Cambridge, COVID-19: genetic network analysis provides ‘snapshot’ of pandemic origins, 9/4/2020

[13] CGTN, Zhong Nanshan: Virus may not have originated in China, 27/2/2020

 

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

 

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