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Le vere ragioni della guerra in Libia  di Jean-Paul Pougala

 



Le vere ragioni della guerra in Libia  di  Jean-Paul Pougala   
(Traduzione in italiana di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

(ASI) Jean-Paul Pougala è uno scrittore Italiano di origine camerunese, direttore dell’Istituto di Studi Geostrategici e professore di sociologia presso “la Geneva School of Diplomacy di Ginevra in Svizzera”. E’ autore del libro autobiografico “in fuga dalle tenebre” Einaudi 2007

Il primo satellite Africano RASCOM 1

 È la Libia di Gheddafi che offre a tutta l’Africa la sua prima vera rivoluzione dei tempi moderni: assicurare la copertura universale del continente per la telefonia, la televisione, la radiodiffusione e per molteplici altre applicazioni, come la telemedicina e l’insegnamento a distanza; per la prima volta, diviene disponibile una connessione a basso costo su tutto il continente, fino alle più sperdute zone rurali, grazie al sistema di ponti radio WMAX.

La storia inizia nel 1992, quando 45 paesi africani creano la società RASCOM per disporre di un satellite africano e fare abbassare i costi delle comunicazioni sul continente.

Telefonare da e verso l’Africa presentava allora le tariffe più care al mondo, perché esisteva un’imposta di 500 milioni di dollari che ogni anno l’Europa incassava sulle conversazioni telefoniche, anche all’interno di uno stesso paese africano, per il passaggio delle comunicazioni sui satelliti europei come Intelsat.

In buona sostanza, il satellite africano veniva a costare 400 milioni di dollari da sborsare una tantum, e non bisognava versare ogni anno 500 milioni per avere in affitto i satelliti. Chi è quel banchiere che non finanzierebbe un tale progetto?

Ma l’equazione più difficile da risolvere era: come può lo schiavo affrancarsi dallo sfruttamento servile del suo padrone, sollecitando proprio l’aiuto di quest’ultimo per ottenere la sua liberazione? Quindi, per 14 anni, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, gli Stati Uniti, l’Unione Europea avevano fatto baluginare la possibilità del finanziamento e creato illusioni a questi paesi africani.

Nel 2006, Gheddafi mette fine al supplizio del chiedere inutilmente la carità ai presunti benefattori occidentali, che però praticano prestiti a tassi da usura; la Libia apre la strada mettendo sul tavolo 300 milioni di dollari, sono seguite la Banca Africana di Sviluppo con 50 milioni e la Banca dell’Africa Occidentale di Sviluppo con 27 milioni, ed è così che l’Africa, il 26 dicembre 2007, ha potuto gestire il suo primo satellite per le comunicazioni della sua storia.

Su questa scia si sono poste la Cina e la Russia, questa volta cedendo la loro tecnologia e consentendo quindi il lancio di nuovi satelliti, sud-africano, nigeriano, algerino, e la messa in orbita di un secondo satellito africano, nel luglio 2010.

Per il 2020 è prevista la messa in opera del primo satellite frutto al 100% della tecnologia africana, costruito su suolo africano, più specificamente in Algeria. Si prevede che questo satellite sia in grado di concorrere con i satelliti migliori del mondo, ma a costi 10 volte inferiori, una vera sfida!

Ed ecco come un semplice gesto simbolico di un pugno di 300 milioni possa cambiare la vita di tutto un continente. La Libia di Gheddafi ha fatto perdere all’Occidente, non solamente 500 milioni di dollari all’anno, ma i miliardi di dollari di debiti e di interessi che questo stesso debito permetteva di generare all’infinito e in modo esponenziale, contribuendo quindi a mantenere il sistema occulto che sta spogliando l’Africa.

Il Fondo Monetario Africano, la Banca Centrale Africana, la Banca Africana di Investimenti

I 30 miliardi di dollari sequestrati da Mr. Obama appartengono alla Banca Centrale della Libia ed erano previsti come contributo finanziario libico idoneo alla costruzione della Federazione Africana attraverso tre progetti chiave: 

  • la Banca Africana di Investimenti a Sirte, in Libia;

  • la creazione nel 2011 del Fondo Monetario Africano con un capitale di 42 miliardi di dollari con sede a Yaoundé, in Camerun;

  • la Banca Centrale Africana con sede ad Abuja, in Nigeria, la cui prima emissione della moneta africana firmerà la fine del Franco CFA, [N.d.tr.: la moneta utilizzata da 14 paesi africani, che sono stati colonie francesi], la moneta con cui Parigi mantiene il controllo su alcuni paesi africani da oltre 50 anni. 

È quindi comprensibile, e ancora una volta di più, la rabbia di Parigi contro Gheddafi.

Il Fondo Monetario Africano dovrebbe sostituire in tutto e per tutto le attività sul territorio africano del Fondo Monetario Internazionale, che con soli 25 miliardi di dollari di capitale ha potuto mettere in ginocchio tutto un continente attraverso privatizzazioni discutibili, come il fatto di obbligare i paesi africani di passare da forme di monopolio pubblico a monopoli privati.

Perfino gli stessi paesi occidentali hanno bussato alla porta per essere ammessi come membri del Fondo Monetario Africano, e però, fra il 16 e il 17 dicembre 2010 a Yaoundé, all’unanimità gli Africani hanno respinto questa commistione interessata, stabilendo che solo i paesi africani potevano essere membri di questo Fondo Monetario.

Inoltre, risulta evidente che, dopo la Libia, la Coalizione occidentale scatenerà la sua prossima guerra contro l’Algeria, paese che, oltre a detenere enormi riserve energetiche, possiede una riserva monetaria di 150 miliardi di euro.

Ciò che muove la bramosia di tutti i paesi che stanno bombardando la Libia, e che li accomuna tutti, è che sono tutti dal punto di vista finanziario in fallimento, gli Stati Uniti da soli hanno un debito pari a 14.000 miliardi di dollari, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia, ciascuna, quasi 2.000 miliardi di debiti pubblici, quando i 46 paesi dell’Africa Nera hanno in totale un debito pubblico inferiore a 400 miliardi di dollari.

Creare conflitti impregnati di falsità in Africa, nella speranza di trovare l’ossigeno per continuare nella loro apnea economica, cosa che peggiorerà la loro situazione, porterà gli Occidentali a sprofondare nel loro declino, che aveva visto il suo decollo nel 1884, a partire dalla famosa Conferenza di Berlino.

[N.d.tr.: la Conferenza di Berlino sull’Africa negli atti ufficiali si limitò a sancire regole commerciali, umanitarie e, solo riguardo alle coste, di colonizzazione. Su quest’ultimo punto, poi, c’è da considerare che quasi tutti i tratti costieri del continente erano già occupati. Tuttavia, dopo i lavori della conferenza, si fecero strada in diplomazia concetti come la “sfera di influenza da consolidare” e “Hinterland”, idea tedesca per cui una potenza con rivendicazioni sulla costa aveva diritto all’entroterra adiacente. Tali concetti consentirono alla Germania, già durante la Conferenza, di vedersi riconosciuto il Camerun e, poco dopo, le consentì di proclamare un protettorato sul territorio di quella che sarebbe divenuta l’Africa Orientale Tedesca. Da questo momento le varie potenze, ma soprattutto Francia e Gran Bretagna, si contrastarono per la conquista di nuovi territori all’interno del continente africano, ciò che in inglese venne chiamato lo Scramble for Africa (la Corsa per l’Africa)].

Come aveva profetizzato l’economista Adam Smith, quando sosteneva l’abolizione della schiavitù, “l’economia di quei paesi che praticano oggi la schiavitù dei neri sta innescando una discesa agli inferi, che sarà dura il giorno che inizierà il risveglio delle altre nazioni.”

 Unioni regionali come freno alla creazione degli Stati Uniti d’Africa

 Per destabilizzare e distruggere l’unità africana, orientata pericolosamente (per l’Occidente) verso la costruzione degli Stati Uniti d’Africa con Gheddafi a giocare un ruolo importantissimo, l’Unione Europea ha tentato fin dall’inizio, senza riuscirci, di giocare la carta della creazione dell’UPM, Unione per il Mediterraneo.

Era assolutamente necessario separare nettamente il Nord Africa dal resto dell’Africa, evidenziando le medesime tesi razziste del 18.esimo e del 19.esimo secolo, secondo le quali le popolazioni africane di origine araba sarebbero più evolute, più civilizzate di quelle del resto del continente.

La creazione dell’UPM è fallita perché Gheddafi ha rifiutato di entrarvi. Egli aveva compreso immediatamente il gioco, a partire dal momento in cui si parlava dell’Unione per il Mediterraneo associandovi solo alcuni paesi africani senza far partecipe di questo l’Unione Africana, ma invitandovi tutti i 27 paesi dell’Unione Europea.

L’UPM, senza il motore principale della Federazione Africana, è fallita ancor prima di iniziare, un nato morto con Sarkozy come presidente e Mubarak, come vice-presidente. Ciò che Alain Juppé tenta di rilanciare, naturalmente scommettendo sulla caduta di Gheddafi.

Quello che i dirigenti africani non comprendono è che, fintanto che sarà l’Unione Europea a finanziare l’Unione Africana, si sarà sempre al punto di partenza, in quanto a queste condizioni non si realizzerà una effettiva indipendenza.

Per centrare il medesimo obiettivo, l’Unione Europea ha promosso e finanziato in Africa raggruppamenti regionali. È evidente che la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO), che ha un’ambasciata a Bruxelles e che riceve la parte essenziale dei suoi finanziamenti dall’Unione Europea, è un importante ostacolo contro la Federazione Africana. Questo è ciò che Lincoln aveva combattuto con la guerra di secessione negli Stati Uniti, perché dal momento in cui un gruppo di paesi si coagulano attorno ad una organizzazione politica regionale, questo non può che rendere fragile l’organizzazione centrale.

Ciò che l’Europa voleva, e ciò che gli Africani non hanno ben compreso creando di volta in volta la COMESA (Mercato Comune dell’Africa Orientale e Meridionale), l’UDEAC (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale), la SADC (Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale) e il “Grande Maghreb”, non ha mai funzionato, ancora una volta grazie a Gheddafi, che aveva ben compreso le mire dell’Europa e degli Occidentali.

 Gheddafi, l’Africano che ha permesso di lavare l’umiliazione dell’Apartheid

 Gheddafi è nel cuore di pressoché tutti gli Africani come un uomo molto generoso e dallo spirito umanitario, dato il suo appoggio disinteressato alla battaglia contro il regime razzista del Sud-Africa. Se Gheddafi fosse stato un uomo egoista, per nulla sarebbe stato obbligato ad attirare su di sé i fulmini degli Occidentali a causa del suo sostegno finanziario e militare offerto all’African National Congress, ANC, nella lotta contro l’apartheid.

È per questo che, appena liberato dopo i suoi 27 anni di prigione, Mandela decide di non rispettare l’embargo delle Nazioni Unite contro la Libia, il 23 ottobre 1997.

A causa di questo embargo, anche aereo, per 5 lunghi anni nessun aereo aveva potuto atterrare direttamente in Libia. Per arrivare in Libia, bisognava prendere un aereo per la Tunisia; arrivare a Djerba, viaggiare in macchina per 5 ore verso Ben Gardane, attraversare la frontiera e dopo 3 ore di strada nel deserto si arrivava a Tripoli. Oppure, passare per Malta e compiere la traversata di notte su naviglio poco affidabile fino alla costa libica.

Un calvario per tutto un popolo, solo per punire un unico uomo, Gheddafi!

Mandela decise di spezzare questa ingiustizia e, rispondendo all’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che aveva giudicato questa visita “inopportuna”, insorse affermando: “Nessuno Stato può arrogarsi il ruolo di gendarme del mondo, e nessuno Stato può dire agli altri ciò che devono fare”. Ed aggiunse: “Coloro che ieri erano gli amici dei nostri nemici, ora hanno la sfacciataggine di propormi di non visitare il mio fratello Gheddafi, ci consigliano di mostrarci ingrati e di dimenticare i nostri amici di ieri.”

Effettivamente, per gli Occidentali, i razzisti del Sud-Africa erano loro fratelli, che bisognava proteggere. Era per questo che tutti i membri dell’ANC, compreso Nelson Mandela, venivano considerati dei pericolosi terroristi.

Bisognerà attendere il 2 luglio 2008, perché il Congresso degli Stati Uniti votasse una legge per depennare il nome di Nelson Mandela e dei suoi compagni dell’ANC dalla lista nera dei pericolosi terroristi, non perché il Congresso usamericano comprendesse la bestialità di una tale lista, ma perché si voleva fare un gesto di benevolenza per i 90 anni di Nelson Mandela.

Se oggi gli Occidentali sono veramente pentiti del loro sostegno di ieri concesso ai nemici di Mandela, e sono veramente sinceri quando dedicano il suo nome a strade e piazze, perché continuano a fare la guerra contro Gheddafi, colui che ha permesso la vittoria di Mandela e del suo popolo?

 Coloro che vogliono esportare la democrazia, sono loro stessi dei democratici?

 E se la Libia di Gheddafi fosse più democratica degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e di tutti coloro che fanno la guerra per esportare la democrazia in Libia?

Il 19 marzo 2003, il presidente George Bush sgancia bombe sulla testa degli Iracheni con il pretesto di esportare la democrazia.

Il 19 marzo 2011, vale a dire 8 anni più tardi, e giorno dopo giorno, è il presidente francese che sgancia le sue bombe sulla testa dei Libici con il medesimo pretesto di offrire loro la democrazia.

Il signor Obama, Premio Nobel per la Pace 2009 e presidente degli Stati Uniti d’America, a giustificazione del fatto che sta procedendo allo sganciamento di missili Cruise dai suoi sottomarini sulla testa dei Libici, ha affermato che questo avviene per cacciare dal potere il dittatore Gheddafi ed instaurare la democrazia.

La domanda che ogni essere umano dotato di medie capacità intellettuali di valutazione e giudizio non può non porsi è: questi paesi come la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, l’Italia, la Norvegia, la Danimarca, la Polonia, la cui legittimità di andare a bombardare i Libici si basa sul solo fatto di essersi autoproclamati “paesi democratici”, sono essi stessi realmente democratici?

Se sì, sono più democratici della Libia di Gheddafi? La risposta, senza ombra di equivoci è NO, per la semplice e buona ragione che la democrazia non esiste!

Non è il sottoscritto che afferma questo, ma l’uomo la cui città natale, Ginevra, ospita la maggior parte dei centri gestionali delle Nazioni Unite. Si tratta ben inteso di Jean-Jacques Rousseau, nato a Ginevra nel 1712, che afferma nel capitolo IV del III Libro del suo celeberrimo “Contratto Sociale”: “Non è mai esistita una effettiva democrazia, e non esisterà mai”.

Perché uno Stato sia effettivamente democratico, Rousseau ha posto 4 condizioni, secondo cui la Libia di Gheddafi è tanto lontana dalla democrazia quanto lo sono gli Stati Uniti d’America, la Francia e tutte le altre nazioni che pretendono di esportare in Libia la democrazia, vale a dire: 

  • le dimensioni dello Stato: più uno Stato è grande, meno può essere democratico; per Rousseau, lo Stato deve essere di dimensioni molto piccole perché il popolo possa facilmente riunirsi in assemblea, e così ogni cittadino possa senza difficoltà fare la conoscenza con tutti gli altri. Dunque, prima di dare corso alle votazioni, è necessario assicurarsi che ognuno conosca tutti gli altri; senza questo, votare per votare è un atto deprivato di qualsiasi fondamento democratico, diventa un simulacro di democrazia per eleggere un dittatore. La struttura dell’organizzazione dello Stato della Libia si fonda su una base tribale, che per definizione raggruppa assemblee popolari di piccole entità. Il sentimento democratico è più presente in una tribù, in un villaggio, che in una grande nazione, in quanto il fatto che tutti si conoscano e che la vita si conduca attorno a medesimi punti comuni apporta una sorta di autoregolazione, di autocensura, anche per valutare momento per momento la reazione o la controreazione degli altri membri a favore o contro le opinioni che possono aversi. Sotto questa angolatura, è la Libia che risponde al meglio alle esigenze di Rousseau, quello che non si può dire per gli Stati Uniti d’America, per la Francia o la Gran Bretagna, società fortemente urbanizzate, dove la maggior parte dei vicini non si dicono nemmeno buon giorno, e addirittura non si conoscono, anche se vivono fianco a fianco da 20 anni. In questi paesi, si è passati direttamente alla fase successiva, “il voto”, che è stato malignamente santificato in modo da fare dimenticare che questo voto è inutile, a partire dal momento che ci si esprime sull’avvenire dello Stato senza conoscerne i suoi membri. Perfino, si è arrivati alla sciocchezza del voto ai cittadini residenti all’estero. Conoscersi e parlarsi è la condizione essenziale della comunicazione per il dibattito democratico che precede qualsiasi elezione. 

  • è necessaria la semplicità dei costumi e dei comportamenti, per evitare di passare la maggior parte del tempo a parlare di giustizia, di tribunali, impegnati a trovare le soluzioni alla moltitudine di conflitti di interessi diversi che una società troppo complessa fa sorgere naturalmente. Gli Occidentali definiscono se stessi come paesi civilizzati, dunque dai comportamenti complessi, e la Libia come un paese cosiddetto primitivo, vale a dire caratterizzato da relazioni elementari. Da questo punto di vista, ancora una volta, è la Libia che risponderebbe al meglio ai criteri democratici di Rousseau, rispetto a tutti questi che pretendono di impartirle lezioni di democrazia. In una società complessa, i troppo numerosi conflitti vengono risolti secondo la legge del più forte, visto che colui che è ricco evita la prigione in quanto può permettersi i migliori avvocati e, soprattutto, l’apparato repressivo dello Stato viene orientato contro chi ruba una banana in un supermercato, piuttosto che contro un malvivente della finanza che causa il crollo di una banca. In una città come New York, dove il 75% della popolazione è bianco, l’80% degli uffici dei quadri dirigenti viene occupato da bianchi, ed invece in prigione troviamo una popolazione carceraria solo al 20% bianca. 

  • l’uguaglianza nelle condizioni sociali e nella gestione dei posti di potere. Basta andare a consultare la classifica FORBES 2010 per vedere quali sono i redditi delle personalità più ricche in ciascun paese fra quelli che sganciano le bombe sulla testa dei Libici e vedere la differenza con il salario più basso in ciascun paese, e fare lo stesso per la Libia, per capire che, in materia di ridistribuzione della ricchezza del paese, spetta alla Libia esportare il suo buon governo presso coloro che la combattono, e non il contrario. Anche sotto questa angolazione, secondo Rousseau, la Libia sarebbe più democratica di coloro che pomposamente vogliono esportare in essa la pretesa democrazia. Negli Stati Uniti, il 5% della popolazione possiede il 60% della ricchezza nazionale. Questa è la nazione più squilibrata, più diseguale nel mondo! 

  • Niente lussi! Per Rousseau, perché ci sia democrazia in un paese, non bisogna che ci siano troppi lussi, in quanto secondo lui, il lusso rende necessaria la ricchezza, e quest’ultima diventa la virtù, l’obiettivo da raggiungere a qualsiasi prezzo, non la felicità del popolo; “il lusso corrompe indifferentemente il ricco e il povero, l’uno per l’avidità di possedere, l’altro per l’invidia del possedere; il lusso vende la patria alle mollezze, alla vanità; il lusso sottrae allo Stato i suoi cittadini per asservirli gli uni agli altri, e tutti al buon giudizio.” C’è più lusso in Francia o in Libia? Questo rapporto di asservimento dei lavoratori, che sono spinti perfino al suicidio, anche se dipendenti da imprese pubbliche o semi-pubbliche, per ragioni di redditività, quindi per soddisfare il bisogno di possesso del lusso della parte che li sfrutta, è più stridente in Libia o in Occidente?

Nel 1956, il sociologo statunitense C. Wright Mills ha descritto la democrazia negli Stati Uniti d’America come “la democrazia delle élite”.

Secondo Mills, gli Stati Uniti d’America non sono una democrazia perché, in definitiva, è il denaro che parla nelle elezioni, e non il popolo. Il risultato di ogni elezione è l’espressione della voce del denaro e non la voce del popolo. Dopo Bush-padre e Bush-figlio, per le primarie del Partito Repubblicano del 2012 si parla già del Bush-junior.

Per di più, se il potere politico si basa sulla burocrazia, Max Weber (1864 – 1920) [N.d.tr.: è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco. È considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia e della pubblica amministrazione.] mette in risalto che negli Stati Uniti sono 43 milioni di funzionari e militari a comandare effettivamente il paese, ma costoro non sono stati votati da nessuno e non rispondono direttamente al popolo delle loro attività.

Dunque, viene votata una sola persona (un ricco!), ma il vero potere in buona sostanza è gestito dalla sola casta di ricchi, che puramente e semplicemente è il risultato di nomine, non di votazioni, come per gli ambasciatori, i generali di armata, ecc….

Quante persone nei paesi autoproclamatisi “democratici” sanno che in Perù la costituzione proibisce un secondo mandato consecutivo al presidente della repubblica uscente?

Quante persone sanno che in Guatemala, non solamente il presidente uscente non può più presentarsi come candidato a questa carica, ma in aggiunta nessun membro della sua famiglia, a qualsiasi grado di parentela appartenga, non può più concorrere a questa elezione?

Quante persone sanno che il Rwanda è il paese in tutto il mondo che integra politicamente al meglio le donne, con il 49% di parlamentari donne?

Quante persone sanno che nella classifica della CIA 2007 [N.d.tr.: La CIA World Factbook contiene informazioni e statistiche sulla geografia, popolazione, economia, esercito, governo, ecc. per tutti i paesi del mondo.], sui 10 paesi meglio governati al mondo, 4 sono africani? Con la palma d’oro assegnata alla Guinea equatoriale, il cui debito pubblico è rappresentato solo dall’1,14% del suo PIL.

Rousseau sostiene che la guerra civile, le rivolte, le ribellioni sono gli ingredienti di una democrazia nascente. Perché la democrazia non è un fine, ma un processo permanente per riaffermare i diritti naturali degli uomini [un insieme di norme di comportamento dedotte dalla “natura”; si parla di darwinismo sociale], dato che in tutti i paesi del mondo (senza alcuna eccezione) un pugno di uomini e di donne, confiscando il potere al popolo, l’orienta a tutto vantaggio dei propri affari.

Si possono trovare qui e là forme di casta che usurpano la parola “democrazia”, che dovrebbe essere l’ideale a cui tendere e per cui lottare, e non un’etichetta da appiccicarsi o un ritornello da millantare, per cui si è in grado di gridare più forte degli altri.

Se un paese è tranquillo, come la Francia o gli Stati Uniti, vale a dire dove non si verificano rivolte, per Rousseau questo ci permette molto semplicemente di affermare che il sistema dittatoriale è sufficientemente repressivo per impedire qualsiasi tentativo di ribellione.

Se i Libici si rivoltano, per Rousseau questo è un avvenimento positivo. Pretendere che i popoli accettino stoicamente il sistema che li opprime in tutti i paesi del mondo senza reagire, questa sì che è cosa molto cattiva.

A Rousseau la conclusione: “Malo periculosam libertatem quam quietum servitium – traduzione: Se ci fosse un popolo di dèi, il loro governo sarebbe democratico. Un governo così perfetto non si addice agli umani.”

Affermare da parte della Coalizione che si ammazzano i Libici per il loro bene, per portare loro la democrazia, diventa un baluginio per allocchi.

 Quali lezioni per l’Africa?

 Dopo 500 anni di relazioni fra dominatori e dominati con l’Occidente, è dimostrato che non abbiamo i medesimi criteri per definire il buono e il cattivo. Noi abbiamo interessi profondamente divergenti.

Come non deplorare il “sì” dei 3 paesi africani sub-sahariani, la Nigeria, il Sud-Africa e il Gabon, in favore della risoluzione 1973, che inaugura la nuova forma di colonizzazione battezzata “protezione dei popoli”, che convalida la teoria razzista che gli Europei veicolano dal 18.esimo secolo secondo cui l’Africa del Nord non ha nulla da spartire con l’Africa sub-sahariana, secondo cui l’Africa del Nord sarebbe quindi più evoluta, più istruita e più civilizzata del resto dell’Africa. Tutto avviene come se la Tunisia, l’Egitto, la Libia, l’Algeria non siano parte dell’Africa. Le stesse Nazioni Unite sembrano ignorare la legittimità dell’Unione Africana sui suoi Stati membri. L’obiettivo è quello di isolare i paesi dell’Africa sub-sahariana, con il proposito di meglio tenerli frazionati ed esercitare su di loro il controllo.

In effetti, nella capitalizzazione del nuovo Fondo Monetario Africano (FMA), l’Algeria contribuisce con 16 miliardi di dollari e la Libia con 10 miliardi di dollari, per un 62% del capitale totale che si aggira sui 42 miliardi di dollari. Il primo paese dell’Africa sub-sahariana e il più popolato, la Nigeria, seguito subito dopo dal Sud-Africa, contribuiscono decisamente in modo inferiore con 3 miliardi di dollari ciascuno.

Risulta molto inquietante constatare che per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, è stata dichiarata la guerra ad un popolo senza avere innanzitutto minimamente esplorato un terreno di pacificazione per dare una soluzione al problema.

L’Africa occupa ancora un suo posto in tale Organizzazione? La Nigeria e il Sud-Africa sono disponibili a votare “sì” a tutto ciò che l’Occidente domanda loro, in quanto credono ingenuamente alle promesse che provengono da molte parti, anche dalla Francia, di poter ricevere un posto di membro permanente al Consiglio di Sicurezza con dirito di veto come per tutti gli altri. Questi due paesi dimenticano che la Francia non ha alcun potere di attribuire loro una minima collocazione. Se la Francia avesse questa possibilità, molto tempo fa Mitterand l’avrebbe fatto per la Germania di Helmut Kohl.

La riforma delle Nazioni Unite non è all’ordine del giorno. La sola maniera di farsi valere consiste nel metodo cinese: tutti i 50 paesi africani devono abbandonare le Nazioni Unite; e se decidessero di ritornarvi un giorno, lo dovrebbero fare solo dopo avere ottenuto ciò che domandano da tanto tempo, un posto per tutta la Federazione Africana, altrimenti niente.

 Questo metodo della non-violenza è la sola arma di giustizia di cui dispongono i paesi poveri e i non potenti, quali noi (paesi dell’Africa) siamo. Semplicemente, noi dobbiamo abbandonare le Nazioni Unite, in quanto questa Organizzazione, per la sua configurazione e per il suo ordine gerarchico, è al servizio dei più forti.

Dobbiamo abbandonare le Nazioni Unite per dare risalto alla nostra disapprovazione di questa visione del mondo basata unicamente sull’oppressione dei più deboli. I potenti saranno liberi di continuare a farlo, ma almeno non con la nostra firma, facendo finta che siamo d’accordo quando sanno benissimo di non averci mai interpellato. E perfino quando abbiamo espresso il nostro punto di vista, come nell’incontro di sabato 19 marzo 2011 a Nouakchott [N.d.tr.: in Mauritania, l’Unione Africana ha tentato una mediazione, che proponeva una road-map per uscire dalla crisi libica, proposta respinta dai ribelli per i quali il presupposto a qualsiasi negoziato doveva essere la deposizione del Colonnello] con la dichiarazione di contrarietà all’azione militare e per un dialogo fra le controparti, tutto ciò è passato molto semplicemente sotto silenzio, unicamente per portare a compimento il delitto dei bombardamenti sulle genti africane.

Quello a cui stiamo assistendo oggi è lo scenario già visto in precedenza con la Cina. Oggi, si riconosce il governo di Ouattara [Costa d’Avorio], si riconosce il governo degli insorti in Libia.

È quello che è successo alla fine della Seconda guerra mondiale con la Cina.

La cosiddetta comunità internazionale aveva scelto Taiwan come unico rappresentante del popolo cinese al posto della Cina di Mao. Bisognerà attendere 26 anni, vale a dire il 25 ottobre 1971, perché la risoluzione 2758, che tutti gli Africani dovrebbero leggere, mettesse fine a questa ingiustizia umana. La Cina veniva ammessa, ma rinunciando di pretendere ed ottenere un seggio come membro permanente con diritto di veto, previa la sua ammissione.

Soddisfatta questa esigenza ed entrata in vigore la risoluzione di ammissione, comunque bisognerà attendere ancora un anno il 29 settembre 1972, il Ministro cinese degli Affari Esteri invia una sua risposta con una lettera al Segretario generale delle Nazioni Unite, non per dichiarare il suo “sì, grazie!”, ma per comunicare alcune puntualizzazione a salvaguardia della dignità e della rispettabilità della sua nazione.

Cosa spera di ottenere l’Africa dalle Nazioni Unite, senza porre in atto un’azione forte per farsi rispettare?

In Costa d’Avorio, si è visto un funzionario delle Nazioni Unite considerarsi al di sopra di una istituzione costituzionale di questo paese. Noi siamo entrati in questa Organizzazione accettando il ruolo dei servi, e credere di venire invitati a mangiare con gli altri nei piatti che “noi!” abbiamo lavato è semplicemente ingenuo o, peggio, da stupidi.

Quando l’Unione Africana ha riconosciuto la vittoria di Ouattara, proprio per fare piacere ai nostri padroni di una volta, senza nemmeno tenere in conto le conclusioni contrarie dei suoi stessi osservatori inviati sul posto, come potremo ottenere rispetto? Quando il presidente del Sud-Africa Zuma dichiara che Ouattara non ha vinto le elezioni e poi vira di 180° dopo una sua visita a Parigi, bisogna domandarsi cosa valgono questi dirigenti, che rappresentano e parlano a nome di 1 miliardo di Africani.

La forza e la vera libertà dell’Africa arriveranno dalla sua capacità di porre azioni rifletute e  meditate, e di affrontare le conseguenze. La dignità e la rispettabilità hanno un prezzo. Noi siamo disposti a pagarlo? Altrimenti, il nostro posto resta la cucina, alle toilettes, per garantire lo stato di benessere e il conforto degli altri.

 

Jean-Paul Pougala

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Università, D'Attorre (Pd) a Bernini: su alloggi nessun Comune interessato, e c'è un perché 

(ASI) "La ministra Bernini contesta a Elly Schlein il fatto che i sindaci del Pd non abbiano partecipato al bando per gli studentati con fondi PNRR.

Incidente Potenza – Melfi, Palumbo (Ugl Potenza):"Immenso dolore per la morte dei tre ragazzi di Foggia".

Ugl:" Ci uniamo con ugual dolore anche per strazio della famiglia Armiento di Tolve (PZ).

Maltempo Emilia-Romagna: riunione tecnica in Protezione Civile

(ASI) Il coordinamento delle azioni necessarie per il superamento degli effetti generati dall’alluvione dello scoro 17 e 18 settembre in Emilia-Romagna, e il loro raccordo con le attività già avviate successivamente ...

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