(ASI) Il presidente sudcoreano Moon Jae-in è, per la prima volta in questa veste, in visita di Stato a Pechino, dove resterà sino a domani.
Sullo sfondo della crisi nucleare nella Penisola Coreana, si tratta chiaramente di un viaggio decisivo ed importantissimo per ricucire quella tela che nei mesi scorsi ha cominciato pericolosamente a strapparsi a seguito del durissimo botta e risposta tra Kim Jong-un, del tutto restio ad abbandonare la volontà di procedere nello sviluppo del suo arsenale nucleare, e Donald Trump, deciso a rispondere «con fuoco e fiamme» alle azioni del leader nordcoreano. Xi Jinping, subito inseritosi per condurre la difficile opera di mediazione fra le parti, sta lavorando alacremente da tempo per scongiurare qualsiasi tipo di crescendo militare. Lo aveva detto a Trump in occasione della visita di Stato del presidente statunitense in Cina nel novembre scorso, lo aveva ribadito al vertice APEC di Da Nang, in Vietnam, la settimana successiva, e lo ha messo in chiaro anche in quest'ultimo vertice ufficiale con Moon.
Proseguono gli sforzi di Moon Jae-in
Moon ha preso in mano le redini del governo di Seoul, dopo aver vinto le ultime elezioni presidenziali nel maggio scorso. Socialdemocratico e convinto sostenitore della Sunshine Policy, la politica di avvicinamento, dialogo e cooperazione con la Corea del Nord lanciata alla fine degli anni Novanta dall'ex presidente Kim Dae-jung, Moon, malgrado l'atteggiamento apertamente ostile di P'yŏngyang, in occasione del suo viaggio a Washington in estate, aveva rilanciato la politica dei '4 no', ossia di non-ostilità, non-aggressione, non-interferenza e non-riunificazione forzata rispetto al Nord. I risultati diplomatici ottenuti ormai quasi venti anni fa da Kim Dae-jung avevano prodotto due vertici intercoreani, nel 2000 e nel 2007, e l'apertura, nel 2002, dell'area industriale di Kaesŏng, in territorio nordcoreano, a ridosso del 38° parallelo, dove alcune importanti aziende sudcoreane avevano aperto stabilimenti assumendo manodopera locale. Stavolta, invece, la situazione è più complicata.
Dopo la morte del Caro leader Kim Jong-il nel 2011, il figlio Kim Jong-un, complice anche l'inesperienza, col tempo si è reso sempre meno disponibile al dialogo, sullo sfondo di un contesto già critico di per sé. Malgrado i tentativi di portare avanti qualche riforma economica, la Corea del Nord resta un Paese profondamente isolato e rigidamente chiuso ai grandi investimenti di cui potrebbe avere bisogno. L'ideologia Juche, infatti, interpreta l'indipendenza e l'autosufficienza in senso talmente monolitico che, sebbene al fine legittimo di difendere l'identità, la sovranità e la cultura coreana, di fatto restringe ai minimi termini l'iniziativa economica privata e l'apertura al confronto con gli organismi internazionali. Il principio del Sŏn'gun, inoltre, impone il potenziamento del dispositivo militare quale priorità assoluta rispetto a tutto il resto. Fin quando l'approccio politico di P'yŏngyang non sarà rivisto, difficilmente potranno esistere le condizioni per tornare a discutere dell'attuazione di una politica di «riconciliazione e cooperazione» con Seoul. Il recente lancio di Hwasong-15, il missile balistico intercontinentale più potente tra tutti quelli sin'ora testati dalla Corea del Nord, sta lì a dimostrarlo.
Dall'altro lato, l'installazione, nel maggio scorso, del sistema antimissile statunitense THAAD sul suolo sudcoreano ha creato un forte clima di tensione in tutta la regione, mettendo in preallarme Cina e Russia in merito alle reali intenzioni del Pentagono, responsabile del dispiegamento di un dispositivo che sbilancia notevolmente gli equilibri difensivi di larga parte dell'Asia, non certo limitandosi al solo spettro della Penisola Coreana.
Le pressioni su Kim Jong-un
Prima dell'ultima escalation, in Cina l'opinione pubblica si era divisa sul tema. Non erano mancati i dissapori e il disappunto per la condotta di Kim già nel 2016. L'intensificazione delle attività militari nordcoreane nel corso di quest'anno ha creato ulteriori malumori sia in Cina che in Russia. Entrambe hanno condannato più volte i test missilistici. Pechino ha anche aderito alle risoluzioni n. 2371 e n. 2375, adottate tra l'agosto ed il settembre scorsi dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, bloccando l'importazione di carbone, ferro e prodotti ittici dalla Corea del Nord.
Rispondendo alla stampa durante una conferenza dello scorso 29 settembre, il portavoce del Ministero cinese del Commercio Gao Feng, aveva spiegato che «la Cina ha sempre attuato pienamente le risoluzioni degli Stati Uniti relative alla Corea del Nord», ma che il governo ha nel frattempo «lasciato una finestra aperta per lo sdoganamento delle merci arrivate nei porti prima della data di avviso». C'è dunque «un periodo di transizione stabilito dal Consiglio di Sicurezza per l'embargo di prodotti minerali e marittimi». In attesa che questa fase si concluda, la decisione cinese è senz'altro destinata ad assestare un duro colpo all'economia nordcoreana, che esporta gran parte dei suoi prodotti e delle sue materie prime proprio in Cina.
L'intesa Pechino-Seoul
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson, notoriamente più cauto e moderato rispetto al suo presidente, ha annunciato lo scorso 13 dicembre che Washington è pronta al dialogo con P'yŏngyang in qualunque momento e senza precondizioni. Eppure, malgrado l'impegno profuso a novembre nel suo lungo tour in Estremo Oriente, Donald Trump non ha fatto davvero breccia nei cuori e nelle menti dei tradizionali partner asiatici. Tra minacce ed aperture, la Casa Bianca sembra impotente di fronte a dei test che ogni mese alzano sempre più l'asticella del potenziale militare nordcoreano.
Se il primo ministro giapponese Shinzo Abe, che al vertice APEC di Da Nang si era a lungo confrontato con Xi Jinping, al di là delle apparenze e delle dichiarazioni di facciata, non sembra nutrire grande fiducia nel nuovo inquilino della Casa Bianca, il presidente sudcoreano Moon Jae-in pare nutrirne ancora meno. In attesa di conoscere gli sviluppi delle relazioni sino-giapponesi nel 2018, quando il Trattato di Pace e Amicizia tra Pechino e Tokyo compirà quarant'anni e dovrà essere rinnovato prima della scadenza prevista nel 2019, Seoul si è mossa più velocemente.
La celebrazione dei venticinque anni dall'avvio delle relazioni diplomatiche tra Cina e Corea del Sud, è stata l'occasione per approfondire il dialogo e la cooperazione, sempre più solidi, tra i due Paesi. Stando a quanto riportato da Xinhua, Xi Jinping ha sottolineato che durante il 19° Congresso del Partito Comunista Cinese, svoltosi nella seconda metà dello scorso mese di ottobre, sono emerse «più ampie prospettive di cooperazione con i Paesi vicini, fra cui la stessa Repubblica di Corea [Corea del Sud, ndt]». Come risultato, oltre all'espansione del commercio bilaterale, Pechino ha definitivamente approvato il lancio di tre nuovi parchi industriali in Cina nelle aree costiere, che saranno aperti agli investimenti sudcoreani. Sul tavolo bilaterale sono finiti anche i fascicoli relativi all'energia, all'istruzione, alla sanità, all'ambiente, all'innovazione, all'intelligenza artificiale e alla connettività. Il leader cinese ha inoltre salutato con soddisfazione l'interessamento di Seoul all'iniziativa Belt and Road, auspicando che questa possa trovare un punto di incontro con la strategia di sviluppo nazionale sudcoreana.
Pur ribadendo la posizione di ferma opposizione della Cina rispetto all'installazione del sistema THAAD, Xi ha affermato che Pechino «continuerà a rafforzare la comunicazione e il coordinamento con la Repubblica di Corea in relazione al mantenimento della stabilità e alla prevenzione dei conflitti nella Penisola Coreana, promuovendo la pace e il dialogo». Secondo quanto comunicato proprio oggi dall'Ufficio di Presidenza della Repubblica di Corea, Xi e Moon avrebbero concluso un accordo di massima sulla questione, strutturato su quattro principi: impedire qualsiasi tipo di conflitto armato nella Penisola; mantenere una posizione ferma sulla denuclearizzazione della regione; affrontare qualsiasi questione nordcoreana, inclusa la denuclearizzazione, in modo pacifico attraverso il dialogo e i negoziati; migliorare i rapporti intercoreani aiuterebbe a risolvere le questioni nella Penisola.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia