(ASI) Ha vinto il “Leave”: i britannici hanno dunque deciso che l’Europa gli andava ormai stretta. A nulla sono valse le deroghe recentemente ottenute dal governo Cameron in materia economica e di gestione dei flussi migratori, come a nulla è valso incentrare l’ultima settimana della campagna pro - Europa sul tragico omicidio della deputata europeista Jo Cox.  

Questa mattina la Gran Bretagna si è risvegliata non solo da una lunga notte insonne, ma dal “sogno” europeista. Gli inglesi hanno deciso che l’incertezza dei tragici scenari proposti dagli europeisti era preferibile rispetto alle evidentemente “tragiche” certezze della permanenza in Europa. Di fatto la U.E. è stata squassata dal più profondo terremoto della sua storia. Al tempo della sua creazione, con gli accordi di Lisbona, la U.E. non aveva nemmeno previsto la possibilità di uscita di uno stato dall’Unione. Tale possibilità era stata solo di recente inclusa nell’articolo 50 dell’Unione Europea; un atto di correttezza legale più che la presa in considerazione della reale possibilità di uscita dall’Unione di uno o più stati. L’articolo 50 somigliava insomma a certi articoli del codice penale medievale in materia di stregoneria femminile asserenti assunti del tipo “se galleggia è una strega, se affoga era innocente”.Il pensiero stesso della possibilità di uscita anche di un singolo paese dall’Unione era inconcepibile in quanto contrario a dogmi quali il multiculturalismo, il benessere, e, secondo gli europeisti più convinti come il nostro presidente Mattarella, era “un reato contro la storia”. Ebbene gli inglesi non si sono limitati a galleggiare; hanno deciso di camminare sull’acqua. L’autodeterminazione del popolo britannico ad uscire dall’Unione europea, come ampiamente prevedibile, non poteva essere esente da forti contraccolpi.

I primi ovviamente a risentire del referendum sono stati i mercati. Le piazze finanziarie che, all’indomani dell’omicidio dell’europeista Jo Cox, avevano scommesso sul fatto che il “martirio” di quest’ultima avrebbe segnato il definitivo tramonto delle istanze del “leave”, sta mattina sono piombati nel panico. Mentre nei giorni intercorsi tra l’omicidio della Cox e il voto referendario, la grande finanza speculativa internazionale aveva scommesso sulla permanenza inglese facendo schizzare ai massimi storici la sterlina e la borsa della “City” londinese, adesso il timore generale ha portato nell’arco di sole 12 ore la sterlina al suo minimo storico. Male tutte le borse del vecchio continente con l’italiana Piazza Affari in assoluto la peggiore con una perdita dell’11%. Non se la passano meglio francesi e tedeschi le cui borse di Parigi e Francoforte non accennano a recuperare le perdite accumulate ad inizio seduta rispettivamente dell’ 8,3% e del 6,9%. Il terremoto economico si è fatto sentito fin nel lontano Giappone dove la borsa di Tokyo ha perso il 7,92%. L’eccesso di ribasso, mai così netto dai tempi dell’incidente nucleare di Fukushima, ha costretto la borsa giapponese ad implementare il meccanismo del “circuit braker”; ossia l’attivazione di numerose limitazioni agli scambi e l’inibizione dei titoli in eccessivo ribasso onde contenere le perdite. Incredibilmente, e sorprendentemente contrario alle previsioni apocalittiche degli analisti europei ed europeisti, la miglior borsa del vecchio continente è la borsa di Londra che al momento sta limitando le perdite al 3,9%. Sull’altro lato dell’Atlantico, “l’apocalisse” del Brexit, ha avuto effetti molto più contenuti e le perdite si sono limitate al 2,81% del Dow Jones e al 3,37% del Nasdaq. A farne le spese ovviamente gli istituti bancari, da sempre garanti e pilastri dello status quo della teocrazia europea. In Italia i titoli peggiori sono Bpm, Intesa San Paolo e Unicredit che hanno subito ribassi che vanno dal 35% al 25%. Schizzato in alto lo Spread, il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e gli autoreferenziali titoli tedeschi, che ha raggiunto quota 180 senza però deludendo però le previsioni degli analisti che pronosticavano il raggiungimento dei 300 punti base.

Anche se “l’apocalisse” finanziaria non si è ancora concretizzata, di sicuro il risultato del Brexit non è stato certo indolore. In Inghilterra, nel corso della mattinata, il premier David Cameron ha rassegnato le dimissioni nel corso di una conferenza stampa durante la quale ha rivendicato i meriti della propria azione di governo europeista ma al servizio del paese. “Serve una nuova leadership che ridia alla Gran Bretagna la sua grandezza. La forza del nostro governo si è vista nelle rinegoziazioni che ho condotto con l’Europa. Ho fatto tutto quello che potevo fare. Il referendum era legato all’Europa e non al futuro politico dei singoli politici. Continuerò restare in politica per assicurare la stabilità politica ma serve una nuova leadership per guidare il paese in questa nuova fase. Toccherà alla nuova leadership portare avanti i nuovi accordi che regoleranno i rapporti tra Gran Bretagna ed U.E” – ha dichiarato l’ormai ex premier britannico David Cameron. Hanno gioito invece Boris Johnson e Nigel Farage, da sempre euroscettici e promotori del referendum, incoronati vincitori dall’esito referendario. Per Johnson “ha vinto la democrazia” mentre per Farage “questo giorno sarà ricordato come l’Indipendence day inglese”. Dall’estero le reazioni sono state contrastanti. Dagli Stati Uniti la voce più forte e decisa è stata quella del magnate newyorkese Donald Trump, candidato repubblicano alle prossime presidenziali, che ha dichiarato –“Gli Inglesi si sono ripresi il loro paese”. I governi dell’eurozona sono invece piombati quasi tutti in quello che pare esser un vero e proprio sconforto per un “incubo” divenuto realtà. Le maggiori elite europee dell’alta finanza, della politica e la quasi totalità degli intellettuali hanno avuto reazioni che vanno dall’amara presa di coscienza del risultato inglese, all’analisi critica e pedissequa del voto. In particolare grande attenzione è stata riservata alla statistica dei sondaggi i quali, malgrado il voto sia segreto, indicano che il Brexit sarebbe stato determinato dalle fasce meno abbienti della popolazione, dagli anziani e dall’ex ceto medio imprenditoriale. Secondo quest’ultima analisi il voto inglese avrebbe dunque visto penalizzate le componenti più “attive” della società inglese, cioè i giovani fino ai 27 anni e i ceti abbienti, oltre all’alta finanza legata alla City londinese, la cui maggioranza avrebbe, sempre secondo i sondaggi, votato contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

Quanto alle reazioni amare, tali sono state quelle della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente del consiglio europeo, Donald Tusk. “Non ci saranno sconti. La procedura d’uscita sarà immediata” - ha annunciato Tusk. Mentre la Merkel ha specificato che “si procederà celermente all’uscita della Gran Bretagna dall’U.E. entro il termine stabilito dei 2 anni”. Mentre dalla direzione generale del partito social democratico europeo le reazioni di amarezza si sono mescolate alle istanze di rilancio dell’Unione Europea. Dalla segreteria del partito sial democratico europeo Achim Post, ha fatto sapere che “l’Europa non è finita. Riusciremo a coinvolgere i cittadini europei per far comprendere loro che va costruita tutti insieme con sacrificio e senso di responsabilità”. A fargli eco è stato il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi, il quale ha dichiarato –“Dobbiamo cambiarla, ma l’Europa resta la nostra casa”.

A festeggiare invece per l’esito del referendum inglese e per il probabile effetto domino che ne potrebbe scaturire è sta Marine Le Pen. La Leader del Front National, nel corso di una conferenza stampa in mattinata ha dichiarato -“Gli inglesi sono stati minacciati in tutti i modi dai democratici eurocrati e pro-Europa. Ma alla fine ha prevalso la libertà di decisione. Ora gli inglesi hanno deciso di voler tornare ad essere padroni in casa loro, ma non ci sarà nessuna apocalisse. Ci saranno semplici accordi economici bilaterali come l’Europa usa farne tante con altre nazioni. Si tratta di un voto storico poiché il popolo si è ribellato alle esigenze della “city” londinese e si è ripreso la propria sovranità”. Reazione ottimista al Brexit anche quella di Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum, il quale, non solo ha confermato che gli accordi bilaterali tra U.E. ed altre nazioni sono una realtà senza che questo pregiudichi la tenuta economica o sociale dei partners coinvolti, ma che ora più che mai ai popoli europei si presenta un’opportunità di cambiamento senza precedenti. “Il voto del Brexit ha stabilito in maniera chiara e definitiva l’impossibilità per le elite di governare incatenando l’Europa in un sistema di finanza disgiunta da quella che è l’economia reale. L’andamento di quest’ultima è infatti stata determinante nel Brexit. Questo significa che per i mercati si apre una nuova fase che offre l’opportunità di passare ad una concezione economica più aderente a quello che è l’andamento dell’economia reale”- ha affermato il presidente di Banca Mediolanum. Possibilista invece uno dei “padri” costituenti dell’attuale Unione Europea, l’ex premier Romano Prodi. Prodi, così come molti politici ed intellettuali europei, ha analizzato le statistiche del Brexit, ma a differenza di questi ultimi si è solo limitato a prenderne atto senza emettere più o meno velate condanne alle classi che hanno determinato l’esito referendario. “Bisogna prendere atto che le classi abbienti hanno votato per il “remain”, quelle povere hanno votato per il “leave”, ma ‘calma e gesso’” – ha dichiarato Romano Prodi.

Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

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