(ASI) – L’Indiana ha scritto l’epilogo di quelle che sono state le primarie più partecipate della storia statunitense. A scrivere la parola fine e ad entrare nella storia è stato il magnate newyorkese Donald Trump. Il Tycoon ha portato a case uno straordinario 53% di preferenze, smentendo i sondaggi che lo davano di almeno 10 punti indietro e soprattutto sbriciolando il morale e le speranze degli avversari.
Ted Cruz e John Kasich: a nulla è valsa la “santa alleanza” contro “l’eretico” Donald Trump. L’Indiana ha riservato un magro bottino per i due “quasi” ufficialmente investiti dal partito del compito di arrestare l’avanzata di Trump. Il pressoché inutile 7,6% di John Kasich e il misero 36,6% di Ted Cruz hanno fatto da lapide alle speranze di questi ultimi di poter ribaltare le sorti dello scontro per l’investitura a leader in pectore del partito repubblicano per le prossime presidenziali. Sicuramente è stato troppo per i due e quindi, per salvare l’orgoglio, e in linea quel mix di eroico e romantico tanto caro agli elettori del Grand Old Party, Cruz e Kasich hanno gettato la spugna. Il governatore dell’Ohio ha preferito un eutanasia “discreta” annunciando semplicemente la sospensione di tutti gli impegni elettorali in agenda. Più sofferta la fine di Cruz. Il governatore del Texas si è eretto come un eroe della tradizione romantica dinnanzi ai propri sostenitori visibilmente commosso dichiarando –“Abbiamo lasciato tutto sul campo dell’Indiana. Abbiamo dato tutto; ma gli elettori hanno scelto un’altra strada. Così, con il cuore pesante ma con sconfinato ottimismo per il futuro della nostra nazione, sospendiamo la nostra campagna elettorale”. L’annuncio di Ted Cruz è stato seguito poco dopo dal Tweet di Reince Priebus, presidente della commissione nazionale repubblicana. Priebus era stato sino ad oggi un sostenitore del comitato interno al partito denominato “Never Trump”, cioè “Mai Trump”, e recentemente era stato coinvolto nelle aspre polemiche contro Trump scaturite dalle affermazioni di quest’ultimo secondo cui “l’assegnazione dei delegati di New York è stata una truffa”. Nel suo Tweet il presidente della commissione nazionale repubblicana ha pubblicamente annunciato il suo sostegno e quello dell’intero partito al candidato in pectore Donald Trump affermando –“Dobbiamo unirci e concentrarci sull’obbiettivo di sconfiggere Hillary Clinton”. Assieme a Cruz e Kascih, sono dunque cadute anche le ultime speranze del partito di poter arrestare Trump con dei giochi di potere interni a suon di “migrazioni” di delegati da un candidato all’altro. Il partito repubblicano ha dunque riconosciuto in Donald Trump il suo nuovo portabandiera per le prossime elezioni presidenziali d’autunno.
Dal canto suo Trump ha voluto concedere “l’onore delle armi” al solo Ted Cruz dichiarando in diretta dalla Trump Tower –“Non so se piaccio a Ted Cruz, ma lui è un avversario tosto. Duro e intelligente avrà certamente un incredibile futuro. Posso immaginare come si sente Ted e tutta la sua famiglia. Per questo voglio congratularmi con lui e dire ribadire che è stato un competitor tosto”. Queste sono state le parole che l’ex-“impresentabile” del partito repubblicano ha rivolto a colui che era il più inviso al suo stesso partito prima del “fenomeno” Trump.
Mentre in casa repubblicana i giochi sono ormai chiusi, diverso è il discorso in casa democratica. L’Indiana ha infatti regalato uno straordinario successo a Bernie Sanders che con il 53% delle preferenze ha portato a casa la una vittoria che ha sfatato tutti i sondaggi. Secondo questi ultimi Sanders sarebbe stato condannato dall’ostinato rifiuto opposto alla “generosa” offerta di resa che la Hillary Clinton aveva proposto all’indomani del voto di New York. L’ostinato e coriaceo Bernie Sanders, aveva infatti deciso di portare a termine la campagna elettorale fino all’ultimo giorno. Al pari dei suoi colleghi repubblicani, ma con ancor più sfrontatezza e calcolo, il governatore del Vermont aveva infatti reagito alla proposta di Hillary con una violente polemica sul metodo di voto a New York che prevedeva l’iscrizione all’albo dei votanti non meno di sei mesi prima del giorno stabilito per le elezioni primarie. Questo meccanismo era stato definito da Sanders una “truffa”, poiché avrebbe favorito l’affluenza dell’elettorato democratico più fedele all’ “ortodossia” del partito, e quindi a Hillary, a discapito degli scontenti e dei disaffezionati che secondo Sanders avrebbero voluto esprimere il loro voto a campagna delle primarie iniziate, e quindi quasi certamente a favore del governatore del Vermont. Ebbene l’Indiana parrebbe aver confermato quanto sostenuto da Sanders. Svanita l’inedita trasversalità che la Clinton aveva dimostrato a New York, Bernie Sanders è ritornato stabilmente il portabandiera delle istanze di giovani ed ex-ceto medio, categorie penalizzate dalle scelte del governo Obama di cui la Clinton si pone di fatto come la continuatrice. Hillary invece ha dimostrato ancora una volta tutto il potere di temi quali lo scontro razziale, il buonismo e il multiculturalismo, che ancora una volta le hanno fatto fare il pieno di voti tra le comunità afroamericane, gli intellettuali e le associazioni e gli ambienti filantropici. Ma sta volta i numeri si sono espressi in favore del governatore del Vermont. Sanders è riuscito ad indebolire la Clinton, la quale, seppur ancora largamente in testa, si trova ora ad affrontare un avversario il cui peso politico pare essere in continua crescita nonostante le speranze di vittoria del governatore del Vermont siano ormai ridotte meno che al lumicino. La sfida per Hillary infatti non è tanto la vittoria nelle primarie, che pare ormai solo una questione di tempo, quanto nel periodo che intercorrerà con le presidenziali d’autunno. Bernie Sanders, a dispetto delle dichiarazioni rese, sta infatti dimostrando che in futuro la Clinton avrà bisogno dell’appoggio dell’elettorato che ha sostenuto il governatore del Vermont per poter ambire ad essere il primo presidente donna della storia Usa.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia