La resa di Sànchez, Spagna di nuovo al voto. Re Felipe sceglie il 26 giugno per il ritorno alle urne

pedrin(ASI) Madrid - Alla fine del terzo giro di consultazioni la scelta definitiva che avrebbe, nell'arco di poche ore, scatenato la fantasia giornalistica dei media spagnoli.


"La politica ha fallito", "I partiti sono impotenti", "L'attendismo di Rajoy ha trionfato", questi i titoli delle principali testate nazionali.

Il leader del partito socialista Pedro Sànchez si arrende così all'evidenza dei numeri e delle scelte ideologiche dei potenziali alleati. Nessuna maggioranza di governo possibile, dopo settimane di consultazioni e cinque mesi dopo le elezioni del 20 dicembre.
Numeri diabolici, è vero, ma nessun partito è voluto venire incontro alla necessità di governare con le larghe intese o un governo di unità nazionale. Mentre Mariano Rajoy non era voluto da nessuno per un secondo mandato nel palazzo della Moncloa, Pedro Sànchez ci ha provato fino all'ultimo istante pur di conciliare le diverse anime della sinistra, ma, di fronte al nuovo scenario "quadripolare", e dopo l'ultimo tentativo, ha ammesso l'impossibilità della sua impresa di fronte al re Felipe VI.

Il re, pur a malincuore, vedendo mal ripagata la sua infinita pazienza verso un potenziale governo riformista di cambio, ha prontamente proclamato in via ufficiale la data delle prossime elezioni legislative, e così anche la riapertura della campagna elettorale prevista per il 10 giugno, pur non essendosi mai chiusa nel corso dell'autunno, dell'inverno e di questa calda primavera.

Prossime elezioni all'inizio dell'estate invece, quando il più giovane parlamento spagnolo eletto dai tempi della transizione post-franchista sarà già stato dissolto.
Il giudizio dei media spagnoli ed internazionali è stato molto severo, gli economisti temono per quello dei mercati. Il blocco politico è stato considerato negativamente da ogni parte, eppure per molti partiti è ancora ritenuto l'unico espediente per trionfare alle prossime elezioni, arroccandosi nelle solite posizioni ideologiche.

Tra tante idee, l'unico punto di svolta, anzi di non svolta, è stato il rifiuto di Podemos di accettare un compromesso con Ciudadanos, partito che aveva già accolto le posizioni assunte dal partito socialista. Pablo Iglesias non ha mai rinunciato all'appoggio delle frange nazionaliste delle regioni autonome e dei partiti indipendentisti, difendendo una richiesta di referendum inaccettabile per Sànchez e i vertici del PSOE.
Come si era detto, una nuova stagione politica era stata aperta per via di un risultato elettorale numerico che aveva decretato la fine del bipartitismo, eppure, di fronte a un quadro politico desolante, chi potrebbe trarne maggior vantaggio sembrerebbe proprio il leader del Partido Popular Mariano Rajoy, indebolito dagli scandali fiscali interni al suo partito, ma notevolmente rinforzato dall'apparente assenza di alternative.

In giugno sarà possibile capire quali scelte politiche verranno ripagate dalle urne, sebbene i risultati possibili sembrano essere due.
Il primo sarebbe l'esatta riconferma di tutti i voti espressi, lasciando lo stallo inalterato. Il secondo sarebbe, a dispetto delle sinistre che non sono riuscite a mettersi d'accordo nell'arco di oltre novanta giorni su un patto di governo, una vittoria del PP, ma tale da riconquistare stavolta la maggioranza assoluta.

Pur con il risentimento che molti cittadini nutrono verso il primo ministro in funzione, un brutto governo sembra sempre essere migliore di un non governo, ma dovranno essere gli Spagnoli a dirlo.

Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia

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