(ASI) - In alcuni casi la democrazia è forse sopravvalutata, in altri si rivela, come diceva Winston Churchill, il peggiore dei sistemi politici escludendo tutti gli altri, in altri ancora la chiave e la scintilla di ogni svolta politica e sociale.

Il 26 febbraio si sono svolte in Iran le elezioni per rinnovare i membri del parlamento e l'assemblea degli esperti. Come molti pensavano, come altri auspicavano, schiacciante è stata la vittoria dei riformisti e salda la continuità con la linea del presidente Hassan Rouhani. Di certo un risultato che rafforza notevolmente la posizione dell'Iran in un contesto non solo tradizionalmente caldissimo, ma geopoliticamente mai nevralgico come ora, tra la crisi siriana e il terrorismo internazionale sunnita diffuso dallo Stato Islamico.

Questo sarà il decimo parlamento dalla rivoluzione iraniana di Khomeini del 1979 e il 35esimo dalla riforma costituzionale.
Sui 290 seggi assegnati i membri del parlamento eserciteranno le loro funzioni dal 3 maggio prossimo fino al 2020 per una durata di circa quattro anni. Nella ex Persia questa istituzione viene chiamata popolarmente Majlis e, come in tantissimi altri Paesi, svolge principalmente la funzione legislativa.

L'assemblea degli esperti invece, costituita da 88 membri, risulta decisiva ogni volta che deve essere scelto il leader supremo, come è avvenuto per l'attuale Khamenei per esempio.
Ciò che conta, e senza dubbio la sostanziale news che emerge da queste elezioni, è stato invece il peso specifico degli elettori iraniani, fra i quali i giovani e le donne in cerca di rinnovamento hanno fatto la differenza regalando una grande vittoria ai riformisti.

Basti pensare che solo il 9,4% dei candidati era costituito da donne, mentre lo scopo principale degli osservatori era valutare attraverso i dati elettorali la popolarità di Rouhani, il presidente riformista che ha promesso di porre fine a tutte le sanzioni che gravano sul Paese per l'arricchimento dell'uranio e il dibattito nucleare sorto con la precedente presidenza, quella di Mahmoud Ahmadinejad.

Così la vittoria di Rouhani è stata grande, e non solo perché attestata dalle percentuali di consenso conquistate, il 28,62% che ha assegnato 83 seggi per una pluralità partitica riformista, ma perché tali numeri sono stati legittimati da oltre 50 milioni di elettori in una popolazione totale di circa 70, un livello di partecipazione ormai irraggiungibile in quasi tutti i Paesi occidentali.

"Crescita dell'economia e sviluppo sostenibile dando potere ai giovani e alle donne", questo il motto dei riformisti a cui l'elettorato ha voluto dare fiducia proprio nello slancio di un nuovo rinnovamento, sebbene in tanti aspetti l'Iran sia ancora malvisto soprattutto in tema si giustizia, dove regna la pena capitale.

Il margine di miglioramento e cambiamento è quindi enorme, ma il Paese sembra pronto a seguire questa nuova strada, ora maggiormente accolta anche nell'ambito internazionale dove l'Iran è ormai una pedina fondamentale a cui poter e dover dare fiducia in tutto il Medio Oriente.
"Sono molto ottimista dal punto di vista politico per il futuro del mio Paese - ha affermato per sintetizzare i risultati conseguiti il deputato riformista di nuova generazione Alireza Rahimi - Il cambiamento può essere un simbolo in sé, quando molti giovani sono ancora incarcerati per le proteste del 2009, quando sulla credibilità dell'Iran pesano ancora le accuse di brogli per la riconferma di Ahmadinejad. Abbiamo aperto il varco, l'elettorato ci sta dando fiducia indicandoci il futuro e gli obiettivi da perseguire."

Se dunque le nuove iniziative dell'attuale presidente iraniano, soprattutto in politica estera, sono riconfermate dai cittadini speranzosi pronti a far valere il voto delle nuove generazioni, non c'è altro modo che ripagare le loro scelte, magari colmando finalmente quel pregiudizio storico che dal 1979 pesa sulla credibilità nazionale dell'Iran agli occhi del pubblico internazionale.

Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia

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