(ASI) Barcellona - A poco vale la simpatia del Primo Ministro Mariano Rajoy nel dare attraverso un tweet il suo endorsement al cestista catalano Pau Gasol per i prossimi NBA All-Star Game. Se da una parte sembra un goffo tentativo di accattivarsi la simpatia dei Barcellonesi, dall'altra nessuno è portato a credere nella tranquillità dell'attuale capo di governo.
Le elezioni si sono svolte un mese fa, eppure tutt'altro che chiaro risulta il futuro della politica spagnola, in un Paese dove in questi giorni il re Felipe VI ha iniziato a ricevere i deputati per le ordinarie consulte, prima di fare il nome di un possibile candidato incaricato di formare il nuovo governo.
Un esecutivo tutt'altro che prevedibile quindi, in uno scenario quadripartitico dove lo stesso Rajoy, leader del Partido Popular, ha teso più volte la mano ai socialisti di Pedro Sanchez, gli stessi che lo avevano additato come politico impresentabile.
Allo stesso tempo i deputati di Podemos non hanno alcuna intenzione di rendere vita facile ai socialisti che, pur avendo la chiara possibilità di proporre una coalizione ai simpatizzanti di Pablo Iglesias, non possono fare a meno di temere una concorrenza a sinistra.
In ultima istanza, da Albert Rivera con Ciudadanos a destra fino a Isquierda Unida di Garzon che chiede il gruppo misto nelle commissioni parlamentari, nessuno tra i partiti minori, soprattutto quelli locali e autonomisti, è disposto a cedere anche solo un passo rispetto a quelle che erano state le ambiziosissime, e discretamente impossibili, promesse tipiche delle campagne elettorali.
In un margine minimo se non nullo di contrattazione, la proposta di Rajoy per un governo dalle larghe intese al fine di dare continuità alle politiche di crescita economica e impiego sembra rimanere inascoltata, a patto che il decisore di ultima istanza, il re appunto, non dia una svolta nelle ricerche del quanto più solido governo possibile.
Purtroppo nulla lascia presagire un corso naturale degli eventi in una Spagna che, per pura scelta degli elettori e senza alcuna riforma costituzionale, si è aperta per la prima volta al multipartitismo lasciando a Felipe VI una delle decisioni reali più difficili dal lontano 1978 della transizione democratica.
Alla luce di questo la politica nazionale sembra in stallo, perché di certo i piccoli partiti non stanno aiutando il re nello scioglimento del nodo di Gordio.
Il primo deputato a far visita al re è stato Pedro Quevedo del partito Nueva Canarias ma, dopo di lui, al sentire le dichiarazioni riportate da Carme Forcadell, presidente del parlamento catalano, sul rifiuto degli indipendentisti anche solo di incontrare Felipe VI, le consulte si fanno più complicate di quanto non lo sia tutt'ora lo stesso gioco di formazione dei gruppi parlamentari.
Podemos vuole essere ovunque, anche con pochi deputati pur di sfruttare il suo potere di ricatto, invece Monica Oltra, alleata valenciana del partito di Iglesias, vuole per i suoi nove "diputados" un gruppo autonomo, praticamente l'esatto opposto.
In tutto ciò gran parte delle manovre spetterebbero a Pedro Sanchez e ai socialisti, ma cosa fare se non ci sono i numeri né per un governo di cambiamento, né per uno di continuità con le politiche dei popolari? Quest'ultima scelta sarebbe stata inoltre scartata a priori di fronte al peso algebrico di qualsiasi elezione, sopratutto dopo le parole pesanti del leader socialista nei confronti del primo ministro in diretta televisiva durante il confronto diretto preelettorale.
Così, se la "investidura de un jefe de gobierno" come dicono qui in Spagna, appare come un cubo di Rubik dalle svariate facce e dai molteplici colori, non resta che confidare nella saggezza di un giovane re come "Don Felipe", sebbene a Barcellona molti stiano già ridendo dell'interventismo che ha portato l'indipendentista Charles Puigdemont a capo della Generalitat.
Non che in Catalogna sia stato più semplice, ma saprà il re far uscire il Paese intero da uno stallo politico dove appare impossibile rispettare al contempo le prerogative costituzionali della casa reale, prima la volontà dei cittadini, poi le richieste dei partiti e infine l'integrità nazionale?
Dietro l'angolo, ritenuta quasi una bandiera bianca all'orizzonte, la corsa a nuove elezioni, l'unica scelta che eviterebbe lo stallo perpetuo senza salvare nessuna delle tre prerogative.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia